"Aprono locali con carte dei vini improvvisate. Dealcolato alla Pergola? Ci sto lavorando". Intervista a Marco Reitano

13 Mar 2025, 12:01 | a cura di
Il sommelier, uno dei più importanti d’Italia, gran maître, custode di una cantina incredibile, quella del ristorante La Pergola dell’hotel Rome Cavalieri, ha le idee molto chiare su quello che sta succedendo nel macro-mondo della ristorazione e del vino

I clienti si sono stancati?

Non sempre e non in tutti casi.

Quali sono i casi?

Continuano ad aprire locali molto simili dove il cliente va una volta sola.

Prima non succedeva?

Sì, ma ora il cliente sceglie dove pranzare con più criterio. È più consapevole, ha affinato tantissimo il suo palato negli ultimi venti anni. Vuole sempre più essere sicuro di investire bene i suoi soldi quando esce a cena.

Quindi il problema è l’omologazione?

Non solo, ma di certo non può sopravvivere una ristorazione di questo tipo.

Marco Reitano ha le idee molto chiare su quello che sta succedendo nel macro-mondo della ristorazione e del vino. D'altronde è abituato a guardare Roma dall’alto (di più: l’Italia tutta), affacciato da una delle terrazze più belle della Capitale nata trent’anni fa su Monte Mario. Sommelier, uno dei più importanti d’Italia, gran maître, custode di una cantina incredibile, quella del ristorante La Pergola dell’hotel Rome Cavalieri, compagno di avventure culinarie dello chef Heinz Beck con cui ha costruito fin dalla sua nascita una delle tavole più intelligenti del nostro paese. Una coppia formidabile, lo chef e il sommelier, che dura da tre decadi. Un unicum in Italia, forse d’Europa. Tre Forchette del Gambero Rosso, tre stelle Michelin. Classicismo e avanguardia si alternano senza sosta. Reitano conserva, sorride, consiglia, sorride, stappa, sorride. E romanissimo, non cede mai il passo alla formalità noiosa ma conosce il potere dell’eleganza. Ci fa sedere nella piccola sala adiacente a quella principale, chiede un caffè, anzi due, «vuoi del vino?», «dopo andiamo in cantina». Si vede la nuovissima sala, anzi, il ristorante rinnovato da cima a fondo, moquette elegante e moderna, pareti color terracotta, il colore di Roma, ambiente caldo è avvolgente. Splendido. Con lui parliamo di psicosi da etilometro, crisi del vino, strategie e futuro…

Reitano, La Pergola è casa sua.

Ora sì, ma è iniziata in tutt’altro modo.

Ovvero?

Ero proiettato verso l’università, avevo talento in informatica, studiavo l’inglese. Nel fine settimana venivo qui all’albergo per qualche lavoretto, arrotondavo per potermi comprare il motorino già durante le scuole superiori.

E che faceva?

Lavoravo in piscina. Una sera il food manager mi disse «ehi tu, vatti a cambiare, serve aiuto al ristorante di sopra». Aveva aperto da tre mesi. 

All’epoca già beveva vino?

Fiumi di birra e Gin tonic.

Quindi alla fine è rimasto.

Mi hanno detto che volevano fare il miglior ristorante d’Italia. Ci ho creduto e ho accantonato i progetti universitari.

Si dibatte molto sul fine dining in crisi. Secondo lei i ristoranti di alta cucina hanno perso appeal?

Il nostro no. Ma sicuramente la ristorazione vive un momento difficile, per vari motivi, c’è del caos e riguarda anche il mondo del vino. Ma io apprezzo il caos, è fighissimo, perché è sempre dal caos che nasce qualcosa di buono.

Quali sono le difficoltà?

La ristorazione in generale soffre i costi del personale. Un problema che pesa sui bilanci, soprattutto per chi vuole fare un buon lavoro assumendo regolarmente. A questo aggiungici l’aumento del costo della materia prima.

I clienti si stanno disaffezionando?

Non sempre e non in tutti casi. Certo è che il cliente non si lascia più ingannare da "specchietti per le allodole”, se non diamo solidità gastronomica rischiamo di fare locali “unici” e con unici intendo che ci si va una volta sola.

Cosa manca?

