Decreto Rilancio. L'emersione dei rapporti di lavoro: articolo 110bis
Trovare un accordo sull’emersione dei rapporti di lavoro, che il Decreto Rilancio regola all’articolo 110bis, non è stato semplice. E ha richiesto un compromesso tra forze politiche – Italia Viva e M5S in primis – ampiamente discusso. Sul tavolo – anche per le necessità poste dall’urgenza di reperire manodopera agricola - c’era l’opportunità di far emergere il lavoro nero di 600mila immigrati che vivono nel nostro Paese, con particolare riferimento alle migliaia di braccianti agricoli rinchiusi nei ghetti e soggiogati dal sistema criminale del caporalato, in condizioni di vita precarie e ora esposti anche ai rischi ulteriori dell’emergenza sanitaria. Il compromesso raggiunto ha pesato sui numeri inizialmente previsti nella sanatoria sostenuta con forza del ministro Teresa Bellanova, che però può dirsi soddisfatta (al punto da commuoversi per la vittoria di una battaglia che l’ha accompagnata per tutta la vita, da quando giovanissima fu lei stessa bracciante sfruttata nelle campagne pugliesi) del risultato raggiunto, perché una regolarizzazione di tale portata non si era mai vista, e, per dirla con le parole di Jean René Bilongo, dell’osservatorio Placido Rizzotto, “è un’opportunità storica, che ci offre soluzioni vere e concrete per iniziare un cammino verso la legalità, tanto più che può disporre della copertura finanziaria di 85 milioni già prevista dal Piano Triennale del tavolo di lavoro contro il caporalato, varato alla fine del 2019”. Tornando ai numeri, però, Luciana Lamorgese, titolare del Viminale, parla ora di un provvedimento che riguarderà circa 200mila immigrati e interesserà braccianti, colf e badanti, cittadini italiani e stranieri con un rapporto di lavoro irregolare e cittadini stranieri con permesso di soggiorno scaduto (a patto che siano stati sottoposti a rilievi fotodattiloscopici prima dell’8 marzo 2020 e che da allora non abbiano lasciato l’Italia). Vediamo nel dettaglio i punti salienti del testo.
Settori di applicazione
Le attività coinvolte dalla sanatoria sono espressamente elencate al comma 3, che fa riferimento ad agricoltura, allevamento e zootecnia, pesca e acquacoltura e attività connesse; assistenza alla persona; lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare. Per quel che più ci interessa, come fa notare Cgil Flai, la menzione alle “attività connesse” al comparto agricolo è molto rilevante nel garantire il controllo dell’intera filiera, “in riferimento a quanto stabilito dal codice civile che segue il prodotto durante tutto il processivo produttivo e non solo la prestazione di lavoro agricolo”. Questo significa garantire l’emersione del lavoro nero anche nei passaggi successivi del comparto agroalimentare, ugualmente afflitti dallo sfruttamento di lavoratori fantasma. E sul lungo periodo impostare un sistema economico più virtuoso.
Procedura di regolarizzazione
La regolarizzazione può avvenire attraverso due canali: su richiesta del datore di lavoro o del lavoratore. Il datore di lavoro (anche qualora dovesse autodenunciare l’esistenza di un rapporto di lavoro irregolare in corso) può avanzare domanda per il lavoratore irregolare italiano o straniero indicando la durata del contratto di lavoro e la retribuzione “non inferiore a quella prevista dal contratto collettivo di riferimento”, e versando 400 euro più una somma forfettaria a titolo retributivo, contributivo e fiscale. Le istanze saranno ritenute inammissibili in presenza di condanna del datore di lavoro negli ultimi cinque anni e non sono in ogni caso sospesi i procedimenti penali per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, sfruttamento del lavoro, di minori o della prostituzione, caporalato (vedi paragrafo sulla scudo penale). La richiesta del lavoratore irregolare (regolata al comma 2), invece, riguarda i cittadini stranieri con permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019, che possono richiedere un permesso di soggiorno temporaneo della durata di 6 mesi e solo se dimostrano di aver lavorato in precedenza, anche solo per un giorno, nei settori interessati dal provvedimento. Presentare la domanda costerà al lavoratore 160 euro, e su di lui non devono pesare condanne o pregresse procedure di espulsione. Che si muova il lavoratore o il datore di lavoro, l’arco temporale per presentare la domanda di permesso di soggiorno in questura o la richiesta di emersione all’Inps e allo sportello unico per l’immigrazione va dal 1 giugno al 15 luglio 2020 (il decreto ha bisogno di circolari che lo divulghino, con limite fissato a 10 giorni dall’entrata in vigore del Decreto rilancio, ndr).
