Gaffe? Passo falso? Strategia? Il New York Times che omette l'Italia dalle sue inchieste sulle pizze migliori degli USA e nel mondo ha acceso un'aspra polemica. Tra le reazioni e i commenti di stupore, sorge la domanda: perché la pizza ha perso la propria connotazione italiana?
Le pizze preferite negli USA - Italia non pervenuta
Quando la sezione Food del New York Times ha pubblicato un articolo sull'evoluzione della pizza negli Stati Uniti elencandone i migliori locali, la sezione dei commenti è esplosa con segnalazioni indignate di tutti i posti che mancavano all'appello. L'autorevole quotidiano ha quindi deciso di rivolgersi direttamente ai suoi lettori per stilare una lista, mondiale stavolta. La redazione ha passato al setaccio migliaia di suggerimenti arrivati da tutto il mondo, condensati poi in una scelta di 15 delle migliori tonde segnalate.
Kathmandu, Rio de Janeiro, Kyoto e molti indirizzi in USA. Ma della patria della pizza non si fa cenno. Quando il più autorevole quotidiano elenca le pizze migliori al mondo, e si decide di non includere l'Italia, ci si interroga sul perché. Per avere risposte, Gambero Rosso ha raccolto il commento di un italiano all'estero che di pizza ne sa qualcosa.
Lo sfogo di Ciro Iovine di Song'e Napule a New York City
La pizza, nata a Napoli nel XVIII secolo, è ben più di un semplice piatto: è un simbolo della cultura italiana, un'opera d'arte gastronomica frutto di secoli di passione e perfezionamento.
L'Italia vanta una schiera di pizzaioli di fama mondiale, che hanno saputo elevare la pizza a un'esperienza culinaria raffinata, senza snaturarne la semplicità e l'autenticità. L'Arte tradizionale del pizzaiuolo napoletano rappresenta l'ennesimo riconoscimento italiano nella lista del Patrimonio Immateriale dell'UNESCO. Dai maestri napoletani ai pionieri della pizza gourmet, questi ambasciatori del gusto hanno portato la pizza napoletana in ogni angolo del pianeta, conquistando palati e premi internazionali. Fra questi c'è Ciro Iovine, il vulcano di Fuorigrotta, pluripremiato patron di Song'e Napule, insegna nata nel 2015 a metà strada fra il Greenwich Village e SoHo a Manhattan (Tre Spicchi in guida Top Italian Restaurants del Gambero Rosso) seguita a ruota da altre 2 aperture nella Grande Mela e una nel New Jersey.
Con le mani in pasta da quando avevi 13 anni, e con quattro insegne che vanno alla grande sulla East Coast, come hai reagito alle segnalazioni del New York Times?
Ai lettori che propongono pizzerie a Vilnius in Lituania, o a Kigali in Rwanda non ho niente da recriminare. Mi sembra invece un chiaro messaggio della stampa, e cioè che queste cosiddette "segnalazioni dei lettori" siano scelte apposta dalla redazione perché assurde, senza alcun fondamento. Che un giornale come il New York Times abbia bisogno di scatenare una polemica con mezzucci del genere è altamente improbabile. Ma non impossibile.
Pensi si tratti di un trucco per causare una reazione e aumentare così click e commenti?
Forse, altrimenti non si spiega perché le insegne di noi italiani in USA e a New York, specialmente, sono così bistrattate. In un articolo di fine giugno, firmato dalla redazione Food del New York Times, sulle migliori pizze in USA, si preferisce mettere in risalto giovani pizza maker provenienti da contesti insoliti, invece di premiare chi la pizza ce l'ha nel dna.
Perché pensi sia così?
Fa più gola la visibilità. Fanno più rumore titoli come "L'America conquista il mondo". Più riscontro sui social. 'Purché se ne parli', vale più della qualità, del lavoro di chi si spacca la schiena da anni. Mi piacerebbe leggere invece classifiche vere, senza scopi commerciali, senza pubblicità, senza testate forti e presenza mediatica alle spalle. In USA e in Asia ci massacrano. In Italia non osano, ma qui è dura.
Il tuo è un percorso caratterizzato dall’esecuzione di una pizza napoletana autenticamente tradizionale. Hai avuto difficoltà ad "istruire" il palato dei tuoi clienti, abituati a pizze diverse?
Noi siamo stati pionieri della pizza napoletana a New York. Metodici e maniacali nella selezione degli ingredienti. Impasti lavorati con cura, attenzione, tempo. Il successo della nostra clientela è travolgente. Invece non ho mai ricevuto ispettori nei miei locali. E se ci sono state visite anonime, cosa hanno guardato? La qualità della pizza, o se in bagno mancava il gel igienizzante?
Pensi che la pizza italiana all'estero stia forse soffrendo di una perdita d'identità?
Nessuna perdita d'identità, sono solo manovre. Interessi a spingere tonde e pizzaioli statunitensi che fanno più visualizzazioni. Sono talmente amareggiato che mi viene da pensare che l'autenticità non paga. Sono stufo di farmi il fegato amaro. Quasi quasi me ne torno a Napoli.