Andiamo alla scoperta dei relatori che parteciperanno al convegno del Gambero Rosso “Vino 4.0. Distribuzione, comunicazione, promozione, strategie e protagonisti a confronto”. La parola tocca alle enoteche, protagoniste anche della nuova guida Enoteche d’Italia.
Trimani
1821: appena un anno e Trimani spegnerà le sue prime 200 candeline. Stiamo parlando di una delle enoteche più antiche d'Italia che inizia la sua avventura nel commercio del vino nella Roma del Papa Re: “Mi diverte pensare che il capostipite Francesco gestisse a via di Panico una mescita come quella magistralmente ricostruita da Mario Monicelli ne Il Marchese del Grillo, ambientato proprio in quel rione e in quel periodo” ci dice Paolo Trimani, che insieme ai fratelli Francesco e Carla oggi sono alla guida dell'impresa di famiglia: gli attuali spazi del negozio di via Goito ospitano l'enoteca dai primi anni del Novecento, un locale dove la lunga storia dell'attività è testimoniata da alcuni reperti del passato (la nota prezzi, i banconi, la fontana di mescita in marmo di Carrara): l'assortimento è di quelli da far girare la testa, metri e metri di ripiani colmi delle migliori etichette italiane ed estere. La selezione è impressionante con oltre 4000 referenze provenienti da tutta Italia e dal resto del mondo; prezioso anche il lavoro svolto sulle cantine laziali, così come sulle tante bottiglie rare che in città si trovano solo qui.
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Paolo sarà uno dei protagonisti del panel dedicato alle enoteche nel convegno di lunedì 17 febbraio: con lui abbiamo fatto quattro chiacchiere sul mondo delle enoteche, ma non solo.
Come si sono evolute le enoteche nel tempo? E quali sono stati i motivi per cui sono avvenuti questi cambiamenti?
Sfogliare oggi i nostri listini del dopoguerra evidenzia le radicali trasformazioni dell'offerta di vino che sono avvenute nei 25 anni compresi tra il 1960 e la metà degli anni '80: una rivoluzione che ha radicalmente modificato sia la produzione, sia il consumo. Nell'Italia contadina il vino era un alimento fondamentale; nell'era del consumismo è diventato per tutti un piacere troppo spesso occasionale: bere meno ma bere meglio è stato uno slogan di successo che ha celebrato, con malcelato compiacimento, la sparizione del vino dalla nostra quotidianità.
Qual è stato il periodo di rottura col passato?
Il periodo cruciale per lo sviluppo del vino di qualità come lo beviamo oggi è la seconda metà degli anni '80 che troppi associano esclusivamente al dramma della primavera 1986 (scandalo del metanolo) senza considerare gli altri fattori decisivi per imporre un nuovo paradigma di qualità: i frutti dei primi cospicui investimenti che avevano iniziato a modernizzare vigneti e cantine, la crescente domanda di qualità che arrivava dall'estero e una nuova generazione di appassionati che approfittarono di tutto ciò per berci un po' su. L'arrivo di queste novità, accompagnato dalla comparsa delle guide e dei premi, impattò un settore abituato a un tranquillo e monotono tran tran con velocità e intensità travolgenti e modificò per sempre il paesaggio: via le fojette di sfuso e i vecchi clienti col mezzo toscano tra le labbra, largo a vitigni esotici e prezzi esorbitanti in un'atmosfera entusiasta e travolgente. Avevo poco più di 20 anni e iniziavo a lavorare in un ambiente fantastico e purtroppo molto più coinvolgente dell'università: ogni settimana si scoprivano aziende, vini e zone che i clienti adoravano assaggiare senza tregua: il Vinitaly diventò una gran festa e l'uscita delle guide l'appuntamento decisivo per tutto il settore.
E oggi, invece, com'è l'atmosfera?
Credo che di quel clima di allora avremmo bisogno anche oggi, visto che stiamo vivendo in tempi in cui la compartimentazione di produzione e consumi trionfa sul gusto di bere una bottiglia veramente speciale, un'idea di vino che non sopporto e mi diverto molto a ribaltare. Mi riferisco al confronto tra naturali e convenzionali, alla rigidità di certe gerarchie di qualità per cui un Amarone è necessariamente migliore di Primitivo, alla mancanza di fantasia che appiattisce guide, scaffali, carte dei vini e soprattutto tante home page.
Mi descrivi la professione dell'enotecario secondo Paolo Trimani?
L'esperienza mi suggerisce che la proposta di un bravo vinaio vada costruita a partire da rapporti diretti con i produttori di proprio interesse per conoscere bene le etichette e poterle garantire ai clienti evitando di delegare la composizione dell'assortimento a distributori e agenti: non è sempre facile ma si tratta di un impegno indispensabile nel momento in cui appaiono catene nazionali sulla scena.
Qual è il futuro delle enoteca?
Sono assolutamente convinto che il futuro offra opportunità notevolissime alle realtà indipendenti di qualità, uno spazio che nessuna organizzazione di grandi dimensioni, online o offline, potrà mai occupare.
Quali saranno le carte vincenti?
Per avere successo l'enoteca contemporanea deve caratterizzarsi con uno stile personale che soddisfi i clienti e nel contesto italiano credo che le dimensioni spesso ridotte costituiscano un incolmabile vantaggio competitivo nei confronti dei concorrenti di dimensioni maggiori: dico questo soprattutto perché faccio riferimento alla produzione vinicola di qualità che è polverizzata e quindi difficilmente standardizzabile, anche al livello distributivo, e perciò necessita di essere conosciuta caso per caso e descritta cliente per cliente.
a cura di William Pregentelli
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