C’è stato un tempo in cui gli alcolici erano serviti in angoli appartati, nascosti: era l’epoca del proibizionismo, e i titolari delle taverne dovevano inventarsene di tutti i colori per accontentare i clienti. Quei luoghi erano divisi dal resto dello spazio, sbarrati: barred, in inglese. È dall’abbreviazione di questa parola che si è arrivati a bar, termine con cui si è finiti per indicare poi l’intero locale. In Italia il bar è un’istituzione, tanto che si parla di bar all’italiana, talmente il concetto di caffetteria europea è culturalmente lontano dai nostri standard. Il primo esperimento ci fu nel Cinquecento, ma bisogna aspettare la diffusione delle caffetterie viennesi perché il bar inizi a diffondersi nelle grandi città della Penisola.
Dalle locande alla scoperta del caffè
Prima dei bar, ci sono stati i caffè. E prima ancora è stato il tempo delle locande, quelle di Don Chisciotte e di Shrek, ispirate alle taberne degli antichi romani, dove i viandanti si rifocillavano con un piatto caldo e un po’ di vino. Nel Medioevo erano spazi attrezzati con un unico grande tavolo (quello che oggi è tornato di moda e chiamiamo tavolo sociale), qualche pietanza e soprattutto molto alcol. Erano il rifugio dei viaggiatori, che potevano fermarsi a mangiare un boccone e restare per la notte, ma la clientela era la più disparata e non sempre raccomandabile.
Un tempo erano l’unica forma di ristorazione possibile (nel Regno Unito, per esempio, sono state proprio le Public House, osterie dove trovare vitto e alloggio, a dare vita ai celeberrimi pub), poi nel Seicento le cose sono cambiate e iniziarono a fare capolino le prime caffetterie, che intercettavano un pubblico ben divero e molto più esigente. Accadde a Vienna: si narra che dopo l’assedio turco del 1683, le truppe dell’Impero Ottomano si ritirarono lasciando dietro di loro sacchi di caffè, un prodotto ancora sconosciuto che venne scambiato per mangime per i cavalli. Re Giovanni III di Polonia lasciò i chicchi a Franciszek Jerzy Kulczycki, ufficiale dell’esercito che invece aveva riconosciuto la materia prima, che trasformò in una bevanda aggiungendo zucchero e panna.
Il mito delle caffetterie viennese
Due anni dopo, sempre Kulczycki aprì la prima caffetteria viennese, accanto al duomo di Santo Stefano. Erano luoghi di incontro, prima ancora che di consumo: certo, c’era il caffè (preparato alla turca) e c’erano i dolci, ma soprattutto c’era un ambiente elegante e raffinato, un'atmosfera di festa tra tavoli in marmo e sedie imbottite. Qui si leggevano i giornali, ci si sedeva a scrivere lettere, e soprattutto ci si ritrovava tra intellettuali e artisti. Da quel primo caffè del 1685, ne nacquero moltissimi altri. Nel Novecento, le caffetterie viennesi raggiunsero il loro massimo splendore, anche grazie ai tanti scrittori, politici e personaggi di spicco che decisero di farne il loro punto di riferimento. Le altre città dell’Impero austro-ungarico, da Praga a Budapest, da Cracovia a Trieste, seguirono l’esempio e cominciarono a istituire i primi caffè.
Il primo bar italiano a Venezia
Quello che potremmo definire come il primo bar d’Italia, però, era in realtà già stato aperto a Venezia due anni prima, nel 1683. Si chiamava Bottega del Caffè e si trovava sotto i portici di piazza San Marco: il merito fu del medico botanico Prospero Alfino, che dopo un lungo periodo in Egitto decise di riportare nel suo paese gusti e rituali di quei chicchi profumati, inizialmente proposti come medicinale. Le influenze dei vicini territori austro-ungarici, negli anni successivi decretarono definitivamente il successo della bottega, imitata poi anche nelle altre grandi città italiane.
Una svolta importante arrivò un secolo dopo, nel 1720, con l’apertura del celebre Caffè Florian, ancora una volta a Venezia. Due anni dopo, fu il turno del Caffè Pedrocchi a Padova, e poi il Gilli a Firenze, nel 1733, seguito dal Greco a Roma, aperto nel 1760. Bar che hanno fatto la storia, ben lontani dal nuovo concetto di caffetteria che si sta diffondendo negli ultimi anni, tra caffè specialty ed estrazioni curate, ma che hanno spianato la strada per creare quella fittissima mappa di insegne che hanno contribuito a creare il mito del bar all'italiana.