Durata del permesso di soggiorno
Il carattere temporaneo del permesso di soggiorno è uno dei punti più discussi della procedura. Del resto, anche su questo punto ha pesato la necessità di raggiungere un compromesso tra le parti, garantendo comunque l’estensione fino a 6 mesi del permesso temporaneo (alcuni chiedevano di limitarlo a uno o tre mesi). C’è però un’ulteriore specifica: se entro i sei mesi, il cittadino straniero ottiene un contratto di lavoro subordinato, il permesso viene convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, come previsto all’art. 22 (comma 11) del Dl 286/1998.
Richiesta agli Enti locali per la messa in sicurezza dei lavoratori
Il comma 17 si concentra sulle condizioni disumane cui sono sottoposti gli stranieri concentrati nei ghetti diffusi su tutto il territorio nazionale. Affidando alle amministrazioni locali il compito di vigilare e agire per offrire soluzioni abitative dignitose: “Le Amministrazioni dello Stato competenti e le Regioni, anche mediante l’implementazione delle misure previste dal Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato 2020-2022, adottano soluzioni e misure urgenti idonee a garantire la salubrità e la sicurezza delle condizioni alloggiative, nonché ulteriori interventi di contrasto del lavoro irregolare e del fenomeno del caporalato”.
Scudo penale
Previsto al comma 10 che sancisce la sospensione “di procedimenti penali e amministrativi nei confronti del datore di lavoro e del lavoratore che presentano dichiarazioni di emersione”, è il comma 10bis che riporta in equilibrio la situazione: “Non sono in ogni caso sospesi i procedimenti penali nei confronti dei datori di lavoro che hanno favorito l’immigrazione clandestina, e lo sfruttamento del lavoro, di minori e della prostituzione”.
Com’è stato recepito il testo?
“Dobbiamo partire dalle condizioni date. Siamo in una situazione di emergenza e non era scontato che il Governo tra centinaia di misure urgenti varasse questo provvedimento, visti anche i malumori interni”. A parlare è Fabio Ciconte, che con l’associazione Terra! è stato promotore di un appello molto condiviso (redatto con Cgil Flai) per chiedere la regolarizzazione dei lavoratori fantasma. “La misura ha dei limiti, in primis non copre tutte le forme di irregolarità, ma può essere un primo passo. È evidente che un lavoratore irregolare non può far altro che essere sfruttato, un lavoratore regolare ha un’arma in più: il permesso di stare nel Paese e far valere i propri diritti sul caporale e sul datore di lavoro. E non dimentichiamo che il tema dello sfruttamento ha a che fare anche con i lavoratori italiani: una sensibilizzazione sul tema può farci ben sperare per tutti”.
Gli fa eco Jean René Bilongo: “La temporaneità del permesso di soggiorno si applica a una minima parte della platea interessata. La fattispecie più ampia, regolata dal comma 1, invece, può riguardare quelle 160-180mila persone chiuse nei ghetti, che già lavorano in agricoltura senza diritti. E il comma 1 non ha particolari limiti: è la prima volta che assistiamo a una regolarizzazione del genere. C’è il rischio che si possa aprire un ulteriore mercato nero di caporali che speculano sulla promessa di assunzioni dietro pagamento, ma dovremo vigilare. Essere attori e non spettatori di una norma che abbiamo conquistato”.
Diversa la posizione dell’Unione Sindacale di Base, che ha tra i suoi portavoce anche Aboubakar Soumahoro, da tempo impegnato per denunciare la negazione dei fondamentali diritti umani agli stranieri che vivono nelle baraccopoli italiane. “In un contesto di pandemia, ciò che bisogna garantire è la salvaguardia della vita degli esseri umani. L’Italia ripartirà davvero soltanto se riusciremo a tutelare il diritto alla vita. Cosa che non fa il Decreto Rilancio con l’articolo 110 bis dedicato alla regolarizzazione”, si legge nel comunicato USB che annuncia lo sciopero dei lavoratori della terra indetto per il 21 maggio. “Il governo ha deciso di preoccuparsi della verdura che rischia di marcire nei campi e non dei diritti delle persone. Non è nemmeno una questione tra italiani e migranti, perché il 9° rapporto del Ministero del Lavoro sull’occupazione dice che l’82% dei braccianti sono italiani. Per tutelarsi dal Covid-19 chiedevano il rilascio del permesso di soggiorno per tutti, convertibile per attività lavorativa, che consentisse loro di iscriversi all’anagrafe e di avere un medico di base. Il governo ha scelto invece di non accogliere gli appelli”.
a cura di Livia Montagnoli