Daniele Lippi, classe 1990, è il nuovo chef del ristorante Acquolina di Roma, all'interno del The First Roma Arte – del mini gruppo di hotel capitolini che va sotto al nome di The First - e sotto l'egida Troiani, con il quale Lippi ha cominciato la carriera quasi 10 anni fa. È al Convivio Troiani, infatti, che Lippi si è affacciato per la prima volta in una cucina professionale, subito dopo aver frequentato il corso Professione Cuoco del Gambero Rosso, da cui tutto è cominciato. Poi ci sono stati gli stage in mezzo mondo, tra i più importanti ristoranti del pianeta: Piazza Duomo, Pavillon Ledoyen, Alinea, Lasarte. Sempre ritornando alla base. Oggi è l'head chef di Acquolina, il ristorante in cui raccoglie l'eredità di Alessandro Narducci, scomparso prematuramente e di cui rinnova il ricordo in cucina, in nome del profondo legame che li univa. Qui porta in scena la sua idea di cucina, con una proposta che mette la fantasia al potere, dove tecnica e ispirazione sono al servizio di calembour gastronomici che esplorano le materie prime, spingendosi (e spingendo i suoi ospiti) oltre le apparenze.
Quando ha frequentato corso e quale era?
Professione Cuoco, nel 2010.
Quale è stato l'insegnamento più importante in quel corso?
La prima cosa e la più importante che ho capito è il valore della squadra. In cucina non ci sono solisti, non è come il tennis, è un gioco di squadra e si va avanti se la squadra è forte. Dal punto di vista personale, poi, mi sono appassionato alla panificazione. Ho capito che la professione del cuoco ha tante sfaccettature. Un insegnamento che ancora oggi mi porto dietro al ristorante.
Il corso mi ha dato la possibilità di conoscere dall'interno il mondo del fine dining, con la giusta infarinatura, quella necessaria per affrontare la realtà che mi si prospettava davanti. Anche perché lì ho avuto la possibilità di fare e sperimentare, ma anche di sbagliare e di capire gli errori.
Quale è il tuo percorso professionale?
Ho cominciato a studiare ingegneria informatica, ma ben presto ho capito che non era aria: era tutto molto astratto e avevo la sensazione di non vedere nulla di concreto. Allora ho cominciato a cercare un corso di cucina.
Come sei passato dall'ingegneria alla cucina?
Già quando mi sono iscritto alle superiori ero di fronte a un bivio, indeciso tra tecnico industriale e alberghiero, alla fine ho scelto il primo ma la passione per la cucina già c'era: sono per metà umbro e per metà romano, nella mia famiglia la buona tavola è sempre stata importante. Senza contare che mio nonno aveva un ristorante e mia madre mi ha introdotto alla buona cucina. Insomma, mi sentivo di poter contare su un buon bagaglio.
Chi è stato il tuo primo maestro?
Al Gambero Davide Mazza, che mi ha seguito per il corso, e poi Fabrizio Leggero e Sandro Masci. A metà corso ho conosciuto Angelo Troiani e gli ho chiesto subito se potevo fare uno stage da lui al Convivio. Non volevo perdere l'occasione e non volevo dare un'alta delusione ai miei. Questo corso l'ho fatto impegnandomi al mille per mille, se cominciava alle 9, io ero lì alle 8 a impastare o a fare altre cose. Era una sfida e volevo a tutti i costi che andasse bene.
Quindi sei andato al Convivio?
Sì, ho cominciato il mio percorso con lui, al Convivio e nel gruppo dove sono rimasto per quasi 10 anni facendo anche altre esperienze importanti: con Crippa a Piazza Duomo, da Alléno al Pavillon Ledoyen, da Grant Achatz da Alinea e, anche se per poco tempo, da Paolo Casagrande al Lasarte di Barcellona.
Quanto conta andare all'estero?
La mia formazione è stata prettamente italiana e la cucina mediterranea è il mio bagaglio maggiore. Perché Angelo tiene in gran conto la cucina tradizionale e mi ha aperto a quel mondo. Ma andare all'estero è un'altra cosa, a prescindere dalla tecnica, che c'è in ogni cucina. Andare fuori fa aprire la mente, conoscere altre realtà, anche riguardo la gestione amministrativa e organizzativa. Venivo da una situazione familiare, sono finito nei grandi Tre Stelle internazionali con una gestione diversa. Ho fatto bagaglio di tutte queste nozioni, ma con l'idea di a filtrarle e reinterpretarle in modo personale. Facevo stage e poi tornavo al Convivio, come in un laboratorio, per elaborare quel che avevo imparato.
Ora cosa fai?
Head chef di Acquolina Ristorante
Chi è, oggi, il tuo punto di riferimento e perché?
Tutti gli chef da cui ho fatto stage sono stati punti di riferimento, ho visto chef con la C maiuscola, ognuno con un suo carattere e un suo insegnamento: la grinta di Crippa, Alléno con la sua impostazione da chef francese rigido, e la capacità di gestire strutture incredibili con diversi ristoranti. Lo stesso per Achatz. Insomma. Sono state esperienze importanti.
In Italia, invece?
Non l'ho mai conosciuto, né ci ho mai lavorato insieme, ma ammiro molto Massimo Bottura per quello che sta creando nel mondo della cucina, cercando di dare un senso a piatti, legandoli a ricordi, ispirazioni artistiche o altro. Non è uno chef che si limita a mettere gli ingredienti nel piatto e a farli girare bene in bocca, lui aggiunge un messaggio, un valore.
Mi piacerebbe riuscire a coinvolgere il cliente non con esercizi di stile ma attraverso tecnica, tradizione e territorialità italiana.
La cena o il pranzo che ti ha colpito di più e perché?
Ricordo 7 o 8 anni fa, la mia prima volta da Vissani. Non ero mai entrato in un ristorante del genere.
Quali sono, secondo te, le qualità che deve avere un cuoco oggi?
Il mondo è cambiato: non basta più saper spadellare e fare un buon sughetto, bisogna avere leadershp, essere psicologi, capire i collaboratori, essere persuasivi, carismatici e poi ogni tanto uscire fuori dalla cucina e saper mandare un messaggio. Oggi bisogna essere immersi a 360 gradi in questo lavoro, ed essere imprenditori di se stessi.
Il piatto di cui sei più orgoglioso?
Il mio signature, il topinambur come un carciofo.
In che modo stai lavorando da Acquolina?
Manteniamo una proposta di pesce per un buon 70% e lo integriamo con alcune portate di carne. Il menu Bosco e riviera è quello dedicato ad Alessandro Narducci, per ricordare un modo di dire che amava ripetere. È un degustazione in cui la carne impatta sul pesce e viceversa. E poi ci sarà anche un menu mio che sto mettendo a punto, dovrebbe chiamarsi Made in Terraneo.
Acquolina - Roma - The First Roma Arte - via del Vantaggio, 14 - 06 45617070 - https://www.acquolinaristorante.it/
a cura di Antonella De Santis
foto Barbara Santoro