Il 18 gennaio 1964 Il Corriere della Sera titolava: «L’italia è fatta: la sua cucina no. Ci avviamo appena verso l’unità (a tavola) con gli spaghetti e il panettone: per questo mancano ancora studi e trattazioni a carattere nazionale». Esattamente sessant’anni dopo ci stiamo ancora chiedendo cosa sia (e se esista) la cucina italiana: ma ora come allora il panettone rappresenta una gloria nazionale indiscussa.
Circolano diverse leggende su come sia nato: da Messer Ulivo degli Atellani, semplice garzone di un fornaio che lo avrebbe inventato per amore della bella figlia del panettiere; o dal mitico Toni, sguattero di Ludovico il Moro, che lo presentò in tavola come sostituto di un dolce bruciato ed ebbe la fortuna di tenerlo a battesimo come “Pan de Toni”. Ovviamente sono ricostruzioni fantasiose che riportano l’invenzione milanese a un’epoca in cui non esisteva nulla di paragonabile all’odierno panettone.
Il pane di Natale
La vera storia è molto più recente e non ci racconta della fortuita intuizione di un pasticcere, ma di una lenta evoluzione tecnica a partire da ricette francesi e austriache. Ma cominciamo dall’inizio, quando il panettone non esisteva ancora (ma intanto, vi segnaliamo qui la classifica del Gambero sui migliori panettoni artigianali del Natale 2024).
L’antica tradizione di cuocere grandi pani dolci in occasione del Natale è diffusa in molti Paesi europei. Ne esistevano diverse tipologie variamente arricchite, preparazioni semplici tramandate oralmente, molte delle quali si sono perse con il passare dei secoli. Una delle ricette italiane più antiche è riportata dall’agronomo bolognese Vincenzo Tanara nel suo L’economia del cittadino in villa del 1644: “I nostri contadini ... impastano la farina con lievito, sale, & acqua, over d’acqua melata (mielata), incorporando dentro uva secca, e zucca condita in mele (candita con il miele), aggiuntovi pepe, & ne fanno una pagnotta grossa, quale chiamano Pan da Natale”.
Questi dolci erano accomunati dalle grandi dimensioni e pertanto venivano chiamati anche “panoni” o “panatoni” e possiamo considerarli i rustici antenati del moderno panettone.
All’epoca esistevano già alcune tipologie di lievitati più delicati e morbidi, impastati con farina, uova, burro e zucchero come i “Pani de latte e zuccaro” descritti da Cristoforo Messisbugo a metà Cinquecento: e alcuni pani di Natale potevano forse avere una forma più raffinata già all’epoca. Purtroppo la documentazione storica in merito è molto lacunosa, per cui sono solo supposizioni.
La brioche francese
Nei due secoli successivi le tecniche dolciarie fanno un grande balzo in avanti grazie ai cugini francesi che arrivano a realizzare veri e propri capolavori gastronomici. Uno di questi è una pasta particolarmente soffice e leggera realizzata con lievito di birra e lunghe lievitazioni: la brioche. Una specialità che contagerà tutta Europa ed è tuttora alla base di svariate specialità italiane: dal maritozzo, al babà, fino alla brioscia col tuppo.
Verso la metà del Settecento la strada è ormai segnata e La Cuisinière bourgeoise di Menon riporta la ricetta di un “gateau de brioche” che può avere anche dimensioni piuttosto generose, di poco inferiori a un odierno panettone, come si vede in alcuni dipinti dell’epoca. La tecnica francese si diffonde in particolare nell’Impero Asburgico dove conosce un certo successo. Difficile dire quanto il Ducato di Milano, all’epoca sotto dominazione austriaca, venga influenzato da queste mode dolciarie, ma negli ultimi anni del XVIII secolo troviamo una delle prime attestazioni del panettone riferita proprio alla città meneghina: “Gli speziali e fornaj milanesi a Natale, per regalare gli avventori delle loro botteghe fanno un pane assai grande chiamato panatone. Un pane è questo il quale sopra una libra di farina ha una quarta di butiro ed una quarta di zucchero, qualche poco di passolina volgarmente ughetta (uvetta) e qualche altra galanteria ad arbitrio del compositore". Era nato il panettone milanese: un dolce ricco e goloso da gustare durante le feste natalizie.
