In origine era tostato scuro, aveva una crema densa ed un sapore deciso. Oggi, invece, il caffè viene reinterpretato alla scoperta di tutte le sue sfumature aromatiche. Quello di Napoli, però, continua a mantenere saldi dei precisi connotati sociali, rituale indispensabile che regala “una certa serenità di spirito” come ricordava il caro Eduardo de Filippo, quella stessa che aiutava la Signora del Mattino, Matilde Serao, ad aprire le sue giornate con un doppio caffè per superare dubbi e incertezze e trovare l’energia necessaria a scrivere i due articoli che passava ogni giorno.
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Eduardo nella commedia teatrale televisiva "Questi Fantasmi"
Napoli e l'evoluzione della tazzulella
E se a non cambiare mai, nella città partenopea, è rimasto questo suo senso, la tazzulella ha saputo, però, rimestarsi nel tempo adattandosi col cucchiaino a nuove culture e sapori. Così alla semplice retorica della città col “caffè più buono del mondo” oggi rispondono piccole e nuove botteghe come quella di Caffè Sansone al civico 610 di Corso Vittorio Emanuele. Trenta metri quadri, qualche tavolino all’interno, un angolo vendita del caffè tostato in casa e al bancone il giovane Vincenzo Sansone. O come il Blue Turtle...
Trento. Basta questa parola per ricordargli dove tutto ha inizio «mio padre lavorava per le navi da crociera e a diciotto anni, da Napoli, mi sono trasferito anche io lì insieme a mia madre».
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Caffè, il legame Trento-Trieste-Napoli
Due città di mare e un filo di vento a legarle anche nella cultura del buon vino e del caffè che fa crescere in Vincenzo un pensiero alla ristorazione «ma non sapevo ancora come decifrarlo» che nel mentre inciampa tra eventi e lezioni all’Università del caffè di Trieste.
«Mi sono sempre detto che, se avessi aperto un bar, sarebbe stato un mix tra quello che stavo vivendo lì e quello che avevo vissuto a Napoli». Così un grosso sacco di nozioni appena infarinate, la voglia di iniziare qualcosa di nuovo e Vincenzo lascia Triste per ritrovarsi nuovamente nella sua città: «al mattino lavoravo gratis in un bar e tutte le sere seguivo un corso internazionale per diventare barman».
Dopo qualche anno, finalmente l’occasione di rilevare un locale, era il 2012, e da lì a poco sarebbe diventato la sede del Caffè Sansone.
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Il tostino della micro-torrefazione Sansone
Sansone: oltre il classico bar
«All’inizio preparavo caffè come in tutti i bar di Napoli»; nel mentre, però, compra la sua prima tostatrice, ancora oggi esposta in bella vista sul bancone e inizia a fare prove coi clienti «lo offrivo per capire se piacesse».
«Ho seguito diversi percorsi di formazione Sca (Specialty Coffee Association) dal green coffee, al breuing, al seensory passando per il roasting», e alla fine a furia di macinare è riuscito a trovare quel giusto compromesso tra la tazzulella di caffè e la sua idea di qualità: «è l’House blend una miscela composta da 70% Arabica e 30% Robusta, non il tipico caffè napoletano, ma ci andiamo molto vicino grazie a un bilanciamento tra dolce amaro e un’acidità non troppo spiccata»: che si percepisce bene (e che piace) una volta che il caffè finisce nella tazzina.
Il fascino della selezione dei chicchi e della tostatura
Ma è difficile pure resistere ai mono-origine o agli specialty, che, oltretutto, variano ogni settimana. Come nel caso del chicco indiano Plantation A proveniente dalla regione del Mysoreinas Gerais con richiami di incenso e noce moscata o del più energico Etiopa Sidamo con sentori fruttati e un retrogusto aromatico.
«Parto da una selezione della materia cruda verde sempre di alto livello, ogni chicco ha una sua identità e attraverso la tostatura è possibile esaltarla».
Così dietro al bancone si scorge l’ampia strumentazione che dalla tostatrice, alla macchina per espresso passa ai macinini on demand, offrendo tutti i tipi di estrazione: per le mono-origini espresso, il Blend House passando per il caffè con filtro a quello per la moka: «il cliente sceglie la tipologia di caffè che preferisce e io gliela macino all’istante in buste da 250 grammi da portare a casa».
Ed è proprio questa vista che rende ben chiara la passione e il lavoro svolti per raggiungere una produzione artigianale che oggi si assesta su circa trentamila chili annuali tra vendite in loco, rivendite internazionali e ristoratori campani che nei loro locali si affidano a Caffè Sansone, diventato nel mentre anche una meta irrinunciabile per i turisti appassionati.
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Incontri di formazione con ristoratori e alberghieri
Anche per questo la piccola tostatrice da un chilo è stata sostituita da una da sei, con la torrefazione che si è spostata, poi, di qualche metro più avanti al bar, in un locale adibito alla sola macina e che spesso diventa anche sede di ritrovo per workshop e visite guidate tenute dallo stesso Vincenzo «saltuariamente organizziamo anche dei mini corsi di avvicinamento al caffè oltre agli incontri che tengo con le scuole alberghiere».
E il suo è un caffè che non pesa neppure alla tasca, con l’espresso della casa a un euro e cinquanta e le singole origini specialty in tazza doppia a quattro euro.
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"Un caffè troppo scuro è come una Fiorentina bruciata"
«Certo non è stato facile, molti clienti non sono più tornati, altri, invece, sono diventati dei fedelissimi. Hanno imparato a educare il loro palato - precisa Vincenzo - perché un caffè tostato robusto è uguale a una fiorentina bruciata che nessuno però vorrebbe mai mangiare».
Il caffè allora va spiegato e raccontato «è un processo di formazione lungo e qui a Napoli a volte è anche più complicato visto che bisogna scardinare i nostri stereotipi» ed è per questo, allora, che da mattina a sera lui è lì, dietro al bancone, tosta, imbusta, se c’è da lavare le tazzine le lava, ma il tempo per parlare coi suoi clienti lo trova sempre, provando a smuovere quella tazzullella e caffè, tra un giro di tradizione e una vutata di innovazione, che a Caffè Sansone sembrano viaggiare in parallelo.