Il lento declino dei fast food: i casi di Burger King e Subway

28 Giu 2024, 15:59 | a cura di
La pressione finanziaria sta mettendo in seria difficoltà i ristoranti. E anche le catene di fast food non se la passano benissimo

La pandemia sembrava aver dato nuovo slancio alle catene di fast food. Fra l'altro, la formula drive-through  — l’asporto in macchina made in USA — si sposava alla perfezione con le raccomandazioni sanitarie di distanziamento sociale e la conseguente assuefazione all’isolamento. Tanto è vero che, intercettata questa tendenza, le grandi multinazionali del settore avevano iniziato a investire pesantemente nella tecnologia e nella razionalizzazione automatizzata del servizio, per renderlo più efficiente e dunque redditizio. Oggi, l’offerta sembra però apprestarsi a vivere una nuova fase di appannamento. Non solo per quei punti di ristoro che nel tempo non si sono adeguati al cambiamento, ma anche per quelli che non hanno la forza di far fronte alle congiunture o avversità del momento.

Il lento declino dei fast food (cosa sta accadendo)

Come riportano vari quotidiani statunitensi, negli ultimi mesi diverse attività hanno chiuso i battenti. Numerosi franchising sono stati messi a dura prova da inflazione, sottoperformane, recenti scelte strategiche per abbattere i costi, new trends di consumo e, in ultimo, come in California, l’aumento salariale dei propri dipendenti. Il costo della manodopera si è fatto sentire come un macigno soprattutto sulla gestione finanziaria di quei fast food che non sono passati alla formula drive, né hanno contemplato altri servizi d’asporto o un semplice delivery. Insomma, molte imprese stanno arrancando sotto il peso dello stress test imposto dal 2024. Una prospettiva poco confortante che inizia a investire anche le catene più strutturate, che possono cioè contare sulla forza di un brand internazionale, cui vengono associate campagne pubblicitarie di indubbio appeal o programmi di sviluppo di sicuro affidamento. Ne danno prova i dati forniti da the street.com, secondo cui vari franchisee, 400 di Burger King e almeno 48 di Subway, avrebbero dichiarato bancarotta.

Gli altri, almeno per adesso, rimangono in piedi dopo aver ricalibrato la proposta sull’input della propria clientela: «McDonald's e Starbucks […] (aggiungono) nuove offerte di valore ai loro menu». E, in futuro, con questo marketing proiettato su larga scala, volto a standardizzare il gusto, non è detto che ci riescano ancora.

Il fallimento di Red Lobster

Nonostante gli accorgimenti, persino i “fast-diner” di successo non riescono a rispondere più alle aspettative di vendita e di profitto. Fa specie che questo uragano di chiusure abbia risucchiato anche Red Lobster, la più grande catena di ristoranti di pesce al mondo. Un punto di riferimento per generazioni di americani che dagli anni Ottanta vengono deliziati con zampe di granchio e aragoste a buon mercato. Neanche il picco di vendite raggiunto nel 2016 grazie alla straordinaria menzione di Beyoncé — la cantante racconta in una canzone di aver scelto il colosso rosso per una cena romantica — è stato a quanto pare sufficiente per arrestarne il declino. Perché davanti ai conti l’affetto e il supporto (fosse anche prestigioso) possono poco o nulla. Infatti, stando a quanto riferito dalla CNN, Red Lobster ha reso nota la dichiarazione di fallimento presentata a maggio. Ma già nei mesi precedenti aveva chiuso ben 93 sedi in tutto il paese (qualcuna pure in Canada). Inoltre, i debiti accumulati non le avrebbero permesso di sostenere ancora a lungo il pagamento dei fornitori.

Dipendenti del Fosters Freeze di Tracy, città della California

Un “problema” chiamato salario minimo

Ad aumentare le difficoltà di gestione si è aggiunta un’ulteriore voce di spesa: lo stipendio del personale. Il messaggio che stanno facendo passare diversi responsabili d’impresa negli Stati Uniti è che i nuovi tassi di crescita salariale disposti per legge costituiscono uno dei fattori che sta gravando sulla salute finanziaria delle società. È quanto accaduto in California, stato americano in cui è entrata in vigore da poco una legge statale che fissa un salario minimo orario di 20 dollari per i ristoranti che hanno almeno 60 sedi a livello nazionale, «ad eccezione di quelli che producono e vendono il proprio pane» (foxbusiness). Vi è proprio chi si è esposto pubblicamente scaricando in toto la colpa della chiusura dei negozi sul minimum wage imposto. Esattamente quello che ha sostenuto il proprietario della catena Fosters Freeze, Loren Wright, partito da questa motivazione per spiegare la soppressione di una delle sue sedi a Lemoore. Probabilmente, il primo di una lunga fila.

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