Il servizio è un problema. Mancavano e mancano ancora corsi di formazione, ma chi vuole proporre ristoranti ambizioni non può derogare a un ottimo servizio. 

Sì, ma ora molti clienti preferiscono ambienti più informali con un servizio meno ingessato, i giovani fra tutti.

Anche a me piacciono, l’informalità è bellissima. Ma ora sono diventati tutti osti e poi vedi carte dei vini fatte “per sentito dire”.

Quindi spesso non c’è competenza nell’informalità?

Esatto. Ho un meccanico sotto casa che è una bomba, potrei portare la macchina in un’officina specializzata ma non lo faccio perché ho trovato lui che a sua volta nell’officina specializzata e blasonata ci ha lavorato per anni e poi ha aperto un suo negozio. Perché devo andare in un locale informale, che fa numeri, ma dove non c’è la competenza sul vino?

L’eccessivo protagonismo personale ha reso le carte dei vini meno interessanti?

Anche sì. Ed è pieno di ristoranti con carte dei vini improvvisate, incomplete.

Come è cambiata la figura del sommelier rispetto al passato?

Non un granché. Nel mondo del vino manca la formazione, l’ho fatto presente più volte. Si continuano a fare corsi per sommelier ma alla fine sono per appassionati. Non ci sono percorsi veri per chi vuole lavorare nei ristoranti.

Il New York Times ha scritto che per rilanciare il vino devono cambiare le carte dei vini: menu più corti e meno profondi. Che ne pensa?

Per una buona carta dei vini bastano 60-70 referenze, non è una questione di numeri.

Quanti vini avete in carta?

3.700 etichette.

Non tutti possono permettersi una carta come la vostra.

Infatti, non tutti devono averla, perché oltre all’investimento devi avere un ambiente per conservare il vino. Noi abbiamo una visione, pretendo di avere alla Pergola quello che esplode tra due anni, cerco di anticipare le tendenze.

Tipo i vini dealcolati?

Mi piace stare al passo con i tempi, sono nella fase decisionale. Ne ho ordinati moltissimi.

Quindi li vuole inserire in carta?

Esattamente, ma prima devo trovare delle etichette valide. Al momento non le ho trovate, mi hanno soddisfatto di più i succhi d’uva.

La richiesta analcolica è aumentata?

La richiesta è leggermente aumentata e abbiamo studiato dei percorsi alternativi per chi non vuole bere alcol. Ma noi da sempre facciamo i mocktail.

I consumi. Da più parti ci sono ormai segnali evidenti che accertano un calo dei consumi. Cosa ne pensa?

Credo sia fisiologico, cambiano i gusti, cambia il modo di consumare il vino. Per questo ci sono realtà come la nostra che cercano di anticipare le nuove tendenze. È quello che fa chef Heinz Beck in cucina.

I vini rossi sono quelli che soffrono di più.

Sicuramente sul piano internazionale la gradazione alcolica ha fatto allontanare i bevitori. È cresciuta senza limiti. In Italia c’è poi stata una crescita di alcune zone viticole che hanno tirato fuori dei bianchi di livello e con ottimi rapporti qualità-prezzo: montagne, isole, Appenino.

Solo questo?

Le questioni sono molteplici. C’è stata per anni anche una gara sterile e continua tra i produttori: “Ah tu lo lasci in barrique 24 mesi? Allora noi arriviamo a 36”, “hai vendemmiato a inizio novembre? Allora io a arrivo a dicembre. Tu lo fai a 14 gradi? Io a 15 e mezzo”. Sto esagerando ovviamente ma la prassi è stata spesso questa. E poi a un certo punto tutto ciò è finito.

I produttori, quindi, hanno la responsabilità di aver estremizzato i loro prodotti?

Tutti, anche gli chef in cucina. Ma ripeto: il cliente non lo prendi più in giro, si documenta, ha imparato a esercitare il gusto. È cresciuto, è più esigente.

Oggi le vere incognite sono le nuove generazioni che non fanno del vino uno status symbol. Alla GenZ interessa ancora il vino?

C’è interesse, ma anche tanta confusione; più in generale, la direzione è cambiata. Si vuol stare più leggeri, siamo stanchi dei cerchi alla testa, siamo stufi dei sapori forti. Un vino super profumato che prima ci piaceva ora ci annoia, spesso disgusta.

