Italiani e francesi sono sempre stati in competizione. Se i cugini d’oltralpe hanno dominato la scena gastronomica internazionale a partire dalla metà del Seicento per i successivi tre secoli, le cose sono drasticamente cambiate dal secondo dopoguerra.
Una secolare rivalità
Certo, la Francia detiene ancora alcuni primati che riguardano la pasticceria e, in parte, l’alta cucina, ma le cose sono molto cambiate negli ultimi settant’anni. La cultura culinaria italiana ha conosciuto un enorme rivalutazione e oggi la sua reputazione è ai vertici a livello internazionale, come non capitava da secoli.
I prodotti nostrani sono visti come un concentrato di gusto, tradizione e sana alimentazione, per cui vengono importati e copiati in tutto il mondo. L’enorme diffusione dei ristoranti italiani all’estero è un’altro chiaro effetto di questo apprezzamento globale. Nelle grandi metropoli vinciamo a mani basse, come a New York, dove siamo al primo posto della classifica dei ristoranti stranieri con 938 insegne (sfiorando l’11% sul totale) mentre quelli francesi sono 232; oppure a Tokyo dove ce ne sono ben 4.982 (quasi il 5%), invece i francesi sono meno della metà.
Un’infanzia travagliata
Quando si parla di cucina francese, non manca mai chi sostiene che molti piatti d’oltralpe in origine erano italiani. Non solo le ricette, ma anche le buone maniere a tavola e la struttura stessa dei pasti, sarebbero frutto della nostra cultura gastronomica. La causa principale di questa influenza sarebbe stata Caterina de’ Medici che, a seguito del matrimonio con il futuro Enrico II nel 1533, si trasferì a Parigi a soli 14 anni e, durante la sua lunga vita, ebbe la fortuna di partorire ben tre sovrani francesi (Francesco II, Carlo IX ed Enrico III).
Figlia di Lorenzo de’ Medici (il nipote di Lorenzo il Magnifico), era erede di una ricchissima famiglia, che dinasticamente si trovava agli sgoccioli. Ebbe un’infanzia decisamente travagliata: rimasta orfana ancora in fasce, fu presa sotto custodia di papa Leone X e accudita dalla nonna e da due vecchie zie.
Alla morte del papa seguirono anni di guerre sanguinose, tra cui il sacco di Roma e il saccheggio di Firenze, dove Caterina passò da un monastero all’altro, temendo anche per la propria incolumità. Infine un altro papa, Clemente VII, riuscì a organizzare il suo matrimonio con Enrico di Valois, secondogenito del re di Francia. La genealogia di Caterina non era certo all’altezza di un Valois, ma la sua dote evidentemente sì.
Una regina in cucina
Alla morte del fratello maggiore, Enrico divenne delfino di Francia e nel 1547 fu finalmente incoronato re. A partire da questo momento, secondo molti, la regina Caterina ebbe un’influenza decisiva sulla cucina francese, introducendo a corte celebri ricette e molte regole fondamentali dello stare a tavola.
Solo per citare in ordine sparso le innovazioni dovute alla sovrana, riportate da numerose pagine web e pubblicazioni, possiamo contare: l’uso di forchetta e tovaglioli, il cambio dei piatti tra le portate, l’uso dei profumi a tavola, la divisione tra piatti dolci e salati; la diffusione di broccoli, asparagi, piselli, pomodori e carciofi; oltre all’introduzione di ricette come la zuppa di cipolle, l’anatra all’arancia, l’omelette, la crêpe, il marron glacé (qui i migliori di Torino e provincia), la panna montata, la crema frangipane, la crema pasticcera, lo zabaione, la pasta choux, il sorbetto di frutta, il gelato, il macaron e l’alchermes. Forse ce ne siamo dimenticati qualcuno, ma già così rende l’idea di quanto prolifica sia stata la regina di origine italiana.
Ovviamente, non avrebbe fatto tutto da sola, ma si sarebbe avvalsa di maestranze e cuochi arrivati dalla Toscana che avrebbero influito sugli esiti della cucina di corte. La scintilla partita dalla più alta aristocrazia sarebbe stata responsabile della rivoluzione gastronomica che tutti conosciamo. Insomma, se la Francia è diventata ciò che è oggi, lo deve in gran parte a noi italiani. Ma quanto c’è di vero nella leggenda di questa regina in cucina?
Cosa dicono le fonti storiche
Il mito di Caterina de’ Medici è analizzato nei particolari nel libro Il cibo. Nascita e storia di un patrimonio culturale (Carrocci 2019) scritto da Antonella Campanini, docente universitaria e direttrice del Master in "Storia e cultura dell'alimentazione" dell’Università di Bologna. Naturalmente la vicenda è molto diversa da quello che viene raccontata.
