Scaricato come «un sacco di patate»di fronte al cancello di casa sua con il braccio, rimasto amputato dopo essersi incastrato in un macchinario per avvolgere la plastica, lasciato in una cassetta della frutta. La morte di Satnam Singh, lavoratore indiano 31enne, è l'ennesimo grido di dolore ed indignazione che risveglia le coscienze su un sistema tristemente diffuso in varie zone d'Italia e che prende il nome di caporalato. Nel caso di Singh, siamo nell'Agro Pontino, dove ormai da anni sussiste un consolidato sistema «agromafioso di schiavitù moderna» come sostiene la responsabile Lavoro del Partito democratico, Cecilia Guerra.
Impiegato in agricoltura senza contratto
L'incidente occorso a Singh – da tre anni in Italia insieme alla moglie, entrambi impiegati senza contratto regolare in un'azienda agricola tra le località di Borgo Montello e Borgo Santa Maria, due frazioni di Latina – ha causato l'apertura di un'inchiesta da parte della procura, che indagherà su Antonello Lovato, suo datore di lavoro, per le accuse di omicidio colposo, violazione delle norme sulla sicurezza ed omissione di soccorso. Difatti, dal quadro tragico delle condizioni del lavoratore indiano descritto in apertura di articolo ai primi soccorsi è trascorsa circa un'ora e mezza. Un lasso di tempo fatale, secondo i medici.
L'esercito silenzioso, di religione sikh e proveniente dal Punjab
La questione dello sfruttamento di manodopera, in questo specifico caso proveniente dalla regione indiana del Punjab, nell'Agro Pontino era già venuta alla luce nel 2018, con testimonianze di sistemi «strutturati» presenti, all'epoca, da più di vent'anni. A studiare il fenomeno era stata la cooperativa sociale In Migrazione, tramite il suo responsabile Marco Omizzolo, che raccontava di un «esercito silenzioso» di lavoratori e lavoratrici tutti di religione sikh impiegati nella raccolta manuale di ortaggi con turni che potevano arrivare alle 14 ore consecutive, per una retribuzione di quattro euro all'ora nel migliore dei casi e nell'eventualità che questi pagamenti avvenissero effettivamente, cosa tutt'altro che comune.
La somministrazione di stupefacenti
I datori di lavoro, raccontava ancora l'inchiesta, erano per i braccianti i «padroni», e per fare loro sopportare gli sfiancanti turni essi non esitavano a somministrare, anche contro la loro volontà, ai sottoposti sostanze stupefacenti ed antidolorifici, il tutto agevolato dall'ingresso, nei campi di lavoro, di spacciatori. Il contesto che ha portato alla morte di Singh è quello di un sistema ben inseritosi nel tessuto di aziende agricole dell'Agro Pontino, dedite alle coltivazione ortofrutticole cicliche a campo aperto ed annuali in serra che vanno poi a rifornire le aziende dell'intero settore agroalimentare nazionale così come i mercati rionali.
La piaga del caporalato
Un fenomeno tragico eppure difficile da tracciare per diversi motivi. Secondo i dati dell'Inps, i lavoratori indiani impiegati sono circa 9mila, ma se ne stimano il doppio per via del fatto che molti vengono assunti senza contratto o permesso di soggiorno. In più, sempre l'Inps riferiva nel 2021 come delle settemila aziende presenti sul territorio solo 114 si fossero iscritte alla rete del lavoro agricolo di qualità, volta proprio ad indagare sulla loro trasparenza e a fermare il fenomeno del caporalato. A disperdere ulteriormente le tracce è poi il sistema di reclutamento, che spesso avviene sui social network o via WhatApp.
Un altro incidente mortale in un'azienda agricola
La piaga degli incidenti sul lavoro non conosce tregua, e a poche ore dalla morte di Singh è arrivata la notizia di un altro decesso di un operaio presso un'azienda agricola. Nel lodigiano, precisamente a Brembio. Il lavoratore in questione era un ragazzo di 18 anni, Pierpaolo Bodini, che secondo le prime ricostruzioni sarebbe rimasto schiacciato da un pezzo staccatosi da una seminatrice agricola.