Il cliente ha sempre ragione. Salvo quando ha torto. Le storie da sempre tese tra cliente e ristoratore si sono ulteriormente inasprite negli ultimi tempi. Il consumatore, al grido “guadagno, pago, pretendo” sembra in uno stato di perenne ribellione contro le regole che i locali impongono per fornire servizi migliori, ma che vengono vissute come ignobili vessazioni da chi sente il padrone delle ferriere, sempre e comunque. Certo, il cliente è colui che paga e che dovrebbe uscire dal ristorante con panza piena e sorriso largo. Ma se questo non accade, è il momento di dirlo, non è sempre colpa di chi lo ha accolto. Già, il cliente non ha sempre ragione. Diciamo quasi sempre salvo in questi quasi.
Le regole per essere un buon cliente a tavola
Quando prenota e non si presenta
Il “no show” è il peccato (anzi, il “paccato”) originale del cliente. Non rispettare una prenotazione è come tradire il patto silente tra l’esercente e il destinatario del suo servizio. Soprattutto per un ristorante fine dining con pochi coperti che ha modulato la sua spesa quotidiana in base ai coperti riservatie che non può sperare di riempire il buco con un cliente di passaggio. Dietro questo comportamento, salvo casi eccezionali di contrattempi importanti, c’è la “tinderizzazione” della relazione che molti di noi hanno con il ristorante: scrollo le varie ipotesi, prenoto qua e là per lasciarmi aperta ogni porta e all’ultimo momento decido, lasciando con un palmo di naso gli scartati.
Un vero “ghosting” gastronomico. Dietro questo atteggiamento, oltre alla maleducazione (vedi voce) c’è anche l’arroganza (vedi voce) di chi pensa che tanto un locale guadagna lo stesso derubando il povero cliente, così guadagnerà semplicemente un po’ meno. Sbagliato, sbagliatissimo, soprattutto nell’alta cucina, nella quale il margine di profitto è davvero esiguo e un tavolo vuoto può mandare la serata in territorio rosso. Anche perché fare una telefonata per disdire non costa molto. Il bello è che molti dei “fantasmi” seriali sono i più accaniti avversari della carta di credito fornita come garanzia al momento della prenotazione, meccanismo normalissimo nel mondo anglosassone ma visto da noi come un pericoloso attentato alla libertà. Libertà di paccare, ovviamente.
Quando arriva in ritardo
Pochi minuti di tolleranza sono concessi a tutti, ci mancherebbe. Il traffico, il parcheggio difficile, il telefono smarrito sono problemi quotidiani. Ma autoconcedersi quaranta minuti accademici in qualche caso può mandare in vacca il lavoro della cucina e della sala, che in locali di qualità lavorano con tempi cronometrici. E arrabbiarsi se il tavolo non è più libero è un aggravante.
Quando non rispetta i turni
Molti ristoranti hanno introdotto degli slot orari per consentire di accontentare il maggior numero di clienti. Si tratta in genere dei locali in perenne sold out causa grande successo (e quindi meritevoli di qualche sacrificio in più), che fissano il primo turno di solito attorno alle 20 e poi alle 22 ne prevedono un altro. In questo caso il ristoratore chiede al cliente della prima ondata di lasciare il tavolo entro un’ora e mezza o un’ora e tre quarti, tempo più che congruo per nutrirsi bene e con comodo. Certo, a nessuno piace andare a cena con l’orologio in vista, ma se le regole sono chiare dall’inizio: o si rispettano o si sceglie un altro ristorante, magari monoturno.
Quando fa richieste irragionevoli
Spostare tavoli come si fosse nel tinello di casa, chiedere di modificare otto piatti su dieci ordinati, pretendere che i propri pargoletti possano galoppare per la sala impunemente, prenotare per sei e presentarsi in tre o in undici, considerare il menu degustazione come un tetris da alterare a piacimento, far aprire tre bottiglie di vino prima di concedere il proprio via libera al sommelier: cose che non si fanno. Un buon cameriere non vi manifesterà palese ostilità, ma nel suo intimo si augurerà di non vedervi più.
Quando è maleducato
Molti dei comportamenti suelencati hanno già in sé il germe della scostumatezza, in quanto profanano il galateo del buon cliente. Ma ci sono comportamenti inaccettabili in un senso più grossolano: ad esempio trattare il cameriere come un servo, oppure fermarlo a voce altra chiedendo una nuova bottiglia d’acqua mentre il poverino sta portando quattro piatti a un altro tavolo, fare rimostranze a voce alta. Ma è da cafoni anche non modulare il proprio atteggiamento in base allo standard del locale: un ristorante fine dining non è uno sport pub in cui si può vociare o imprecare per un fuorigioco non visto, è un posto dove è bene andare vestiti in modo acconcio e osservare comportamenti adeguati, per rispetto della sala e degli altri clienti. Eventuali litigi tra i commensali vanno gestiti con un senso della misura e non esibiti (il “cringe” è sempre in agguato). Se si fa una rimpatriata tra compagni di classe del liceo, non a tutti interessa il racconto di quella volta (che ridere!) in cui Baldazzi rimase chiuso nel bagno durante l’ora di fisica.
Quando è arrogante
La mastecheffizzazione delle nostre vite induce ormai chiunque di noi a pensare di sapere benissimo cosa è buono e cosa non lo è, quando un piatto è riuscito e quando no. Ogni chef di un certo livello in realtà ha un suo pensiero e una sua filosofia e se non la capiamo non è necessariamente colpa sua. Sappiamo benissimo quanto possa essere frustrante vivere un’esperienza deludente in un ristorante per andare nel quale si sono investiti soldi, tempo e aspettative ma in nessun modo questo scoramento può essere manifestato con frasi supponenti o altere alla lei-non-sa-chi-sono-io. Ecco: chi sei?
Quando minaccia recensioni di fuoco
E’ l’arma tecnologica in mano al cliente insoddisfatto, la punizione divina per una cena sbagliata: digito ergo sum. Ma ogni giudizio pubblicato in uno spazio aperto influisce sulla reputazione del locale e mortifica il lavoro di professionisti, quindi dovremmo sforzarci di non scrivere sotto il dominio di quella tiranna che è l'impulsività e valutare bene le conseguenze di un testo che verrà letto da decine di utenti. Magari se avessimo presentato le nostre rimostranze ben argomentate in modo civile al momento giusto, lo chef o il cameriere avrebbe potuto provvedere e renderci un po’ più felici, magari siamo stati noi a non informarci sulla tipologia di locale e a porre quindi i presupposti della delusione, magari semplicemente non abbiamo compreso un piatto. Insomma, una stroncatura andrebbe fatta soltanto quando siamo sicuri che lo chef e il ristoratore non abbiano fatto nessuno sforzo per accontentarci, Anche perché su Google o su Tripadvisor non esistono solo l’1 o il 5 come voto, come molti sembrano credere.