Partendo dai documenti storici, esiste una sola fonte che mette in relazione Caterina e il cibo: si tratta della cronaca di una festa di matrimonio del 19 giugno 1575, quando la regina mangiò una tale quantità di torta di fondi di carciofo e rigaglie di gallo che rischiò di morire per indigestione. Oltre a questo, le uniche notazioni dell’epoca, riguardano il fatto che Caterina tendesse a ingrassare anno dopo anno. Forse possiamo concederle anche un certo gusto per il buon cibo, ma i cronisti dell’epoca non dicono di più. La spiegazione potrebbe quindi riguardare l’esercito di cuochi arrivati con lei dall’Italia. Purtroppo, anche su questo, non c’è la minima prova, visto che tra tutte le personalità di cui si era circondata alla corte francese, non figura nemmeno un cuoco.
Una leggenda inventata dai francesi
Come si è diffuso quindi il mito di una sovrana che avrebbe portato così tanti tesori gastronomici oltralpe? Tutto ha origine da un’opera di Nicolas Delamare stampata nel 1719 - esattamente due secoli dopo la nascita di Caterina - in cui compare un riferimento agli «Italiani che seguirono Caterina de’ Medici» e introdussero a corte i loro usi culinari e alcuni liquori.
All’epoca era già diffusa la convinzione che fossero stati gli italiani a insegnare l’arte della cucina ai francesi, in particolare durante le guerre d’Italia, ovvero nel periodo segnato dal matrimonio di Caterina ed Enrico. Questa tesi (che ha solide basi, come vedremo tra poco) fu ripresa dalla celebre Encyclopédie illuminista, rivelatasi il principale veicolo per la diffusione del mito.
Alla voce Assaisonnement “Condimento” pubblicata nel 1751 - forse scritta direttamente da Denis Diderot - compare un riferimento diretto a Caterina de’ Medici. I toni non sono però di riconoscenza, tutt’altro. La sovrana viene accusata di avere permesso l’ingresso a una "folla di italiani voluttuosi" a suo seguito che introdussero una cucina esageratamente raffinata, descritta addirittura come «un ramo della lussuria». Secondo questa tesi, i sovrani francesi del passato erano riusciti a contenere la corruzione dei gusti che, a partire dall’incoronazione di Enrico II, era dilagata come una marea.
Un esercito di cuochi inesistenti
Insomma, per l’Encyclopédie la regina era responsabile dei cambiamenti avvenuti, ma nell’accezione più negativa possibile. Ovviamente l’opera era tra le più autorevoli e lette del tempo, per cui venne ripresa da decine di pubblicazioni, consolidando il mito di Caterina de’ Medici.
Non solo nessuno si preoccupò di verificare le fonti storiche, ma i racconti e le invenzioni si accumularono, arricchendo di particolari la vicenda. Fu dato corpo a fantomatici cuochi, a partire dagli improbabili Popelini e Pastarelli, inventori di specialità pasticcere, fino a Giovanni Pastilla creatore delle caramelline e il signor Frangipane a cui si deve l’omonima crema alle mandorle.
Ovviamente nessuno di questi personaggi è mai esistito, ma sono il risultato della superfetazione di un mito quanto mai vitale.
La salsa colla e il papero al melarancio
Dal punto di vista delle ricette e delle buone maniere la storia non è molto diversa. Riguardo la forchetta, ad esempio, anche supponendo che Caterina l’abbia introdotta a corte, all’epoca il suo utilizzo era assolutamente sporadico e non venne adottata a tavola che molto tempo dopo. Basta sfogliare il coevo Galateo di monsignor della Casa per accorgersi che in Italia le pietanze venivano ancora portate alla bocca servendosi delle dita.
Le ricette invece, dalla “salsa colla” che avrebbe originato la bechamel, alle “pezzole della nonna” diventate poi crêpe, fino al “papero al melarancio”, diretto antenato della canard à l'orange, sono semplici invenzioni. Inutile sforzarsi di cercare nobili precedenti. Certamente anche nella cucina italiana si utilizzava l’arancia per aromatizzare alcune preparazioni (un uso derivato dalla cucina araba medievale), oppure servire sottili frittatine e salse addensate con la farina, ciò non significa che la cucina francese debba tutto ciò a Caterina De’ Medici.
Bisogna fare invece un discorso diverso per il debito generale nei confronti della cultura gastronomica italiana. Non c’è dubbio infatti che nel Rinascimento la nostra arte culinaria fosse considerata un punto di riferimento per tutte le nazioni estere.
