Qui si fa una pizza antica e contadina, qui in tanti, tantissimi, sono partiti alla volta del mondo a cercar fortuna al seguito dei fiordilatte prodotti in loco ed esportati verso il Nord. Ora, però, dopo la diaspora, questo minuscolo borgo della Costiera Amalfitana (anzi, della “montiera”, come dicono in loco) rivendica il primato della “sua” pizza che non è solo un patrimonio storico, bensì testimonianza vivente del “fenomeno” che in passato ha colonizzato l’Italia intera. Gli impasti tenaci, integrali (miscela di diversi cereali arricchita col finocchietto selvatico) nonché la disinvoltura di certi condimenti che rinverdiscono la tradizione, rendono questo disco pronto a sfidare gli orizzonti della contemporaneità.
La sfida ai pizzaioli blasonati
La pizza di Tramonti è buona, futuribile al pari delle pizze più blasonate e mediaticamente centrali dei nostri tempi. E i suoi maestri pizzaioli non temono confronti con i loro colleghi di scuola napoletana, casertana, cilentana, romana. A dimostrarlo, la prima edizione di PizzAcademy Tramonti tenutasi lo scorso marzo presso la pizzeria Al Valico di Chiunzi, nella frazione a pochi minuti dal centro di Tramonti. Presenti, tra gli altri, Errico Porzio e Raffaele Bonetta, Sasà Martucci, Giò Il Pizz’ino, Carmine Nasti, Vincenzo Nese, Francesco Maiorano, Fortunato Amatruda, Giovanni Mandara e Antonio Erra. Ma il racconto, come annunciato, deve partire da molto più lontano.
La diaspora: il latte e il suo fiore
Tramonti è il polmone verde della Costiera, diede nome al “vento di tramontana” che i marinai della Repubblica di Amalfi vedevano spirare proprio da questo versante nord, dove i confini del cielo sono disegnati dai monti Lattari e le vette superano i 1.300 metri di altitudine: limoneti alle pendici dei colli, vigneti nella fascia centrale, castagni a lambire le sommità e nel mezzo boschi, campi, borghi, pievi. Il mare è un tuffo al cuore, verticale e scintillante, per le 5.000 persone che animano le 13 borgate e per chi le incontra sui saliscendi della loro quotidianità, imbattendosi tuttora nei boscaioli con la loro legna, negli animali al pascolo, nei vignaioli e nei caseari al lavoro.
Una focaccia per la festa dei morti
Tradizionalmente era per il pranzo del 2 novembre che i tramontani, di ritorno dal cimitero, compravano e consumavano la loro schiacciata speciale, ancestrale quanto scura (come scuro è il pane biscottato dei contadini), impastata col finocchietto e condita con pomodoro, olio, origano. Ma è proprio all’arte casearia, ovvero al fior di latte, che si deve il legame indissolubile tra la storia della pizza “moderna” e quella di Tramonti. «Senza nulla togliere all’importanza di Napoli, è altrettanto provato l’apporto fondamentale del nostro paese in tale percorso», ricorda Vincenzo Savino, presidente dell’Associazione Pizza Tramonti e vicesindaco di lungo corso, a suo tempo fervente promotore di quell’associazione Giovani per Tramonti che diede il la, tra l’altro, al recupero degli antichi sentieri collinari.
Una storia in tre date
Due le date fondamentali per la pizza nostrana. La prima, quella più nota, è il 1889 con la visita della regina Margherita di Savoia a Napoli: qui il giovane Raffaele Esposito, proprietario della pizzeria Brandi e «di origine tramontana», avrebbe omaggiato la sovrana con una pizza di sua creazione che altro non era se non l’evoluzione di quella schiacciata nera cui oltre al pomodoro si aggiunse la mozzarella, «evidentemente proveniente dal nostro territorio. I monti che ci sovrastano non si chiamano Lattari a caso, ogni famiglia aveva le sue mucche e trasformava il suo latte, ben prima che la vicina Agerola acquisisse una centralità nella produzione di fior di latte». Anche se su questa “leggenda” ha scritto già il nostro Luca Cesari un articolo di approfondimento in base al quale la tradizione verrebbe appunto smontata e relegata a leggenda (vedi mensile Gambero Rosso n. 377 luglio 2023).
La pizza di Tramonti arriva al Nord
Il secondo snodo avvenne nel 1951, quando il tramontano Luigi Giordano aprì un caseificio a Loreto di Novara, dove svolgeva il servizio militare. Nel 1953 avrebbe avviato anche una pizzeria, A’ Marechiaro per poter utilizzare le mozzarelle invendute: «Proprio lassù dove non si sapeva neanche cosa fossero», racconta il segretario dell’Associazione Pizza Tramonti Giuseppe Giordano (non un discendente diretto, ma qua il cognome è assai diffuso). «Sulla scia del successo di Luigi, usufruendo della sua guida, molte famiglie tramontane seguirono lo stesso percorso e aprirono i loro locali nel Settentrione, perlopiù lungo le strade tra le stazioni e le caserme. Furono circa cento nei primi dieci anni, circa 3.000 nel culmine dei ‘90». Una vera colonizzazione di pizzaioli tramontani, «che così cominciavano a esportare anche la nostra cucina mediterranea».
