Le modalità di come facciamo la spesa in Italia si distinguono per il rapporto personale con i negozianti, e l'attenzione alla stagionalità e artigianalità dei prodotti. È comune per chi vive in Italia, fare affidamento su piccole botteghe di quartiere, i banchi preferiti al mercato rionale, nelle macellerie, pescherie, panetterie e gastronomie, dove qualità e freschezza sono garantite e dove il rapporto si basa su lealtà reciproca. Gli italiani fanno più attenzione al ciclo delle stagioni che sulla lista della spesa. Questo genere di approvvigionamento slow e sentimentale è un'abitudine che non solo sostiene l'economia locale, ma che crea anche un senso di comunità e un legame tra cliente e fornitore.
Il rapporto coi negozianti di fiducia: dialogo e fedeltà
«Com'è andato il compito di matematica di tuo figlio?». Prima di qualsiasi procedura commerciale fra cliente e fornitore, quando si fa la spesa, avviene un dialogo intimo scollegato dall’argomento "cibo". Uno scambio basato sulla riconoscenza reciproca, fatto di quotidianità e amicizia. Le trattative vengono dopo. Fare la spesa è una lunga costruzione di fiducia negli anni. Quando ero bambina, ascoltavo Maria dare consigli a mia madre su come scegliere i prodotti e come prepararli. Ho fatto lo stesso da madre io, con mio figlio che da piccolo veniva sempre con me a fare la spesa. Quando i parenti californiani mi vengono a trovare, vogliono sempre accompagnarmi a fare il solito giro dei negozianti. Sono affascinati dal rapporto che mi lega a loro, la conversazione che precede la scelta dei prodotti e lo scambio di soldi e merce, sono commossi dall’interessamento, il sano "perdere tempo". Ricollegandoci alle abitudini degli italiani a tavola che spesso stupiscono gli stranieri, anche in questo caso la lentezza fa parte del gioco. Non è una gara: fare la spesa è anche parlare per un quarto d'ora di dove si andrà in vacanza ad agosto, o di come va quel fastidioso dolore al ginocchio.
Altro elemento che stupisce gli stranieri al mercato in Italia, oltre le chiacchiere e il rapporto di amicizia, è la generosità e l'operosità di chi coltiva, alleva e poi vende il cibo. Nelle buste di ortaggi e frutta non manca mai un mazzetto di "odori" totalmente gratuito e non richiesto. Se c'è una primizia, è del tutto normale lavarla alla fontanella lì vicino e farla assaggiare al cliente. Scegliendo in salumeria il prosciutto più dolce, è consueto farne assaggiarne una fettina, così per un formaggio speciale, un pane nuovo, una qualsiasi chicca. Chiamiamolo ottimo marketing.
La spesa tutti i giorni
Un'altra caratteristica che gli stranieri trovano curiosa (e totalmente sostenibile dal punto di vista degli sprechi) è che in Italia la spesa per i pasti è una cosa pressoché quotidiana. Vuoi perché molti dei prodotti nel nostro paniere sono freschi, non troppo confezionati, senza eccesso di conservanti e il meno ultra-processati possibile. Il più delle volte, quando si fa la spesa, less is more. Viviamo in un'epoca in cui quasi un terzo del cibo che il mondo occidentale acquista settimanalmente viene cestinato senza mai arrivare al piatto. Quando da ragazza mi sono trasferita nel mio minuscolo appartamento, molto prima della nascita di mio figlio, ero solita comprare frutta in quantità industriale. Arance, limoni, banane, mele, uva, kiwi, ananas. La sistemavo in grandi ciotole colorate e la guardavo marcire. In quest'epoca di sprechi e di scellerato consumo alimentare, prudenza e portafoglio ci impongono di procurarci solo lo stretto indispensabile. E in un certo senso questo, in Italia, avviene anche al supermercato.
Tutto il mondo è paese, tranne al supermarket
Una bellissima scena del film The Hurt Locker mostra un catatonico artificiere statunitense (interpretato magistralmente da Jeremy Renner) di ritorno in patria da una dolorosa rotazione militare in Iraq, attonito davanti alla sovrabbondanza nelle corsie chilometriche di scatole su scatole di cereali per la colazione. Non c'è dialogo, ma la sua espressione davanti a tanto eccesso parla chiaro.
