Commerciare in esseri umani ha sempre reso un sacco di soldi. In Italia, lo sapevano bene già nel Medioevo e nella prima età moderna tanto che anche il nostro Belpaese ha trafficato in schiavi, nonostante i richiami dei vari pontefici di turno. Di tempo ne è passato, ma non sembra essere cambiato molto da allora, visto che oggi in Italia si calcolano più di 200mila persone che vivono in una condizione di «schiavitù». Moderna, certo, ma sempre schiavitù.
Nonostante quanto sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, questa orribile pratica è ben lontana dall’essere debellata. Ha solo cambiato pelle. E, una di queste ha il nome di caporalato. Ha il nome, insomma, per farne uno, di Satnam Singh, il bracciante indiano morto a Cisterna di Latina con un braccio amputato da un macchinario, uno dei tanti volti dello sfruttamento e del lavoro senza diritti.
Caporalato, la nuova forma di schiavitù
Un mondo per nulla sotterraneo, ma sotto gli occhi di tutti, che da anni viene monitorato dall’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil, che studia il fenomeno del caporalato e delle agromafie in Italia e che parla di un dramma che coinvolge circa 230mila lavoratori nelle campagne italiane. Un fenomeno che, nella mappa regione per regione, in qualche modo sfata il mito del Mezzogiorno come epicentro dello sfruttamento sistematico della manodopera nei campi.
A differenza di quello che si pensa, infatti, c’è tanto Nord nella geografia del caporalato e, nello specifico, c’è tanto Veneto. Un’area che quest’estate è stata al centro di diverse inchieste. Lo scorso 13 luglio sono stati arrestati due caporali indiani per aver ridotto in schiavitù 33 loro connazionali. Nel trevigiano, un’altra operazione ha identificato altri 13 braccianti nelle stesse condizioni.
L'Italia dello sfruttamento di esseri umani
Il Rapporto 2023 sullo sfruttamento lavorativo dell’Osservatorio sulla Legalità CGIL Veneto, mostra dati allarmanti: siamo in presenza di 169 notizie di reati consumati nella Regione Veneto, più di 14 al mese contro i diritti dei lavoratori, la sicurezza sul lavoro tra gravi e mortali infortuni, il caporalato e la riduzione in schiavitù e infine, per non farci davvero mancare niente, i casi di odio razziale e discriminazione di genere. L’elenco dei reati legati allo sfruttamento è purtroppo lunghissimo.
Secondo alcuni studi di categoria, in tutto il Veneto il valore assoluto del lavoro irregolare ammonta a 4.6 miliardi di euro. E l’epicentro di queste irregolarità è proprio nel veronese. «Il caporalato è mutato - spiega Giosuè Mattei, segretario generale della Flai-Cgil Veneto intervistato dal quotidiano Domani - e per aggirare la legge che punisce anche l’imprenditore che si avvale della manodopera sfruttata, questo si avvale di un “appalto mascherato”, affittando i suoi campi alla cooperativa e agli intermediari. Così facendo, il titolare dei terreni è esonerato dai reati commessi da chi gestisce il campo».
Il Veneto epicentro del caporalato
Nel veronese le vittime di questo sistema sono soprattutto indiane. Mattei spiega ancora al quotidiano che il meccanismo è ormai rodato: ci sono due intermediari, uno in India e uno in Italia che per fare richiesta di nulla osta chiedono in cambio migliaia di euro, dai 10 ai 20mila euro per persona. Una volta in Italia di contratti di lavoro non se ne parla e i lavoratori vengono mandati in altri campi, entrando nel giro dello sfruttamento, con i caporali che sfruttando la loro irregolarità vendono la promessa di un permesso di soggiorno che non arriverà mai a 5 mila euro a bracciante. Come non arriverò mai una vita diversa: uscire dal giro è difficile. Quasi impossibile.
Durante la presentazione a luglio del Rapporto sullo sfruttamento lavorativo, Silvana Fanelli, segretaria regionale Cgil Veneto, era stata molto chiara: «I dati che emergono dallo studio, rendono evidente che in Veneto illegalità e caporalato stanno inquinando sempre di più alcuni settori e attivando fenomeni di dumping sociale e retributivo. In questa situazione, i lavoratori non solo sono sfruttati in ambito lavorativo, ma subiscono le conseguenze della loro condizione anche nella vita quotidiana, nella dimensione abitativa spesso caratterizzata dal degrado, nella mobilità fortemente limitata, nella possibilità di accesso ai servizi. Per non parlare della retribuzione già estremamente bassa, ulteriormente intaccata dall’obbligo di pagare ai caporali stessi alloggi fatiscenti e il trasporto per raggiungere il luogo di lavoro».
Una tragedia alla luce del sole
I controlli, ha spiegato il sindacato, individuano costantemente contratti irregolari, o addirittura inesistenti, e persone private delle più elementari tutele. In Veneto, a fronte di 3954 ispezioni definite dall’Ispettorato, il 76% presenta irregolarità che riguardano 6184 lavoratori. Ma nulla cambia. Le situazioni si conoscono, anche perché basta banalmente andare a vedere: succedono ogni mattina, che ci siano 40 gradi o che le temperature siano sotto lo zero.
E, mentre noi parliamo e scriviamo, ci indigniamo davanti alle immagini di Satnam Singh, il migrante morto a Latina perché lasciato senza soccorso dopo che un macchinario avvolgi-plastica gli aveva tranciato il braccio, le persone continuano ad arrivare in Italia credendo di trovare un futuro migliore. Illusi. Quelle persone diventano soltanto braccianti, costretti a lavorare fino a 14 ore al giorno, per 5 euro all’ora. Un viaggio distopico il loro, che li vede scappare dalla schiavitù del loro Paese per ritrovarsi nella schiavitù di un altro. Dove, però, la schiavitù non dovrebbe esistere.