Sono passati oltre 70 anni dalla sua nascita, e ora il Cardinale, creato al Westin Excelsior Hotel di Roma, entra nella più importante antologia dei cocktail, la guida ufficiale e mondiale delll'IBA, International Bartenders Associations, vera Bibbia dei bartender.
La (ri)nascita degli anni Cinquanta
Quando è stato inventato, Roma si lasciava alle spalle i tempi bui della guerra e si apprestava a diventare il centro del jet set internazionale. Erano gli anni '50 e via Veneto, complice la presenza dell'ambasciata statunitense, era un'appendice a stelle e strisce, mentre i divi di tutto il mondo cominciavano a darsi appuntamento nei tavolini dei bar immortalati con un bicchiere in mano. Vino, whisky, spesso cocktail. Tra questi anche uno made in Italy, anzi, made in Rome, in quella stessa strada paparazzata nei giornali di mezzo mondo. Era il Cardinale, che per farla semplice si potrebbe raccontare come un parente più asciutto del Negroni, da cui si discosta essenzialmente per l’uso del Vermouth Dry al posto del Vermouth Rosso.
Preparato nel mixing glass e servito in coppetta senza ghiaccio e con peel di limone deve la sua nascita a Giovanni Raimondo, barman del bar dell'Excelsior dell'epoca che aveva alle spalle esperienze internazionali, soprattutto in Costa Azzurra. La storia – parecchio romanzata a dire il vero – vuole che il nome sia un tributo al cardinale tedesco Francis Joseph Spellman (e non per Shultz o Shumann come erroneamente si pensa) chiamato il Papa Americano, uomo di chiesa e di potere, amante della bella vita e grande appassionato di Riesling della Mosella, che beveva con mixato con gin e Bitter Campari, arricchito da chiodi di garofano, cannella e buccia di limone (un drink molto simile a un drink francese degli anni '20, chiamato appunto Cardinal). La versione 2.0 - con 3/6 di gin, 1/6 di Campari e 2/6 di enolito di Riesling - pare sia stata suggerita al cardinale proprio da Giovanni Raimondo, che modificò un po' la ricetta, eliminò le spezie, lasciando solo la buccia di limone.
Così Raimondo sancì la fortuna di quel drink rosso cardinalizio, mentre la clientela internazionale che frequentava via Veneto contribuì a farlo conoscere oltre confine. All’inizio degli anni ’80, però, il Cardinale cadde nel dimenticatoio, fino a quando Luca di Francia, barman di quello stesso bar dell'Excelsior, che ora si chiama Orum, decise di riportarlo in vita e dargli l'attenzione che merita. Oggi ne serve anche 50 al giorno, nella versione originale, in una coppa che strizza l'occhio a quelle degli anni '50, o in twist arricchiti da essenze alcoliche home made; ripristinato anche il carrello per il servizio al tavolo, proprio come negli anni '50.
Luca di Francia insieme all’intero staff (Angelo Donnaloia, Daniele De Santis e Francesco Di Carlo, Fulvio o Monaco), ha deciso infatti di ridare visibilità a questo drink con una carta dedicata (con variante secca o delicata), ripercorrendone la storia e testimoniandone la diffusione, in Italia e fuori. È in virtù di questa che l'IBA ha deciso per l'inserimento del Cardinale nel suo manuale, a pagina 204, ma in una versione leggermente modificata: 40 cl di gin, 2 cl vermouth dry, 1 cl Campari.