I supermercati italiani, spesso più piccoli di quelli all'estero, e qualche volta persino indipendenti, offrono un'esperienza diversa rispetto ai grandi magazzini degli Stati Uniti o di altre nazioni industrializzate. In Italia, l'attenzione è rivolta alla regionalità dei prodotti, con una forte presenza di alimenti freschi e stagionali. Il consumatore interagisce direttamente con i banconisti all'interno dei supermarket, e chi confeziona la carne o il pesce, lavora dietro un vetro, sotto gli occhi di tutti. Al contrario, i grandi grocery stores statunitensi tendono a privilegiare la quantità e la convenienza, con ampie corsie piene di prodotti confezionati e una vastità di opzioni. Scaffali e scaffali di bevande zuccherate, cibi ultra-processati, confezioni supersize e tanta, troppa scelta. La provenienza e il confezionamento del cibo sembrano volutamente tralasciati, o peggio, effettuati lontano dagli occhi.
Il pescivendolo e il macellaio
Visitare una pescheria italiana, per lo straniero medio, è un'esperienza terrorizzante e illuminante al tempo stesso. Lo stesso vale per la macelleria. Quando porto gruppi di statunitensi a vedere come ci procuriamo il nostro pesce il martedì e il venerdì, o dove scegliamo un osso o la gallina per fare il brodo, l'arista intera per il pranzo della domenica, per non parlare del quinto quarto, la reazione iniziale è disgusto. «Da noi non si vede mai l'animale intero!», esclamano alla vista del quarto di bue, o della testina di agnello. Da loro, il pollo è un'anemica forma contenuta in una vaschetta di polistirolo, non un volatile dalle zampe gialle e con ancora le piume attaccate, ohibò! Il pesce sfilettato davanti ai loro occhi, l'odore del mare, le teste dei pesci dagli occhi brillanti che guardiamo per verificare la freschezza del prodotto, le cicale di mare che si muovono sulle cassette di ghiaccio, i tentacoli del polpo sono un film horror per molti stranieri non abituati. Poi però subentra l'ipnosi.
Come in uno studio antropologico, portare gli stranieri al mercato offre moltissimi spunti. Si nota, dopo qualche minuto, la progressiva fascinazione davanti agli abili professionisti che maneggiano mannaie e bisturi per affettare costate e scaloppine; eviscerare merluzzi e spinare alici fresche. Le mani esperte che segano enormi fiorentine con l'osso, o che sventrano bestioni delle profondità marine causano una strana reazione. Se inizialmente gli astanti sono scioccati alla vista del sangue e delle interiora, si ritrovano poi però stregati dalla manualità dei pescivendoli e macellai. A bocca aperta, restano trasfigurati, per la prima volta consapevoli della provenienza del loro cibo. Quando poi racconto loro che le pescherie seguono una precisa etichettatura del pescato – dove si riportano zona e metodo di pesca, differenza fra coltivato e selvaggio, congelato a bordo o meno – chi non è abituato capisce quanto il consumatore in Italia ha potere decisionale.
La folgorazione dei fagioli
Stesso vale per il mondo ortofrutticolo. È recente il video-confessione su TikTok di una ragazza degli USA quasi trentenne che, strabiliata, capisce per la prima volta da dove proviene la frutta, dopo che qualcuno le indica l'albero di limoni nel suo giardino. Ma attenzione, questi non sono episodi isolati di ordinaria ignoranza. Chi non è abituato a fare la spesa come lo siamo noi, da quando siamo piccoli insieme ai genitori o nonni, spesso è ignaro di come e dove nasce e cresce il cibo. Resta fissa nella mia memoria una signora del Midwest che al mercato di San Cosimato a Roma una mattina d'estate mi chiese cosa fossero quei lunghi baccelli puntinati di rosso magenta. Alla risposta «borlotti beans» la signora ha fatto un sorrisetto e scuotendo il capo mi ha edotto che i fagioli sono «semi commestibili, tipicamente a forma di virgola, sciocchina». Quando ho aperto il baccello e prodotto la manciata di legumi è quasi caduta per terra dallo sgomento. Non aveva mai saputo da dove venissero i fagioli. Forse pensava crescessero in barattolo, conservati nello strano liquido sostituto dell'albume nei dolci vegani. In sostanza, quello che all'estero manca è l'attenzione. Ascoltarsi. Guardarsi negli occhi, e dare fiducia a chi ci rifornisce il piatto. Il carrello della spesa italiano riflette questa attenzione, offrendo una varietà di colori e sapori che rispecchiano sì le diverse tradizioni regionali e la ricchezza del patrimonio di biodiversità unico del nostro Paese, ma anche, e soprattutto, i rapporti umani. Forse fra i più sani rimasti.