La tariffa flat arriva al ristorante
Flat food, dove flat sta per flat rate tariff: tariffa forfettaria. Un modello economico sdoganato da operatori telefonici, piattaforme di pay tv in streaming, palestre. E chissà quante altre attività commerciali che puntano a fidelizzare il cliente potremmo contare. Nell'ambito della ristorazione, però, l'abbonamento mensile – o comunque scalabile per periodi temporali prestabiliti, concordati con chi sottoscrive il “servizio” - è ancora un terreno poco esplorato. Ma non così difficile da sperimentare. In Italia, in questo inizio di decade, prova a importarlo qualche pioniere del genere. A darne notizia è il Sole 24 Ore, che fa discendere il discorso dal Rapporto Fipe 2019: in un momento storico che vede crescere il numero di attività di ristorazione sul territorio nazionale, ma pure il (preoccupante) tasso di mortalità delle attività in questione nei primi anni di vita, come può muoversi chi vuole sopravvivere? L'idea del cibo forfettario può sembrare balzana, ma punta a sfruttare un altro dato significativo del rapporto: gli italiani amano mangiare al ristorante, in misura crescente, assecondando stili di vita che ci portano a trascorrere l'intera giornata lontano dalle mura domestiche. E infatti la spesa destinata al consumo di cibo fuori casa aumenta, fino a raggiungere nel periodo analizzato gli 86 milioni di euro. Ma con il freno tirato per quel che riguarda la spesa media per pasto, che difficilmente supera i 30 euro per commensale.
L'abbonamento mensile per fidelizzare il cliente
Dunque l'abbonamento flat cerca di intercettare i trend di consumo, con l'obiettivo di fidelizzare il cliente, invogliandolo a tornare spesso, generare passaparola, garantire una fonte di reddito certa (perché prepagata) per il ristoratore. Secondo una formula che ricorda da vicino più il “conto aperto” vecchia maniera, saldato dal cliente affezionato a fine mese, che l'offerta all you can eat di certe catene di ristorazione veloce, incentrata sulla possibilità di mangiare a volontà a costo fisso, spesso (sempre?) a scapito della qualità. Cosa hanno pensato, invece, i ristoratori intercettati dal Sole 24 Ore?
Due casi in Italia: Wedoo e Gabarè
In provincia di Padova, a Limena,Weedoo propone una tariffa mensile di 149 euro al mese, “per mangiare e bere a volontà”, ma solo a cena, e non più di una volta al giorno. Il servizio include un antipasto, un piatto principale a scelta, una bibita analcolica e due bevande alcoliche, dolce e caffè. Una sperimentazione che il locale ha da poco avviato e si protrarrà per sei mesi, con l'idea di analizzare la risposta del pubblico. E l'intenzione di “rivoluzionare” il settore, in un contesto di ristorazione informale (la specialità della casa è il galletto alla brace, “gusto a un costo accessibile”, spiegano i tre imprenditori vicentini che hanno ideato il format), operativo 7 su 7, per 360 giorni all'anno. Più strutturata, invece, è l'idea di Gabarè Bar e Minestre, nuova attività (a partire dal 27 gennaio) avviata a Ravenna dallo chef Ciro Adamo, arrivato anche lui, per altre vie, alla conclusione che proporre ai clienti un abbonamento forfettario possa essere una buona strategia di marketing.
Il suo modello, infatti, è diversificato secondo le esigenze di ognuno: 280 euro per l'abbonamento mensile open (colazione, pranzo, cena), 140 per chi vuole sottoscrivere il servizio solo per il pranzo (20 pasti), e tariffe speciali per la famiglie, grazie al pacchetto mensile venduto a 400 euro per due adulti con due bambini (entro i 14 anni). E non solo per mangiare sul posto, perché l'abbonamento può sottoscriverlo anche chi preferisce il take away o la consegna a domicilio: “Con 30-35 abbonati il nostro investimento sarà sostenibile”, spiega Adamo. La fidelizzazione del cliente è da sempre una delle sfide più difficili per la ristorazione, e l'idea dell'abbonamento potrebbe seriamente rivelarsi utile allo scopo. A patto, però, che il ristoratore scelga la via dell'onestà, senza puntare a ricarichi fuori mercato, o – e in questo caso il rischio è maggiore – ad abbassare la qualità dell'offerta. Di sicuro l'efficienza del modello si presta principalmente ad attività di ristorazione veloce (Gabarè, non a caso, pur puntando su piatti espressi e pasta fresca ha scelto di razionalizzare i costi di servizio: il cliente ordina al tavolo via app, e si serve da solo ai distributori di bevande, incluse nel prezzo), frequentate abitualmente da chi mangia fuori casa in orario d'ufficio. Ma non è detto che non possa generare curiosità anche in altri contesti.