La scelta della location per la conferenza stampa di presentazione – la Casa Internazionale delle Donne di Roma, luogo simbolo della causa femminista nella Capitale – è indicativa dei presupposti con cui si parte. Si presenta con un manifesto importante Pizzagirls, nuova produzione televisiva per Rai Italia (con già una prima edizione nel 2019) dedicata alla pizza, in 8 puntate, con protagoniste 8 pizzaiole professioniste e imprenditrici che si sono fatte strada in un mondo molto maschile.
Il format Pizzagirls
Ogni puntata dura 45 minuti, per un programma che, nelle dichiarazioni del regista e ideatore, Carlo Fumo «parla di empowerment femminile nel mondo della pizza e del food». Le pizzaiole coinvolte sono tutte ottime professioniste: Roberta Esposito (La Contrada, Aversa), Petra Antolini (Settimo Cielo, Settimo di Pescantina), Francesca Calvi (Le Fonderie, Scandicci), Concetta Esposito (O Vesuvio, Pontedera), Helga Liberto (PizzaArt, Battipaglia), Eleonora Orlando (MangiaPizza, Amsterdam), Francesca Gerbasio (La Pietra Azzurra, Sala Consilina) e Federica Mignacca (consulente, formatrice, ideatrice di Montanarina Story). Rispetto alla prima edizione, novità di quest’anno è la conduzione di Angela Tuccia e il racconto delle storie di vita e di lavoro delle donne protagoniste di questo progetto.
Dietro al banco le pizzaiole dedicheranno le proprie preparazioni ad alcune grandi donne italiane (da Margherita Hack a Bebe Vio). Si parlerà anche di pizza fatta in casa e dell’aspetto nutrizionale delle preparazioni. In onda dal 6 aprile su Rai Italia, canale su abbonamento presente in tutti i continenti (da gennaio è sbarcata anche in Europa), il programma sarà visibile dal 20 aprile anche su Rai Premium e in streaming su RaiPlay. «La pizza è donna» hanno decretato gli intervenuti alla conferenza stampa, ma, su questo, non siamo così ottimisti.
Divario di genere al cubo
Con la prossima edizione, saranno 12 anni che il Gambero Rosso pubblica la guida Pizzerie d’Italia. In oltre un decennio di studio approfondito sul settore pizza, abbiamo riscontrato più volte quanto le donne siano in quota eccessivamente minoritaria in questo settore. Eccezioni fatte, ad esempio, per alcune discipline tradizionali, come quella della pizza fritta, appannaggio delle donne nel patrimonio napoletano, o come quella della panificazione domestica – con la pizza nel ruoto – di maggior parte del Sud del nostro paese.
Nonostante in questi 12 anni le donne siano cresciute in visibilità e, quando sono presenti e hanno spazio, in pizzeria, facciano davvero la differenza (tra i nostri Tre Spicchi, negli anni, sono ormai importanti riferimenti pezzi da novanta come Renata Stiko e la su citata Roberta Esposito), il bilancio non è ancora soddisfacente, soprattutto tra le giovani leve. Notiamo, ad esempio, nelle competizioni di settore e nelle scuole specializzate minima presenza di giovani pizzaiole. Notiamo la persistenza di un’atmosfera machista e maschilista nelle aziende e nelle brigate: questo, in un settore che condivide e amplifica tutte le problematiche della ristorazione in generale, dai turni faticosi agli stipendi bassi, inevitabilmente non attrae una fascia della popolazione che, nel 2024, guadagna in media il 10% dei colleghi uomini (il cosiddetto gender pay gap) e alla quale è delegato quasi totalmente il ruolo di cura in famiglia.
Il pinkwashing e la narrazione limitata
Noi stessi, facciamo mea culpa, parliamo ancora troppo poco delle pizzaiole. Dovremmo fare una copertina al mese sulle talentuose professioniste che fanno grande questo settore, raccontato quasi esclusivamente al maschile. Ben venga quindi una trasmissione televisiva destinata, è importante ricordarlo, al grande pubblico, che valorizzi questi talenti e li faccia conoscere. Il grande “ma” che vogliamo permetterci di sollevare, però, è sulla veste scelta per veicolare questi contenuti: alla stregua di tutti gli eventi e i premi “dedicati”, come il famosissimo World's Best Female Chef, un programma incentrato sulla pizzeria al femminile la ghettizza e fa perdere valore a una lotta che dovrebbe essere ad armi pari, non giocata sulle solite quote rosa protette.
Si parla di donne, ok, ma perché bisogna per forza raccontarle in una sfera dedicata? Se si fosse pensato a un programma con ospiti solo uomini sarebbe stata la normalità, probabilmente non si sarebbe scelto il nome di PizzaBoys, né si sarebbe tinto di azzurro ogni elemento grafico della trasmissione, come invece accade in PizzaGirls: la toque rosa, la grafica rosa, come a dover giustificare (e al contempo banalizzare) l’eccellenza femminile. Ci auguriamo che pizzaiole e cuoche entrino nel racconto gastronomico per quello che fanno e perché lo fanno bene, non solo perché sono donne. Aspettiamo un programma che abbia come protagoniste le donne, ma che parli semplicemente di “pizza”, senza pinkwashing.