Per noi della generazione di mezzo, quella che ha visto Stefano Bonilli uscire dalla redazione di via Enrico Fermi sbattendo la porta, Giancarlo Perrotta era una figura astratta, che tutti chiamavano "il notaio", uno dei pionieri che apparteneva alla preistoria del Gambero Rosso. Quando nel 2009 - dopo pochi anni di pausa in un lavoro che andava avanti dal 1991 - è tornato a occupare quella scrivania al centro della redazione, curvo sulle sue cartelline verdi, capace di comunicare solo con la sua collaboratrice e amica di sempre, Clara Barra (nella foto di apertura insieme a lui, nel Teatro del Gusto della Città del Gusto del Gambero Rosso di Roma), l'impatto non è stato morbido: tutte le schede dovevano essere stampate e inserite nei fascicoli perché il nuovo - per noi - curatore era un omone ancient regime che per professione stipulava atti e per - viscerale, profonda, incontenibile - passione girava per ristoranti. Con la sua macchina, in lungo e in largo per l'Italia, prenotando con cognome falso e tornando con le tasche gonfie di ricevute.
La passione più grande: i ristoranti
Giancarlo, appunto, era un gourmet della primissima scuola, che spendeva e spandeva per uno degli amori più grandi della sua vita, la Guida Ristoranti. Un signore d'altri tempi e - orgogliosamente - fuori dal tempo con un cervello che correva troppo veloce per stargli dietro e un'originalità tutta sua nel modo di stare al mondo e di interagire con l'essere umano. Giancarlo non aveva una mail, scriveva le schede a penna e a penna correggeva quelle dei collaboratori.
Giancarlo piombava in redazione alle 14 spaccate, buttava la sua valigetta piena di stipule sulla scrivania, sistemava in un ordine geometricamente accettabile il caos di fogli, guide, spillatrici che ritrovava ogni giorno e pretendeva la "sua" San Pellegrino ghiacciata, quella col nastro rosso che guai a chi gliela toglieva dal frigorifero. Giancarlo non ti faceva lavorare perché aveva una memoria prodigiosa, non a caso era iscritto al Mensa: quando attaccava con la formazione della Nazionale dei mondiali del '62, o con i primi tre classificati di un qualsiasi festival di Sanremo, o con le citazioni di Totò, partiva il loop e ciao concentrazione. E poi era la volta del prosciutto "copto" e del prosciutto "curdo", di Valeggio sul "micio" e del "rum service", delle crisi isteriche quando su una scheda comparivano "location", "concept", "format", "mission".
Gli aneddoti di una vita golosa
Ma Giancarlo era anche la miniera di aneddoti sull'Ambasciata o su Paracucchi, era il signore che portava le sue tre vice curatrici - di cui una al nono mese di gravidanza finita con le gambe sollevate sul divano nel retro per un calo di pressione e un sorso di bianco - a festeggiare la chiusura della guida da Gianfranco Pascucci, o che si faceva regalare - non senza resistenze: farsi pagare il conto era dolorosissimo per lui - la cena di compleanno da Aminta a Genazzano - quella del rum service a bordo piscina.
"Ma non si vive solo di Tre Forchette"
O, ancora, il complice con cui compiere senza pensarci due volte un blitz improvvisato a San Vincenzo per capire cosa ne sarebbe stato del Gambero Rosso (Il Ristorante!) dopo l'addio di Fulvio Pierangelini. Era pure quello che ti regalava il cd di Davide Van De Sfroos per il puro piacere di condividere l'amore per la musica, o che ti portava a pranzo a mangiare un'orata al cartoccio nel posto più anonimo e sperduto di Roma, perché "non si vive solo di Tre Forchette". Giancarlo era una persona straordinariamente "densa", insospettabilmente capace di dare, meno capace di ricevere, al quale tutti quelli che si sono presi la briga di intercettare la sua lunghezza d'onda devono molto. E chi se lo sarebbe mai creso, come avresti detto tu, caro notaio, che ci avresti lasciati così presto?