Il regolamento per la pizza De.Co.
Una terza data fondante per la cultura gastronomica locale è individuabile nel 2010, con la certificazione De.Co. che il Comune di Tramonti conferisce alla sua pizza, occasione in cui si approva un primo regolamento a Denominazione Comunale – disciplinare che proprio oggi è al centro dei riflettori affinché il rinnovamento sia tutela della sua storia. Al posto del criscito (la pasta di riporto del lievito madre essiccato e passato di generazione in generazione) adesso si usa perlopiù la biga, un pre-impasto grezzo per innescare la fermentazione dell’impasto finale. Restano invece le farine integrali di grano, farro, miglio, segale, che non necessitano di grassi aggiunti, già ricche come sono di sali minerali e oli essenziali. E rimane come caratteristica la cottura, di almeno tre minuti e più lunga rispetto a quella dei cugini napoletani, «preferibilmente in forno a legna» e a una temperatura tra i 320 e i 350 gradi.
Il pizz’ino di Giò Giordano
L’occasione di PizzAccademy è buona per un confronto della scuola tramontana con le sue corrispettive campane e non solo, così come per rileggere alcuni dei percorsi individuali dei pizzaioli che qua affondano le loro radici. Cominciamo da uno dei più singolari, quello del già citato Giuseppe Giordano, poi Giò il Pizz’ino, nato in una famiglia di pizzaioli emigrata ad Alessandria. «Da ragazzo volevo fare tutt’altro, odiavo la pizza, i miei amici uscivano per divertirsi e io passavo le serate al forno di famiglia». Il padre però muore giovane, tra le sue braccia, nel 1992; Giuseppe è il maggiore dei fratelli e dunque qualcosa scatta, nella sua mente: la strada è segnata, ma innervata dalla curiosità e dalla ricerca, dalla voglia di crescere e innovarsi. Quasi vent’anni dopo, in un momento di crisi esistenziale, ebbe una sorta di visione: «che – racconta lui – porta a unire la tradizione piemontese della pizza al tegamino con quella tramontana: mi apparve davanti agli occhi una teglia rotonda senza fondo», in pratica una cintura metallica. Giò rientrò in pizzeria e con mezzi rudimentali cominciò a tagliare i suoi padellini per privarli della base, era il 2010 e due anni più tardi avrebbe brevettato Il Pizz’ino, strumento di cottura che conferisce alla pizza «la friabilità del contatto col mattone unita alla sofficità del tegamino». Un brevetto indovinato nei risultati, ma ancora in cerca della ribalta mediatica che il suo potenziale meriterebbe.
Il ritorno a Tramonti dei pizzaioli emigrati
Torna alla sua Tramonti per la sfida di PizzAcademy anche Fortunato Amatruda, chef lievitista e patron di Anima Romita a Crema, «cresciuto tra i sacchi di farina» della prima pizzeria cittadina fondata dal padre Salvatore nel 1968, ancorato alle origini campane ma specializzatosi in giro per il mondo. Approdato a diverse tipologie di pizza, tutte realizzate con lievito madre ma «differenti per impasto e per concezione», ha qui proposto una Pizza Tramonti contemporanea con fior di latte, friarielli saltati, marmellata di limone sfusato amalfitano e maionese di colatura di alici di Cetara.
Torna a Tramonti anche Giovanni Mandara, che cominciò a girare il nord da ragazzino prima di aprire a Reggio Emilia la sua Piedigrotta, oggi anche on the road col progetto del food truck. E torna Carmine Nasti della Pizzeria Capri di Bergamo, istituzione datata 1967: per lui il salto qualitativo avvenne nei primi anni 2000 quando, dopo aver studiato all’Università della Pizza di Vighizzolo d’Este (Padova) è giunto a progettare una pizza «contemporanea, sana, attenta alla materie prime, al territorio».
Ed è originario di Tramonti anche il titolare di una bella pizzeria a Busto Arzizio, hinterland milanese, giunto al nord anche lui con la famiglia in cerca di fortuna e di spazi d'impresa: parliamo della famiglia Vaccaro dell'Antica Pizza.
