Il rumore del cibo è quello del nostro nemico. O no? Naturalmente non si parla dello sciocco di un biscotto o di una mela addentata con furia, ma del chiasso che il cibo fa nella nostra vita, quando pensiamo a quello che abbiamo mangiato, a quello che mangeremo e soprattutto a quello che non dovremmo mangiare ma mangiamo. Un rumore naturale, sano, perfino gioioso, se non fosse perché il sistema che ci circonda ci spinge a vederlo come un problema, un demone. Il rumore del nostro nemico, appunto.
Un rumore da oltre 1,8 miliardi di visualizzazioni
La faccenda è seria. Al punto che qualche giorno fa il New York Times ha dedicato al tema un lungo commento, a firma Kate Manne, dal titolo “What if food noise is just… hunger?” (E se il rumore del cibo fosse solo… fame?). Un’analisi che fa proprio naturalmente il punto di vista americano sul tema, ma che può insegnare qualcosa anche a noi.
Nell’articolo si considera che il “food noise” è qualcosa di cui fino al 2022 si parlava appena, e che nell’anno appena trascorso è invece diventato virale sui social, con addirittura 1,8 miliardi di visualizzazioni totali per i video che spiegavano di cosa si trattasse. Video che in realtà raccontavano per lo più il rumore del cibo come un problema e non qualcosa di naturale. Ascoltare il rumore del cibo, e farsene avvolgere e conquistare sarebbe secondo lo storytelling social qualcosa di sbagliato. Ciò che però cozza contro il fatto che desiderare il cibo, pensarci spesso, godere del pensiero di quando arriverà, è qualcosa di normale e perfino naturale.
Consumatori di farmaci che spengono l'appetito
Naturalmente la questione negli States è molto più fatidica che da noi. Là infatti è in continuo aumento il consumo di farmaci come Ozempic (ne abbiamo parlato qui) e Wegovy che inducono la perdita di peso, che sono l’extrema ratio di chi affida all’ortoressia, al controllo del proprio girovita e della propria performance sulla bilancia la propria autostima e addirittura la propria identità. Esattamente le stesse persone che, prima di provare la strada farmacologica, hanno subito lo stigma della colpa per aver ascoltato il rumore del cibo.
Un problema soprattutto femminile
Secondo Manne i danni di chi vuol mettere il silenziatore al rumore del cibo sono profondi, e hanno a che fare con lo snaturare i propri istinti, con il rinunciare a una forma di indulgenza verso sé stessi, con l’abdicare a un pezzo importante del nostro essere umani, che passa attraverso la relazione con i nostri bisogni elementari, attraverso il dialogo, la socializzazione.
Provare piacere per il cibo non è qualcosa di cui vergognarsi e indurre questo sentimento di odio verso sé stessi è di fatto un’autostrada verso il consumo di farmaci soppressori dell’appetito. E questo ha a che fare soprattutto con le donne, che costituiscono l’81 per cento delle persone che assumono Wegovy negli Usa e più propense dell’altra metà della tavola a svalutarsi e a vergognarsi dei propri istinti. È un po’ come se il mondo circostante agisse nei confronti di queste donne con una sorta di gaslighting, la seconda fase dell’inferno dei rapporti tossici, quella che si basa su una continua svalutazione dell’altro per soggiacerlo e renderlo codipendente.
Dal rumore alla musica
Più o meno un inferno psicologico, una trappola che toglie piacere e voglia di vivere, e che va combattuta in ogni modo possibile. “Abbiamo bisogno di mangiare per vivere, ovviamente – conclude Manne - ma c’è altro: vivere per mangiare ha per molti di noi un senso di comunità. Il rumore del cibo non dovrebbe essere trattato come patologico, come qualcosa da curare. Meglio chiamarla musico da cibo e ballarla”. Mi concede questo ballo?