Uno e centomila. Così si potrebbe rispondere alla domanda: chi è Franco Pepe? Un ex professore di educazione fisica, figlio e nipote di ristoratori di Caiazzo, Alto Casertano, dove è nato, cresciuto e ha scelto di vivere e lavorare, fondando, ormai più di un decennio fa, una delle pizzerie più note al mondo. Delle note biografiche asciutte - per dirla quasi nel burocratese di Fazio, l'assistente di Montalbano - suonerebbero più o meno così. Se raccontiamo la storia alla maniera del Gambero Rosso, Franco Pepe è il miglior pizzaiolo d'Italia, ha rivoluzionato il mondo della pizza e la figura professionale del pizzaiolo, ha portato avanti la riscossa di un intero territorio e dei suoi produttori, tappe che negli anni passati (precedendo Netflix) abbiamo raccontato in una trasmissione andata in onda su Gambero Rosso Tv e in un libro edito nel 2021 in doppia lingua (italiano e inglese), La mia pizza autentica. Proprio da questo volume, scritto a quattro mani da Pepe stesso con il giornalista e amico di una vita, Enrico Caracciolo, e le foto di Lido Vannucchi, è tratto il testo che segue, un racconto in prima persona che spiega, dal punto di vista del protagonista, chi è Franco Pepe.
Franco Pepe si racconta
Ho scoperto la "Terra mia" pedalando. In bici ti muovi lentamente, percepisci il senso di un territorio, i respiri di madre natura. Senti sulla pelle il caldo estivo che asciuga la terra e le brume invernali. Le essenze del mosto in tempo di vendemmia e la sensualità delle olive appena frante ti graffiano le narici; e quando arrivi nel cuore di Caiazzo si rincorrono sussurri e voci, segreti e confidenze, preghiere e imprecazioni.
Pedalando sulle strade dell'Alto Casertano mi chiedevo, in silenzio, quale fosse la mia strada. Ero insegnante di educazione fisica, mi piaceva l'idea di trasmettere ai ragazzi l'importanza di una vita sana, ma non amavo stare in cattedra, mentre provavo un grande piacere lavorando nella pizzeria di famiglia. Mi sono ritrovato davanti a un bivio e, senza fare troppi calcoli, ho imboccato la strada della passione, regalandomi la felicità.
Nella mia formazione i genitori hanno avuto un ruolo fondamentale. Papà era pizzaiolo, discendente da una famiglia di fornai: farina, acqua, fuoco non avevano segreti per lui. Mamma è stata una brillante commerciante, capace di alimentare relazioni umane. Mi hanno comunicato valori importanti che ancora coltivo e cerco di trasmettere ai miei figli. Con loro ho avuto un rapporto di spontanea quotidianità. Non mi hanno insegnato tecniche particolari, ma mi hanno messo in condizione di apprendere lavorando. Quando mio padre è mancato mi sono ritrovato con il ricordo di gesti e immagini ben scolpite nella memoria. Tradurre queste pratiche in ricette è stato un lungo lavoro di sperimentazione. Lui faceva tutto secondo antiche sapienze, contando su una sconfinata sensibilità: non gli ho visto mai usare un misurino o una bilancia. Miscelava acqua e farine sentendo l'umidità nell'aria e sapeva in anticipo come sarebbe lievitato l'impasto.
Non si diventa pizzaioli senza compiere un percorso, nel quale l'acquisizione di conoscenze passa attraverso l'esperienza e la capacità di sapersi leggere dentro. La metafora del ciclista, che, per arrivare alla fine di una tappa, affronta curve insidiose, "discese ardite e risalite", si addice perfettamente a questo lavoro, che, nella tradizione, è molto faticoso. Un mestiere che non lascia spazio a voli pindarici ed è fatto di umiltà, fatica e totale dedizione; non a caso per secoli, come i fornai, i pizzaioli sono stati considerati operai condannati alla sola sopravvivenza.
Con la scomparsa di mio padre ho iniziato a lavorare a tempo pieno tra banco e forno. Dopo l'ultima pizza crollavo e la stanchezza soffocava anche i sogni. Non avevo tempo di pensare. Il trambusto della pizzeria era travolgente. Con la carta con cui mi pulivo le mani, impregnata di condimento e pasta, facevo delle palline e me le infilavo nelle orecchie, per non sentire niente. Occhi fissi sulle comande e mani come in una catena di montaggio.
Una delle mie più grandi soddisfazioni è aver riscattato la dignità del pizzaiolo: oggi i miei ragazzi, dopo aver lavorato, possono uscire, divertirsi, inseguire amori. Tutto questo grazie alla formazione di un team, abbandonando l'idea del pizzaiolo unico, sinonimo di mestiere usurante. Non sono il detentore di segreti, non sono un accentratore di competenze, che invece vanno trasmesse per garantire continuità. Il pizzaiolo che esaurisce il suo lavoro solo tra impasti e forno non potrà mai crescere: il rapporto con l'ospite è un passaggio fondamentale per condividere le emozioni e le reazioni di chi aspetta, osserva, gusta la pizza. Sono momenti indispensabili per chi voglia compiere un percorso evolutivo. Una ricetta è la sintesi delle emozioni che si possono trasmettere agli ospiti.
Quel viaggio iniziato osservando papà non è ancora finito. La pizza è una cosa semplice e allo stesso tempo complessa, perché racconta la bellezza infinita di un paesaggio umano con i suoi tormenti, i suoi sogni, le sue passioni.
Testo e foto tratti dal libro "La mia pizza autentica" (Gambero Rosso, 2021)