È il 1946. La guerra è finita da qualche mese, e a casa di Ivano e Delia mancano i soldi e si mangia poco. Magari una manciata di patate che potrebbe andare in fumo, se Marcella le dimentica sul fuoco per amoreggiare con Giulio in cortile in attesa che i genitori tornino a casa. E se davvero succede la cena salta, papà Ivano che è solito alzare le mani si arrabbia, e mamma Delia è costretta a prendersi le colpe e tutti si arrangiano con una zuppa di latte. Succedeva nelle case italiane del dopoguerra, succede nel film di Paola Cortellesi, C’è ancora domani, al cinema proprio in questi giorni. E questa è una delle scene emblematiche del film che in poche battute rende l’idea della povertà e delle dinamiche che una famiglia italiana viveva nel dopoguerra. La zuppa, anche se per pochi minuti, diventa il vero protagonista del film: un piatto semplice, di recupero, e in alcuni casi di unione, riuscendo a mettere pace all'interno di una famiglia che vive mille difficolà.
La zuppa di latte: risparmio e recupero
Nel dopoguerra il tazzone pieno di zuppa di latte era uno dei protagonisti delle tavole più povere, in quanto era un pasto di riciclo ed economico. “Il latte era evidentemente più accessibile a livello di prezzo”, racconta al Gambero Rosso l’antropologo Marino Niola, e si combinava bene con il pane raffermo. La zuppa di latte dunque era un cibo anti spreco: sia durante la Seconda guerra mondiale sia dopo, nel periodo raccontato dal film di Paola Cortellesi, per molti italiani la parola d’ordine a tavola era "risparmiare". E non si faceva solo con il cibo, ma anche con il gas, la legna e “meno si cucinava e più si risparmiava energia”, dice Niola. La zuppa di latte era il pasto per eccellenza votato al risparmio.
La zuppa veniva consumata prevalentemente a cena – anche con aggiunta di acqua per riempire gli stomaci dei più poveri – e non a colazione. Il primo pasto della giornata è stato introdotto solo nel Novecento, e generalmente anche nei decenni consecutivi veniva consumato utilizzando gli avanzi della cena precedente, quasi sempre a base di legumi o qualche tozzo di pane. Nel corso della storia, come tutti i pasti o le ricette, la zuppa di latte si è evoluta. La ricetta base era con il pane raffermo, ma ognuno ci aggiungeva quello che aveva: le comunità alpine del Nord, ad esempio, al posto del pane usavano la polenta. Veniva preparata anche nella Russia sovietica: per Lenin, addirittura, era il pasto preferito.
La zuppa di latte come simbolo di unione
Questo ha tutte le carte in regola per essere considerato un pasto d’unione. Durante le guerre, anche la Prima e la Seconda, spesso i soldati mettevano in atto le cosiddette tregue alimentari in cui i “combattenti di fronti opposti si fermavano per riposarsi e preparavano insieme la zuppa di latte con gli avanzi di pane e latte che ognuno aveva”, racconta Niola. Finita la tregua si tornava a combattere sui fronti opposti. Era successo anche nel 1529 in Svizzera, con la zuppa di Kappel (Die Kappeler Milchsuppe), consumata dai soldati durante una tregua dai combattimenti.