Il gotha della pizza contemporanea
Gli onori di casa spettano in primis a Vittorio e Graziano Giordano della pizzeria Il Valico. Ma ci sono anche gli altri artigiani di Tramonti: Alfonso Simeone del Frescale, Antonio Erra al forno di Da Regina, Giuseppe Imperato che ha il suo Il Porticciolo di Maiori. Per il parallelo con altre scuole, ci sono Sasà Martucci con la sua Margherita Casertana a base di stracciatella; Matteo Vari con una pizza romana alla pala ripiena di crema di zucca, provola affumicata e salsiccia; Errico Porzio con una Partenope a base di datterino giallo e crema di piennolo rosso. E ancora, Raffaele Bonetta da Pozzuoli con la pizza in doppia cottura con acciuga e zest di limone; Pietro Manganelli con una Cilentana ben rappresentativa della sua tradizione. E quindi Francesco Ferrara, Francesco Giordano, Francesco Maiorano, Vincenzo Nese, Raffaele Vitagliano, Antonio Vuolo, per un quadro veramente esaustivo della pizza contemporanea: è all’interno di questo universo moderno e attuale che rivendica il so ruolo la pizza di Tramonti.
Ingredienti intorno al borgo
Se pizza chiama pomodoro, a Tramonti risponde il Re Fiascone, detto anche Re Umberto in omaggio al re d’Italia che visitò Napoli chiedendo in tavola appunto il “re dei pomodori”, antica varietà selezionata già nel 1800, ampiamente diffusa e poi quasi estinta. È un pomodoro sodo di forma allungata (darà origine al San Marzano), da pianta vigorosa, profumato e gustoso, coltivato nelle colline e nei terrazzamenti dove «lavorare la terra non è semplice», spiegano i protagonisti di ACARBIO (Associazione Costiera Amalfitana Riserva Biosfera) che ne tutelano e promuovono la coltivazione. Un pomodoro che chiede «un duro lavoro e molta fatica», ma che poi «quando vedi nascere i frutti, è una meraviglia della natura». Altro pomodoro locale è il Tombolino, che l’azienda agricola Terra di Mezzo coltiva a Tramonti e commercializza in mix con il Pixel, «così da bilanciare acidità e dolcezza», racconta la titolare Filomè Ginevra Ferrara che raccoglie ed essicca anche l’ottimo origano selvatico di qui, «anche se le quantità sono sempre minime».
Passando al fior di latte, Antonio Campanile del caseificio Al Valico ricorda che la scuola locale per il fiordilatte è diversa da quella di Agerola: «il sale va nella pasta che risulta più morbida, meno turgida, per un gusto più delicato e meno sapido rispetto a quella che invece fa la salamoia».
A Tramonti un polo del gusto
Uno dei più apprezzati pasticceri d’Italia, Salvatore De Riso , è nato nella limitrofa Minori (dove accanto alla pasticceria ha aperto un bel ristorante bistrot) e ha scelto Tramonti come sede del suo laboratorio. La morfologia del luogo non consente grandi capannoni dove tutto sarebbe più agevole, ma “Sal” ha preferito organizzare la produzione sui tre piani «di questo bellissimo opificio», come dice lui stesso, pur di non allontanarsi «da un posto in cui sto molto bene». 85 persone impiegate per il solo laboratorio, organizzazione aziendale su ciclo continuo e tecnologia su misura per prodotti che rimangono artigianali, col territorio «protagonista assoluto». Alla base del successo – racconta – «ci sono ingredienti di altissima qualità: da Sapri a Sorrento, da Napoli a Giffoni, seleziono e impiego i migliori prodotti di stagione». Materie prime che ritroviamo nella Delizia al limone amalfitano come nel Soffiato di Pastiera o nella Ricotta e Pere con ricotta di Tramonti, pere Pennate e nocciole di Giffoni.
Per il caffè passiamo la mano a un’altra famiglia Giordano, stavolta è Nello che col padre Luigi vive e opera ad Alessandria ma che al paese di origine ha dedicato il suo Tramonti Caffè: tre diverse miscele realizzate con cura artigianale, «cercando di riprodurre in tazza quelli che sono i ricordi, le sensazioni e i profumi dei nostri luoghi». Si chiude quindi con il Concerto, il rosolio più antico della costa d’Amalfi nato nell’antico conservatorio di Pucara, frazione di Tramonti: accanto a erbe, spezie e buccia di limone, vede giusto l’impiego del caffè. O si chiude piuttosto con lo zafferano, visto che adesso anche Tramonti ne ha uno tutto suo, prodotto dall’agriturismo Il Tintore della famiglia Caso che realizza anche olio extravergine di oliva e miele, confetture di cipolla e peperoncino e altre delizie che raccontano le mille sfaccettature di questa terra.
Per dare dimora a tutto ciò, il comune di Tramonti prepara l’apertura della Casa del Gusto, prevista per ottobre 2024 in una struttura moderna e funzionale, dalle importanti dimensioni specie se relazionate al contesto. Ospiterà anche dei corsi per aspiranti pizzaioli e pasticceri: a insegnare dietro ai forni, ovviamente, i maestri di cui abbiamo appena raccontato gli impasti. Mentre la cucina si avvarrà della collaborazione dell’Academy di Gambero Rosso.