Le influenze italiane sulla cucina francese, come per altri campi dell’arte, della tecnica, dell’architettura, della scherma e di molto altro, sono indubitabili. A partire dalla metà del XV secolo, per oltre un secolo, il nostro paese ha rappresentato una straordinaria fucina di correnti culturali che hanno percorso tutti i paesi europei, lasciando tracce in molti campi del sapere.
La Francia ci è certamente debitrice, ma non è possibile, anzi è profondamente scorretto, addebitare a una singola persona la responsabilità di una rivoluzione culinaria. Sarebbe come dire che la pittura d’oltralpe si è sviluppata solo a seguito dell’arrivo di Leonardo da Vinci in Francia. A parte che sarebbe una storia più plausibile rispetto alla leggenda di Caterina dè’ Medici, in pittura come in cucina, le idee e le tecniche attraversavano i confini insieme a merci, maestranze e libri, contribuendo alla diffusione della cultura italiana.
Isabella d’Este e Lucrezia d’Este
La sovrana d’origine italiana non è la sola a cui vengono attribuite invenzioni culinarie straordinarie. Un altro esempio è Isabella d’Este, marchesa di Mantova, una delle maggiori mecenate del Rinascimento. La leggenda vuole che abbia inventato - personalmente, pare - la torta di rose e la torta mantovana. Poca cosa rispetto alla sovrana francese, anche se la leggenda ricalca lo stesso schema.
Per quanto riguarda invece la sua sorellastra, Lucrezia d’Este, l’apporto alla cucina italiana si è limitato all’ispirazione delle tagliatelle grazie ai suoi lunghi capelli Biondi. L’invenzione è attribuita a un cuoco bolognese, tale Mastro Zefirano, che le servì durante il pranzo di nozze in occasione del matrimonio con Annibale Bentivoglio. Non c’è bisogno di sottolineare che tutto ciò non è mai avvenuto.
Nonostante l’inconsistenza storica, l’immaginario popolare attribuisce un compito importante a queste figure di nobildonne rinascimentali, assegnando però loro un ruolo stereotipato dai contorni profondamente borghesi. Vengono rappresentate come brave padrone di casa che scambiano ricette, redarguiscono la servitù e sono prodighe di consigli nei confronti dei cuochi. Non risulta invece nessuna invenzione culinaria attribuita a un regnante uomo, nonostante all’epoca la professione di cuoco fosse quasi esclusivamente maschile. Evidentemente la leggenda insiste su un luogo comune piuttosto diffuso, mettendo sul medesimo piano massaie e regine: stessi compiti, risultati diversi.
Bologna la grassa
Esiste almeno un altro mito elaborato sempre dai francesi per denigrare la nostra cucina, ma non sul piano della raffinatezza, bensì dell’abbondanza. Fu creato nel Medioevo quando le università di Parigi e Bologna si facevano una concorrenza spietata per attirare studenti nelle rispettive città. I francesi coniarono il soprannome “la grassa” per la città emiliana, sottolineando che i rampolli delle nobili famiglie di tutta Europa sarebbero accorsi allo studio bolognese solo per gozzovigliare e non per studiare.
Come evidenzia Massimo Montanari, al quale si deve l’approfondimento del tema, siamo stati bravissimi a ribaltare la narrazione a nostro favore e, ben presto, Bologna è diventata sia la dotta che la grassa, due aggettivi che le calzavano a pennello. La capacità di ospitare adeguatamente torme di studenti è sempre stato un pregio del capoluogo emiliano e i bolognesi si sono orgogliosamente appuntati la critica francese come una medaglia.
Con Caterina de’ Medici il meccanismo non è cambiato di molto: la critica di dissolutezza rivolta alla sovrana di origini italiane è stata presa come un merito e non abbiamo esitato a costruirci sopra un’elaborata leggenda, fatta di cuochi inesistenti e piatti mirabolanti.
Questi fenomeni sono spesso più forti della realtà storica e hanno la funzione di semplificare una vicenda più ampia e complessa, indicando una singola figura come l’artefice di un piatto o di un’intera rivoluzione gastronomica. Nel caso di Caterina esiste un fondo di verità, perché gli italiani all’epoca esercitarono veramente una forte influenza sulla cucina francese, ma tutto il resto è puro folklore.
Non si preoccupino però i più nostalgici, sentiremo parlare ancora a lungo delle invenzioni culinarie di Caterina de’ Medici perché, se i miti possono insegnare qualcosa, è che sono duri a morire.