“Un cuoco rarissimamente è un artista che ha qualcosa da dire”. Severo, ma giusto, Nicola Perullo in Del giudicar veloce e vacuo quando richiama il famoso passaggio di Carmelo Bene a proposito di Maradona e di un'azione che - se sublime - può diventare pensiero, esperienza estetica e arte anche senza intenzione. Senza che questo faccia del calciatore un artista, senza confondere dunque l'agire con l'attore. Nulla di offensivo, ma solo la necessaria decostruzione della mitologia dell'autore, sia esso calciatore o cuoco, che pare indispensabile in una società che si nutre di personalismi e divismo a ogni livello. Un presupposto, questo, che – insieme allo smantellamento dell'idea che andare al ristorante sia di per sé cultura - è la conditio sine qua non per un volumetto snello (ma densissimo), che in meno di 100 pagine vuole mettere le basi per una critica gastronomica. Che ancora non c'è.
La critica gastronomica non esiste
Una critica che non esiste nel suo significato più profondo, quello di ricerca e riflessone. Al massimo ci si imbatte in cronache, recensioni e valutazioni che nella migliore delle ipotesi, quella in cui – cioè – non ci siano piaggerie o conflitti di interessi a inquinare il giudizio, si limita a classifiche, votazioni, cronache e racconti ed è, troppo spesso, l'espressione “di un piccolo circo che fa fatica persino a trovare un pubblico per lo spettacolo”.
La critica gastronomica (qui circoscritta alla ristorazione) si deve invece collocare “fuori dal chiacchiericcio dell'informazione quotidiana, della comunicazione come notizia, della retorica del giudicar veloce e aggiornato”, cose che per loro natura rientrano (secondo i casi) nella categoria del giornalismo, della cronaca, del gossip. Non certo nella letteratura, tanto meno nella filosofia. Criticare - kantianamente parlando - significa “comprendere le ragioni, le condizioni di possibilità o i principi per cui un fenomeno appare in un certo modo”. Attenzione: appare e non è. La critica è dunque soggettiva, perché riguarda il sentimento del soggetto, non l'oggetto in sé; qualcosa in conflitto con l'immediatezza, la vacuità e la velocità pretesa dalla critica comunemente detta, quella dei voti e delle classifiche che si fonda sull'applicazione di parametri il più possibile oggettivi e che non può concedersi il lusso della storicizzazione e della profondità. Un discorso troppo astratto? No, se si considera quanto i discorsi teorici poi entrino nella vita pratica anche nostro malgrado.
Critici e non: recensori, giornalisti, promotori, professionisti e dilettanti
Scomodare Kant e la Critica del giudizio per un ristorante? Sì, se serve a definire i contorni delle cose, a non cadere in confusione tra attività vicine di casa, ma non coincidenti, in una realtà come la gastronomia in cui, per dolo o per necessità, già c'è molta confusione tra figure diverse “che non di rado si sovrappongono: recensore, promotore/agente, giornalista”. Succede in parte anche in altri settori: per esempio l'arte, dove la critica è in gran misura più vicina alla riflessione che all'espressione di voti, ma con la grande differenza che per fruire di un'opera d'arte non si deve necessariamente acquistarla, come invece avviene (dovrebbe avvenire?) in un ristorante. Dunque la critica gastronomica ha un costo che fa entrare in ballo ancora un'altra differenza, quella tra professionista e dilettate, che non ha necessariamente implicazioni sulla qualità del lavoro, ma solo sulle modalità e sul sistema in cui si inserisce.
La metacritica della critica gastronomica
Nell'elaborazione di una metacritica gastronomica, Perullo (che è professore di Estetica) poggia il suo sguardo sull'estetica del cibo, sul giudizio, sulla competenza, sul gusto come piacere e riconoscimento percettivo, e di nuovo sul binomio arte e cucina, con un approccio che mette sullo stesso piano piatti e opere artistiche, entrambi oggetto della riflessione, con ampio corredo di esempi di cucine, ristoranti, vini e dinamiche legate al “mondo del food”, scardinando luoghi comuni e dogmi comunemente accettati come veritieri. Sempre utilizzando gli strumenti della filosofia.
Non senza passare in rassegna modalità e caratteristiche di tre modelli recensori: Michelin, Triadvisor e World's 50 Best, per la quale pur avendone fatto parte, non risparmia parole severe: “non è che la ri-organizzazione, nell'età della rete e grazie a sponsor potenti, dei circoli e delle lobby che nel Settecento si costituivano in base al censo” perché di fatto alimentano quel circo di cui si parlava nelle prime righe, che nulla ha a che fare con la critica, ma con il ristretto mondo degli addetti ai lavori, e che necessita di un'adesione acritica a un meccanismo che, alla resa dei conti, è ben lontano dall'assicurare l'oggettività della valutazione che si sbandiera.
Una critica gastronomica è dunque possibile? Noi crediamo di sì.
Del giudicar veloce e vacuo – Nicola Perullo – Edizioni Estemporanee – 96pp. - 14€
a cura di Antonella De Santis