Il panettone milanese
Durante tutto l’Ottocento si moltiplicano i riferimenti della specialità milanese che acquista sempre più notorietà. A metà secolo ormai il successo è tale che viene spedito in tutta Europa e partecipa all’esposizione nazionale del 1864 e a quella di Parigi del 1867. All’epoca il panettone era una specialità completamente artigianale e il pasticcere più rinomato per la sua produzione era il milanese Paolo Biffi a cui facevano concorrenza Carlo Lorioli di Brera, il Caffè Sanquirico e Ambrogio Lazzaroni. La pasticceria Biffi viene anche ricordata dai contemporanei per alcuni monumentali panettoni “di 15 a 25 chilogrammi cadauno, cotti alla perfezione, che destarono l’ammirazione delle principali città d’Europa”, come riporta “L’Imperatore dei Cuochi. Manuale completo di Cucina Casalinga e di Alta Cucina” del conte Vitaliano Bossi supportato dal capo-cuoco Ercole Salvi: edito da Edoardo Perino in 57 dispense nel 1894-1895.
Ciambellone o panettone?
Ma com’era il panettone ottocentesco? Le descrizioni sono davvero rare e poco dettagliate: sappiamo che assomigliava al “ciambellone di Siena” – piuttosto rinomato all’epoca – ma rispetto a quello la sua pasta era "con canditi, ma più aerata, più asciutta, quindi da conservarsi e da mantenersi inalterata anco per lunghi viaggi", inoltre non era "molto dissimile da vari altri preparati congeneri di Torino, Venezia, Brescia, Pisa e di quasi tutte le altre città d’Italia che lo riproducono sotto forme differenti e nomi diversi".
Si presentava quindi più denso e compatto di quello attuale, condividendo molti tratti comuni con altre specialità locali, ma stava diventando una celebrità anche oltre i confini meneghini.
Le prime ricette
Non sono molti i manuali di cucina che riportano la ricetta del panettone alla milanese, probabilmente considerato una specialità troppo complessa per la cucina domestica.
La prima descrizione è contenuta nel Codice gastrologico economico del 1841 dal titolo il “Cuvuluf, ossia panotto alla Milanese”. Questa strana intestazione tradisce in qualche modo le radici mitteleuropee della preparazione riferendosi al kugelhupf (oggi conosciuto anche come gugelhupf o kugelhopf) un lievitato tipico della pasticceria diffusa in Alsazia, Germania meridionale, Svizzera, Austria e la zona triestino-goriziana , dove attualmente è chiamato Cuguluf.
La farina di grano tenero, probabilmente poco “forte”, quindi incapace di sostenere grandi lievitazioni, doveva dare un risultato più simile a una grossa ciambella dall’alveolatura finissima.
Negli anni Sessanta si inizia a sentire l’esigenza di alleggerire l’impasto e sollevare la cupola del panettone facendo ricorso a una maggiore quantità di glutine. Non avendo accesso a farine di frumento “di forza” la scelta cade sulla semola, una soluzione che permette di sopportare lievitazioni più lunghe formando una struttura più areata, ma con risultati ancora lontani dalle soluzioni odierne.
Il panettone di Angelo Motta
Il panettone milanese, sempre più grande e ricco, stava diventando una vera sfida tecnica per i pasticceri. Mentre i francesi restavano fedeli alle loro brioche, perfezionando la lavorazione grazie a maestri come Antonin Carême e i suoi eredi, in Italia si affinavano le tecniche per creare lievitati sempre più imponenti.
In questo contesto, nel 1919 Angelo Motta apre il suo laboratorio di pasticceria in via Chiusa a Milano. Partito con risorse limitate e pochi strumenti, in meno di dieci anni si distingue per la qualità dei suoi panettoni. Investendo in macchinari moderni, riesce a incrementare la produzione e a metà degli anni Trenta, la sua “Dolciaria milanese” è già tra le aziende leader del settore, differenziandosi dai laboratori artigianali milanesi. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, la Motta è ormai la seconda impresa dolciaria italiana, con il panettone come prodotto di punta.
