Il Camembert. Nuovo presidio 2019
È forse il formaggio francese più famoso del mondo. Con un’origine incisa nella storia di Francia. La ricetta del Camembert sarebbe infatti stata rivelata in piena rivoluzione francese da un prete refrattario (in fuga dal terrore rivoluzionario) alla contadina normanna Marie Harel che gli aveva dato rifugio. Un successo immediato, l’inconfondibile scatoletta di legno tonda per spedirlo ovunque. Ma oggi il 90% della produzione in Normandia è industrializzata. Per questo Slow Food ha istituito il Presidio del Camembert fermier naturale. Che per ora ufficialmente conta 2 produttori (ma entro breve saranno 5). Il primo e più convinto è Patrick Mercier, che a Cheese ha raccontato la sua storia (e ha portato il suo camembert, sold out quasi subito): “Noi allevatori e casari con coraggio ci siamo rimessi a fare un formaggio che rispettasse il sistema di produzione originale, complesso e delicatissimo, che però dà un risultato unico: se si assaggia il vero camembert non si torna più indietro. Se tutto va bene tra qualche anno la dicitura Camembert de Normandie potrà essere associata solo ai formaggi prodotti secondo il disciplinare della denominazione e a quello prodotto secondo tradizione”.
Per Patrick tutto comincia nel 2000 dopo uno stage in una piccola fabbrica di camembert. Dieci anni dopo inizia a produrre il formaggio: “Volevo fare qualcosa di provocatorio: creare il mio camembert a soli 10 chilometri dalla fabbrica di camembert Lactalis, la più grande azienda lattiero-casearia al mondo e il più grande produttore di camembert”. Accanto a lui una giovane inglese, Janine Lelouvier, ha iniziato a produrre un camembert tradizionale un paio di anni fa insieme a suo marito Denis. Sulla storia di questo e di altri formaggi francesi presidio i francesi ci hanno fatto pure un piccolo film, racconto della carovana con cui sono partiti il 16 settembre per arrivare a Cheese, passando per produttori e pascoli. Una piccola epopea gastronomica.
La Fucina Pane, Pizza, Pasticceria, new entry
Altra novità dell’edizione 2019 la Fucina Pane, Pizza e Pasticceria. Pane, soprattutto, ideale complemento del formaggio in quel binomio che ha sfamato generazioni. E qui sono entrati in scena tre moschettieri del pane, i fondatori del PAU, ovvero Panificatori Agricoli Urbani: Davide Longoni che ha laboratorio e bottega a Milano, Matteo Piffer di Panificio Moderno (Rovereto) e Pasquale Polito del Forno Brisa (Bologna). Hanno raccontato la loro esperienza e il loro progetto in un animato dibattito alla Fucina. Cominciando da quell’ossimoro “agricoli urbani”. Il pane sfama le città, la città è nata con il pane, ha raccontato Longoni, e i PAU sono legati alla città, ma occorre spostare l’attenzione dalle farine al grano, al campo, come ha spiegato Matteo Piffer. Loro hanno campi, coltivano il grano e sono aperti - con trasparenza assoluta- a condividere esperienze a 360° con tutti. Una condivisione autentica, non virtuale da social: il pane crea condivisione per definizione. Non vogliono fondare un consorzio, una nuova associazione, piuttosto pensano a un Manifesto di idee che sia una specie di dichiarazione d’intenti, un punto di riferimento per quanti vogliono diventare panificatori senza necessariamente essere figli d’arte (ed è il caso di Longoni e Polito, per esempio), una sorta di open source per tutti. I problemi aperti sono tanti, ma se si fa rete (le persone iscritte oggi sono un centinaio) si scopre che fare il pane in modo diverso è possibile. Degustazione finale di un pane “vivo, che evolve” fatto con farina tipo2 del Mulino Sobrino, segale e farro monococco. Strepitoso anche da solo, mitico con il Conciato romano, altro presidio, estratto dall’anfora di creta.
8 appuntamenti al femminile
Mentre si discute su donne chef e via declinando, a Cheese la Fucina e le lievitazioni sono saldamente in mani femminili, altra novità di quest’anno. Ha cominciato Rosa Casulli di Putigliano, poi la “regina della pizza” come di autodefinisce ironicamente (è circondata da pizzaioli maschi nel suo locale) Petra Antonini del Settimo Cielo di Pescantina (Verona), e un’altra star, ma della pasta frolla, Chiara Zogno (che a Cheese ha proposto un biscotto al parmigiano reggiano); oggi toccherà a Francesca Gerbasio. Insomma, almeno fra pizze e dolci (meno nelle brigate dei ristoranti eccellenti) le donne emergono o puntano a farlo. Petra Antonini ha creato l’associazione Donne di Pizza/Donne di Cuore, che ora sbarca anche a New York…
Gelato di recupero, cos'è
L’attenzione all’ambiente, il dibattito sulla sostenibilità, insomma il futuro del pianeta, sono il filo conduttore dell’edizione 2019 di Cheese, va da sé (vi abbiamo già spiegato perché e quali sono gli appuntamenti da non perdere). Con qualche proposta insolita e interessante, come il Gelato di recupero. Che cosa sia lo ha spiegato in una seguitissimo laboratorio Carlo Catani, ex bancario folgorato sulla strada del food (gestisce un ristorante e ha diretto per 5 anni l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo). Il gelato si può definire di recupero per 5 punti: quando recupera tradizioni e gusti della memoria (zabaione, zuppa inglese…) in modo innovativo, se utilizza prodotti a fine ciclo di vita (pane vecchio, frutta troppo matura, biscotti rotti), se recupera una tradizione del territorio (panera, grattachecca), se utilizza prodotti secondari (chiare d’uovo, bucce di frutti), se usa frutti dimenticati, erbe spontanee, insomma valorizza la biodiversità.
Quali risultati di eccellenza possa raggiungere un gelato di recupero lo hanno dimostrato nel laboratorio di sabato (ma si replica con altri protagonisti anche oggi e domani) due gelatieri d’eccellenza, entrambi 3 coni nella guida Gelaterie d’Italia del Gambero Rosso. Antonio Mezzalira di Golosi di Natura (Gazzo, Padova) e Simone De Feo della Cremeria Capolinea di Reggio Emilia. Il primo con un gelato alla pinsa (altrimenti detta in Veneto putana), una torta di recupero fatta con tutto quello che avanza dopo Natale, dall’uvetta ai fichi secchi, il pane biscottato, con crema alla grappa (e per la crema ha raccontato che lascia lo zucchero a macerare con bacche di vaniglia usate, in pasticceria non si butta via nulla o quasi, dai panettoni ai fondi di pan di Spagna). De Feo ha proposto una squisita crema con avanzi di babà, e ha insegnato a fare un gelato casalingo. La gelateria, ha spiegato, deve puntare sul recupero (per esempio i coni rotti con il cioccolato diventano crumble) anche perché il gelato, fatto con il freddo, non è esattamente il prodotto più sostenibile del mondo. A quando il gusto “recupero del giorno” fra le proposte in gelateria? Potrebbe essere un’ecoidea giusta.
Intanto, cominciamo con la tracciabilità
Alberto Marchetti, torinese, altro gelatiere a Tre Coni, e responsabile del settore gelato di Cheese, propone alla manifestazione un passaporto digitale dei gusti e presenta in anteprima esclusiva la prima blockchain del gelato artigianale, stessa tecnologia dei bitcoin: basta un click con lo smartphone per conoscere tutta la filiera produttiva del gelato. Lo seguiremo.
a cura di Rosalba Graglia