E pensare che li abbiamo definiti pure "I Beatles della cucina", Barbieri & co., che al Trigabolo di Argenta - guidati da un ventenne Igles Corelli - diedero vita alla rivoluzione della nuova cucina italiana sdoganando il territorio dalla tradizione e liberando il gusto dalla dittatura della cucina della nonna. Fa un po' senso, oggi, sentire chef Bruno Barbieri - che non definiremmo certo un tradizionalista, né in cucina né nella vita - lanciare la scomunica del crudo tout-court, senza distinguere all'interno di un mondo che è parte profonda della storia e della cultura gastronomica e culinaria mondiale. Parliamo ovviamente della secolare tradizione giapponese, ma anche di quella pugliese, così come delle marinature marinare che si possono godere lungo le coste di mezzo mondo, dal ceviche alla alici nostrane.
Può uno chef "essere contrario" al crudo?
Che Barbieri, all'inizio del ragionamento, racconti come la moda abbia poi appiattito tutto fino a creare quei "mostri del finto sushi" che oggi fanno il pieno negli all-you-can-eat, va bene, ci sta... Quel che fa strano è la seconda pate del suo ragionamnto, quando comincia a pontificare: «Io sono abbastanza contrario al crudo». Ma come può, uno chef con la sua cultura gastronomica di portata internazionale, "essere contrario" al crudo. Forse basterebbe dire: "non amo particolarmente il crudo". Che ci sta, sul piano dei gusti personali. Ma Barbieri argomenta la sua affermazione: «Comunque il crudo non racconta la creatività di uno chef, l'idea di uno chef. Cioè, tu prendi un buon tonno, un buon branzino, un buon pesce crudo pescato undici secondi prima... Ma dov'è la creatività, lì? Perche ci hai messo sopra un buon olio? ci hai messo una vinaigrette? ci hai grattato quel famoso limone che arriva dall'Australia, caviale di limone e tutte 'ste menate... Ma la colpa del limone è di Antonino (Cannavacciuolo, ndr): due cojoni, il limone dappertutto! Cioè, dappertutto: dolce, salato, l'importante è mettere una grattata di limone».
La tartare (cruda) di Barbieri
Sarebbe troppo facile contestare a Barbieri un suo video dello scorso anno in cui propone al mondo una "tartare di manzo al profumo di melone e fiori di sambuco". Quindi carne cruda.
La cosa che colpisce davvero è che uno chef come Barbieri non riesca ad avere la giusta considerazione di tutto un mondo culinario e gastronomico - quello che dall'Estremo Oriente arriva fino al tacco del nostro Stivale, passando per le Ande - che intorno al crudo ha costruito una raffinata (e anche golosa) cultura e tradizione gastronomica.
Qualunquismo gastronomico
Sembra una banalità giustapposta al qualunquismo dello chef, ma solo il pensare all'arte del taglio, alla cura per la freschezza della materia, alla capacità di apprezzare il massimo sapore di una carne o un pesce, che ha radici centenarie in Giappone, un Paese la cui importanzza gastronomica è paragonabile alla complessità di quella italica. Insomma, sembra che ormai davvero la facilità con cui un politico navigato come Salvini ci ha mostrato come si riesca a solleticare la pancia delle masse con il canto delle sirene del qualunquismo (che preferisce uno slogan superficiale pur di avere un like piuttosto che approfondire e distinguere aiutando le persone a cerscere e a capire meglio il mondo) abbia fatto presa anche su professionisti di un certo livello e spessore come Bruno Barbieri. Se fosse vero, sarebbe un peccato. In attesa di prepararci in casa la sua tartare e magari trovarla anche gustosa e creativa, alla faccia della scomunica del crudo. Come dire: servire una verdura cruda sminuisce lo chef? E pensare che 20 e più anni fa Ferran Adrià ci fece un piatto rivoluzionario con l'insalata cruda. Mangiando quel piatto di erbe crude e funghi liofilizzati sembrava di essere una mucca al pascolo!
La "semplice" esperienza di un'insalata
A proposito di crudi e di insalate - che non si capisce perché debbano essere diverse da carne e pesce! - uno chef come Enrico Crippa ne ha fatto un igrediente-bandiera della sua cucina a Piazza Duomo. «Le erbe vengono raccolte intorno alle cinque del mattino», racconta il cuoco del tristellato Piazza Duomo di Alba. «Occorre farlo prima che sorga il sole per mantenere intatti turgore e croccantezza. Quando arrivano in cucina ce ne prendiamo cura per tre, quattro ore. I fiori non possono essere bagnati, vanno puliti uno ad uno, le erbe non possono passare nella centrifuga, le asciughiamo con il torcione, come facevano le nostre nonne», racconta Crippa in un'intervista al Sole 24Ore di qualche tempo fa. E continua col racconto dell'incontro con Adrià, il padre della cucina sperimentale molecolare e contemporanea.
Ferran Adrià e il crudo... dall'orto
Il racconto di Crippa continua e arriva a quando Ferran Adrià si trova di fronte alla sua insalata: è lì che lo chef impara una cosa nuova, a proposito del fatto che il crudo sia banale e non creativo. «L'insalata oggi a Piazza Duomo viene servita con una pinza, perché la forchetta schiaccerebbe le foglie - racconta Crippa - L'idea ci è venuta quando la servimmo per la prima volta a Ferran Adrià». Il grande cuoco spagnolo, entusiasta del piatto, catturò ogni foglia e germoglio con le mani, rivela infatti Crippa, proprio per non rovinare le erbe.