I primi panettoni industriali
Ma come erano i primi panettoni industriali? Stavano assumendo l’aspetto che conosciamo oggi, anche grazie all’utilizzo di farine di frumento più forti, come la “farina d’Ungheria” già presente sul mercato da tempo. Tuttavia, contenevano meno burro e altri ingredienti, risultando meno golosi per il nostro palato attuale. La tipica forma cilindrica con la sommità rigonfia venne introdotta solo dopo la metà degli anni Trenta grazie all’utilizzo degli stampi in carta: prima di allora, i panettoni avevano una forma a cupola più bassa, simile al tradizionale Pane di Natale.
Un successo universale
Il panettone aveva ormai raggiunto la propria dimensione industriale che ne permetteva la produzione di grandi quantitativi per soddisfare la richiesta in Italia e all’estero. Nel frattempo molti compatrioti erano emigrati Oltreoceano, dove continuavano a mantenere vive le tradizioni gastronomiche italiane. Le ricette delle feste erano un patrimonio comune e venivano costantemente riproposte, ma il panettone originale bisognava ancora farselo spedire direttamente da Milano.
Di questa mancanza si accorse anche Carlo Bauducco che a Torino aveva una piccola rivendita di caffè proveniente dal Brasile. Grazie ai suoi contatti, dopo avere tentato di commerciare in macchine per la panificazione, si ritrovò nella città di San Paolo dove osservò che la comunità di italiani emigrati in Brasile era un enorme potenziale mercato pronto a ricevere una produzione locale di panettoni.
Il panettone di Minas Gerais
Dimostrando uno spirito imprenditoriale non indifferente, Carlo Bauducco si trasferì a Extrema, nello stato di Minas Gerais, con tutta la famiglia. Portò con sé il pasticcere Armando Poppa e un panetto di lievito madre, capostipite di tutti i panettoni futuri: nel 1950, a Extrema venne sfornato il primo esemplare di una lunga serie. Tanto che oggi Bauducco è la più grande azienda di panettoni al mondo con una produzione annua di 80 milioni di pezzi che vengono esportati in 50 paesi dagli Stati Uniti al Giappone. Anche grazie a questa azienda, il Brasile guida la classifica mondiale dei “mercati del panettone” con circa 200 milioni di pezzi, seguito dal Perù e dall’Italia che è solo in terza posizione con 50 milioni di panettoni prodotti ogni anno.
La forza del made in Italy
Anche se Bauducco è poco noto nel nostro Paese, non ha nulla a che vedere con il fenomeno dell’Italian sounding, anzi è l’espressione più elevata del successo dell’imprenditoria italiana all’estero. Grazie alla standardizzazione dei processi produttivi e a prezzi competitivi, Bauducco è riuscito a trasformare una specialità nazionale in un prodotto conosciuto e apprezzato in tutto il mondo.
Il panettone made in Perù
Il “panettone peruviano” D’Onofrio non ha una storia molto diversa e anch’esso è figlio del successo imprenditoriale italiano. Alla fine dell’Ottocento il gelataio ventunenne Antonio D’Onofrio partì da Caserta per il Sudamerica dove finì a capo di un impero di gelati e dolciumi. Una produzione portata avanti dal figlio Antonio e infine ceduta a un ramo della Nestlé nel 1997. Orgogliosamente peruviano, il marchio rivendica origini italiane ed è fortemente radicato nel Paese sudamericano.
Tradizione tricolore di qualità
Nonostante la disparità a livello quantitativo, il panettone italiano continua a essere richiesto anche all’estero grazie alla qualità delle materie prima impiegate e alla cura in fase di realizzazione. La forza del made in Italy non si fonda solo sulla produzione industriale, ma sulla continua sperimentazione di soluzioni innovative volte a migliorare le caratteristiche del panettone.
La produzione artigianale registra una crescita costante, grazie ai maestri pasticceri italiani (e agli chef, che ne producono di notevoli: qui la classifica dei migliori) che fanno progredire il settore dei grandi lievitati. Una tradizione con oltre due secoli di storia, capace di mantenere l’Italia saldamente in vetta per la qualità dei suoi panettoni.