Se i giovani si sono disaffezionati è anche colpa degli addetti ai lavori che hanno sbagliato a comunicare il vino?

Tantissimo, la grammatica intorno al vino è vetusta.

Nuovo Codice della Strada. Le regole Salvini hanno creato panico. Molti ristoratori lamentano un calo degli ordini di bottiglie a tavola. È successo anche a voi?

No, non è successo. Certo è che siamo un po’ ignoranti, perché se avessimo rispettato le vecchie regole nessuno si sarebbe stupito delle nuove che non sono nuove: sul livello alcolometrico non è cambiato nulla. Io se bevo da sempre torno in taxi. Se mangi e bevi acqua, puoi bere tre bicchieri di vino e quindi prendere una bottiglia in due.

L'ultima tendenza del mondo del vino si chiama Zebra Striping. La conosce?

E che è?

I giovani alternano drink alcolici e analcolici così da ingerire meno alcol e preservare la propria salute. Solo moda?

Sono strani eh. Anche noi lo facevamo ma con la Coca-Cola.

Fino a qualche anno fa i vini premium hanno avuto una crescita importantissima, ma ora quell'ascesa sembra essersi arrestata. A sorpresa crescono denominazioni meno blasonate e con prezzi più competitivi. State notando questa tendenza?

I vini divenuti importanti e poi cari sono cresciuti eccessivamente. Alcuni produttori hanno cavalcato un momento “comodo”, Bordeaux prima della Borgogna. In Italia invece siamo abbastanza bravi, oggi con trenta euro puoi ancora comprare una bottiglia di Barolo buona.

Ci sono grandi denominazioni ormai passate di moda?

Ci sono delle tipologie di vino che fanno più fatica, qualche anno fa si beveva più Amarone, lo ordinavano anche le coppie, oggi meno. Continua a essere un grandissimo vino, ma viene scelto dalle tavolate più grandi. In Italia tutto quello che era “ammaliante” sta soffrendo di più. Mi vengono in mente alcuni bianchi classici friulani che piacevano tantissimo, ma che negli anni hanno preso una deriva di vini molto alcolici, eccessivamente aromatici.

Nomi?

Non ne faccio. Ma fortunatamente sono stati affiancati da persone che hanno riproposto vini storicamente più semplici. Alcuni si definiscono “naturali”.

Che ne pensa dei vini naturali?

Fanno una grande fatica a trovare riscontro nella scienza e nella legislazione. Ma molti sono buonissimi.

Esempi?

Gravner. Faceva dei vini da vitigni internazionali clamorosi, poi un giorno sbrocca e cambia tutto. Mi ha chiesto di andare da lui, sono stato a casa sua per una settimana, ho lavorato con lui e assaggiato molte masse. Fantastiche. Josko aveva uno studio, una visione, un’esperienza come pochi altri, quel cambiamento lo ha costruito. Ha aspettato il momento giusto. Era uno che sapeva fare il vino alla grandissima, lui poteva farlo, ma molti altri non sono nulla, non sono assolutamente all’altezza.

Cos’altro beve?

Paraschos, Skerk, Zidarich. Quando ho iniziato a bere Emidio Pepe non ce l’aveva nessuno.

Alcuni naturali però sono figli di errori che si spacciano per “nuovi gusti”, come il brett.

È un momento, passerà. Quelli che ora si bevono vini con il brett un giorno impareranno e smetteranno di berli. Idem i produttori, tra qualche anno impareranno a fare il vino.

Che ne pensa dei Piwi?

Se funziona va bene tutto, ma al momento non ho assaggiato cose interessanti.

La mixology è cresciuta in questi anni?

Vent’anni fa in Italia nessuno beveva un cocktail al ristorante, oggi sì: molti ristoranti hanno affiancato o sostituito l’offerta di vino con i cocktail. Noi abbiamo un barman bravissimo che studia i drink anche avvalendosi del supporto della cucina.

Ci racconta qualche richiesta assurda che le è arrivata dai clienti?

Ultimamente mi hanno chiesto un Montepulciano d’Abruzzo “bianco”, che ovviamente non esiste.

Aneddoti?

Tina Turner faceva l’aperitivo con il Sassicaia.

Politici?

Cossiga veniva sempre. “Presidente, un po’ di vino lo beviamo?” “Turriga, grazie”.

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