L’assalto di Ultima Generazione al ristorante di Carlo Cracco in Galleria Vittorio Emanuele a Milano è un atto populista oppure giusto a seconda del punto di vista dal quale lo si guarda (qui la nostra intervista agli attivisti). Ognuno ha la sua risposta. Di certo colpisce un simbolo del simbolo del simbolo. Carlo Cracco come simbolo del fine dining come simbolo del lusso come simbolo dell’inaccessibile. In questi giorni si è letto di tutto su questo “colpirne uno per alimentarne cento”. Ma pochi si sono soffermati sull’aspetto secondo probabilmente più significativo della faccenda: il modo differente e peculiare con il quale il cibo viene visto nel discorso collettivo, qualsiasi sia la materia del contendere. La lotta di classe ormai funziona solo con il tovagliolo al collo.
Spieghiamoci: l’alta cucina, piaccia o non piaccia, sta alla cucina quotidiana come una Ferrari sta a una Punto, come un Rolex sta al mio Casio, come un paio di Manolo Blahnik sta alle Birkenstock, come Gucci sta a Primark, come una poltrona Frau sta a una Ektorp di Ikea. In ciascuno di questi ambiti esistono vari standard di qualità e corrispondenti livelli di prezzo ed è dato per pacifico che ogni persona si rivolga alla categoria merceologica che faccia rima con la propria capacità di spesa, così come è assodato che esista un valore immateriale dato dal prestigio di un marchio che prescinde quello puramente di uso. Poi sappiamo bene che ognuno di noi ha priorità diverse ed è disposto a fare maggiori sacrifici per qualcosa che gli sta particolarmente a cuore e spenderà il minimo indispensabile per quello che ha una pura funzione di servizio e nessun valore simbolico.
Categorie morali a tavola
Tutto questo funziona in maniera piuttosto lineare fin quando non si tocca il cibo. Quando ci si siede a tavola ciascuno ritiene di avere il diritto di dire la sua e di applicare categorie morali a quelle che sono semplici constatazioni di classe: c’è il ricco e c’è il povero, punto. E sempre ci saranno (qualcuno pensa ancora che la redistribuzione delle risorse economiche sia ancora una partita aperta?). E quindi non spetta a Carlo Cracco provvedere a fornire pasti a prezzi calmierati: lui propone esperienze a prezzi altissimi, con materie prime di lusso e personale perfettamente sbarbato, vestito e addestrato a una clientela che se lo possa permettere. Si chiama libero mercato. E un po’ anche libero arbitrio. A sfamare chi fa fatica ad arrivare a fine mese deve pensare lo Stato, devono pensare gli ammortizzatori sociali. Esiste il diritto costituzionale a godere degli strumenti per la sussistenza propria e della propria famiglia. Non esiste il diritto al lusso.
Semmai il problema è quello della ristorazione media o medio-bassa, che ha più o meno raddoppiato i prezzi negli ultimi dieci anni, in particolare a Milano. Poter cenare a 20 anni mangiando cibi semplici e sani in luoghi modesti e puliti: questo sì sarebbe un obiettivo per cui battersi, non trovate? Il 7 dicembre 1968 davanti al Teatro alla Scala, a un paio di centinaia di metri dal ristorante di Cracco, Mario Capanna e altri esponenti del movimento studentesco tesero un agguato a colpi di uova al pubblico che si avviava alla prima scaligera, facendo stragi di pellicce e smoking. Allora il simbolo del lusso erano animali scuoiati indossati da signore annoiate in fila per andare ad ascoltare il Don Carlo di Verdi. Oggi sono animali allevati in modo sostenibile per finire su piatti in crosta di cacao. In entrambi i casi il bersaglio mi sembra sbagliato, ma ora ancora di più.
Ostilità stellare
Esiste un’ostilità tutta italiana nei confronti dell’alta cucina, forse anche a causa del fatto che ci riteniamo tutti critici gastronomici, che abbiamo solide tradizioni regionali e familiari che ci spingono a pensare che è senza dubbi meglio la pasta e patate di mammà che il Riso mantecato allo zafferano e midollo alla piastra di Cracco (prezzo 48 euro, se volete saperlo).
Un astio che parte dai luoghi comuni (“una cena a 250 euro è da ladri”, “esci da là e hai ancora fame”, “ti portano la carta dei vini e ti fanno sentire stupido se non sai cosa scegliere”), passa attraverso inchieste raffazzonate confezionate da trasmissioni come “Farwest” e sfocia nelle manifestazioni di giovani ambientalisti in cerca di visibilità che ben sanno ormai fa più notizia stendersi davanti a Cracco che davanti a una concessionaria della Lamborghini. Gente che, sono certo, un ristorante stellato non lo frequenterebbe nemmeno se una cena costasse 30 euro.