«Piove oro bianco». Questa metafora viene in mente quasi in automatico quando si guarda il Tartufo Bianco di Alba (nome scientifico: Tuber magnatum pico) che viene “lamellato” su un risotto, un tagliolino o anche sopra un uovo. Non si tratta solo di un riferimento al prezzo di questo pregiatissimo fungo ascomicete commestibile, ma anche di quanto rappresenti una ricchezza a livello territoriale del Piemonte, considerato tra i più pregiati al mondo. Ma come si sceglie un tartufo? Quali sono caratteristiche da cercare e, soprattutto, come se ne conserva uno nel modo migliore? Le risposte le ho trovate durante la Fiera Internazionale Tartufo Bianco d’Alba. L’evento in cui questo prodotto della terra viene celebrato, raccontato, valorizzato e, naturalmente venduto.
La fiera del diamante d’Alba
Arrivati alla 94esima edizione, la kermesse è stata messa in piedi da Giacomo Morra nel 1929 «Un visionario che fu l’inventore e a suo malgrado fu il primo economicista a livello di marketing del Tartufo Bianco d’Alba, pur essendo solo un albergatore. È riuscito infatti a portare ai fasti questa fiera grazie alle regalie che faceva nel mondo. Regalava tartufi a diverse personalità tra cui presidenti degli Stati Uniti e anche a Marilyn Monroe. Era un modo per far conoscere questo prodotto con una determinata struttura organolettica caratteristica che si può trovare solo qui». Dice Stefano Cometti, Giudice di Analisi Sensoriale del Tartufo.
Segni particolari
«Oggi siamo nel boom della qualità della tartufo bianco d’Alba. Grazie alla nascita che ci è stata in questi giorni dovuta alle piogge di agosto. In quanto per la formazione dello sporocarpo, il corpo fruttifero del tartufo, occorrono 3 mesi. In questo periodo si è formato perfettamente insieme al suo profilo aromatico tipico». Un’annata particolarmente fortunata quella del 2024. Piogge abbondanti che hanno portato alla formazione di esemplari particolarmente aromatici. Ma quali sono i tratti tipici da ricercare in questa particolare varietà di tartufo? «Le caratteristiche proprie sono quelle dettate dall’analisi sensoriale, metodologia scientifica che si occupa di catalogare e descrivere le caratteristiche visive olfattive e tattili del tartufo. Il bianco d’Alba ha un marker olfattivo particolare dato dalla presenza degli ioni zolfo presenti nel terreno sostanze che gli conferiscono una sensazione di piccantezza legata all’aglio. Dapprima si sente un caratteristico profumo di aglio fresco che, tuttavia, non deve essere mai prevaricante. Questa prima sensazione viene smorzata da una sensazione dolce di fiori di tiglio o di acacia, miele e termina con una scia costante di fungo fresco. Inteso come porcino fresco appena affettato o champignon».
Consigli per gli acquisti
Il prezzo? Sulla stagione 2024 sono attorno ai 3.500-4.000 euro al kg, a seconda delle diverse pezzature. Ma quali sono i criteri per sceglierne uno se si vuole fare un piccolo investimento gastronomico? «Uno dei modi migliori è acquistarlo in fiera. Qui, i tartufi vengono controllati uno per uno e se non rispondono ai criteri dell’analisi sensoriali non possono essere venduti. In generale la cosa principale che consiglio a tutti è fidarsi del proprio naso, evitando profumi che possono apparirci familiari e “sicuri” come quello di formaggio o caseificio, che non sono caratteristiche dei tartufi, ma ricercare quelli caratteristici di questa varietà: aglio, miele e fungo».
Anche l’occhio vuole la sua parte
Passato l’esame olfattivo resta quello visivo. Consistenza e forma influiscono tanto sul sapore? Meglio tondo e liscio o bitorsoluto e irregolare? «La consistenza è importante. Deve avere una consistenza solida, non gommosa o morbida. In questo periodo la consistenza è un 9 sulla scala dell’analisi sensoriale. Vuol dire che è strutturato con una densità incredibile. Per quanto riguarda l’aspetto, tra un tartufo piatto, tondo o irregolare a livello qualitativo non c’è molta differenza. Bisogna sapere che un tartufo tondo è più caro del 10% per via delle sue caratteristiche estetiche. Quando parlo di tartufi in televisione espongo un tartufo tondo perché è come una bella perla in uno scrigno. A livello qualitativo, però, sono tutti quanti buoni».
Le dimensioni contano?
Rimane solo decidere quanto spendere. Una scelta che determina la dimensione. Verrebbe da pensare che più il tartufo è grande (quindi costoso), più è buono. La realtà è ben diversa, fortunatamente. «Per tartufi di pezzatura “grande” il peso a cui penso va dal mezzo chilo fino al chilo. Tuttavia non sono così buoni perché tendono a maturare in una maniera non molto omogenea. Un fatto dovuto dal loro processo di sviluppo biologico-vegetativo. A livello ottimale penso che si possa andare dai 20gr a salire. Anzi, 20 grammi vanno benissimo per due persone ed è una pezzatura che può essere utilizzata e mangiata in maniera veloce, magari in un’unica soluzione».
Regole di utilizzo
Esistono pochi dogmi in fatto del suo utilizzo. Prima di tutto il tartufo va “lamellato” con l’apposito utensile. «Non bisogna usare metodi empirici o alternativa come coltellino o lo sbuccia patate. Il taglia tartufi si trovano dai 15 euro a salire, una spesa che chiunque può sostenere e a quel prezzo se ne trovano che durano una vita». Oltre a un gesto piuttosto scenografico, il taglio di tartufo in sottili ostie sopra un pietanza al momento del servizio ha una sua precisa funzione.
«Il tartufo bianco non va usato in cottura, non va assolutametne scaldato o “cotto”. A differenza del tartufo nero, che non va lamellato, ma grattugiato con le microplane da cacao e può essere utilizzato scaldandolo nel burro per mantecare una pasta o cuocere un uovo. Una volta lamellato quello bianco d’Alba funziona come il filtrino di un tè.
La lamella sottilissima farà si che le particelle di vapore della pasta passino attraverso lo strato sottile e daranno al fortunato assaggiatore quel insieme di profumi che ne caratterizzano il prodotto». Meglio la varietà nera o bianca? Dipende un po’ dagli usi che se ne vuole fare, ma anche dal profilo aromatico che si sta cercando. «Il Tartufo nero ha esclusivamente profumi di fungo fresco. Nel tartufo nero pregiato ci possono essere delle nuance, delle piccole note di vaniglia e cacao e zafferano».
Un lusso a breve termine
Tra le cose da non fare a seguito dell’acquisito va sottolineato che non va tenuto come una reliquia, o peggio, immerso nei chicchi di riso. «Il riso è igroscopico quindi toglie umidità al tartufo. Se lo si ripone lì, si finirà per avere come risultante un riso profumato, ma un tartufo che ha perso le sue caratteristiche e sarà diventato fondamentalmente un “pezzo di sughero”. Il tartufo va conservato, avviluppato singolarmente in una pezzuola di carta, conservato in un contenitore ermetico ad una temperatura di 4 o 6 gradi per qualche giorno. Ogni giorno andrebbe sostituito l’involucro perché la carta tende a diventare umida. Però, a mio avviso, il miglior modo per preservarlo è quello mangiarlo e conservane il ricordo».