"Basta con questi caffè super acidi, ecco come fare un buon espresso". L’esperto spiega cosa significa specialty oggi

22 Nov 2024, 13:13 | a cura di
In questi anni sono nate moltissime torrefazioni e caffetterie specialty, con un gusto quasi sempre spinto sull'acidità. Ma un buon espresso, secondo l'esperto Andrej Godina, ha bisogno di tostature scure ben fatte (con una grande materia prima)

Salviamo gli specialty coffee dagli specialty coffee. Lo scrivevamo un anno fa e siamo qui a ribadirlo ancora. Perché quello dei caffè speciali, di qualità, semplicemente buoni è sì un mondo in crescita ma ancora una nicchia in Italia. A dirlo non siamo noi stavolta ma Andrej Godina, esperto di caffè con un dottorato di ricerca in scienza, tecnologia ed economia dell’industria del caffè, professore anche alla Gambero Rosso Accademy (qui per conoscere il nostro Master in comunicazione, food marketing e critica gastronomica). Infaticabile viaggiatore, Godina conosce bene la filiera dell'oro nero, a cominciare dalle piantagioni, ma ancor di più ha visto svilupparsi il mercato degli specialty, che in Italia rischia di allontanare i consumatori: «Quello che si è diffuso qui è principalmente il concetto di Third Wave» racconta al Gambero Rosso, «un movimento nato negli Stati Uniti e poi arrivato in Europa che scoperto un modo diverso di bere caffè, spesso portato all’estremo».

Davvero per un buon espresso serve una tostatura chiara?

Parliamo di tostature molto chiare, «fin troppo», che danno vita a bevande complesse «alle volte neanche così gradevoli, molto spinte sull’acidità, che fanno perdere un po’ il piacere dell’espresso». Che dovrebbe essere sì di qualità, ma non faticoso da degustare: un bel lavoro è, per esempio, quello fatto da Lavazza, con la linea specialty 1895, «un caffè fatto con criterio, tostato e declinato per l’espresso, con un equilibrio più dolce, una leggera acidità e un ottimo bilanciamento». Il cambiamento, si sa, passa soprattutto per le grandi aziende, «e molti brand stanno seguendo l’esempio, come Cellini, che ha sviluppato una bella linea di specialty». Poi, certo, ai piccoli imprenditori resta il compito di lavorare sul territorio, a contatto diretto con i consumatori, «che vanno però avvicinati gradualmente e con gentilezza».

I baristi non devono allontanare i consumatori

Un altro tema scottante, quello del servizio, che spesso finisce - seppur con tutte le buone intenzioni del caso - per risultare arrogante e poco accogliente. È il caso dello zucchero, totalmente bandito in alcune caffetterie contemporanee: è vero che una buona bevanda non ne ha bisogno, ma andare incontro alle esigenze dei consumatori è il modo migliore per far cambiare loro idea, «sono sempre stato di questa filosofia, anche perché il palato ha bisogno di tempo per abituarsi a sapori diversi». Insomma, parte della responsabilità della lenta ascesa degli specialty in Italia sta nel modo in cui sono stati comunicati, «se lo specialty qui vende poco è colpa della sua stessa community».

La mancata formazione dei baristi

I tempi, comunque, sono maturi per un cambiamento. Per esempio, «anche una piccola nicchia di chef e pasticceri ora sta ponendo più attenzione alla scelta del caffè, così da offrire al cliente un abbinamento di buon livello, magari non un’eccellenza, ma comunque una qualità discreta». Il vero problema? La mancata formazione dei baristi, «i primi corsi iniziai a farli trent’anni fa e mi ritrovo spesso ancora oggi di fronte alle stesse dinamiche, con personale che non conosce neanche il nome della torrefazione usata nel locale». Per non parlare dell’igiene dei macchinari, «moltissimi baristi ignorano la pulizia della macchina espresso, rifiutano l’idea che per una bevanda occorra una ricetta e che le macchine vadano regolate».

Le nozioni da imparare, in realtà, sono semplici: «Parliamoci chiaro, chiunque può fare un buon espresso, basta avere un pizzico di pazienza e seguire delle semplici norme igieniche. Bisogna pulire la macchina una volta al giorno e regolare la macinatura, non è poi un impegno così faticoso». Un tema complesso, legato a doppio filo alla questione degli stipendi dei baristi, spesso inadeguati e con contratti sbagliati, se non addirittura in nero, «una condizione che in Italia esiste ancora e che non fa altro che intensificare un sistema sbagliato». Che comporta non solo una qualità media dei bar molto bassa, ma anche una svalutazione della figura del barista, spesso considerato un mestiere di ripiego, destinato ai più giovani o ai lavori stagionali.

Perché gli specialty italiani sono tostati chiari

Le problematiche sono molte, dalla mancanza di una mentalità imprenditoriale all'annosa questione del prezzo dell'espresso, che merita però un capitolo a parte. Ma torniamo al punto cruciale, il gusto, e quell'acidità accentuata che tanto è andata di moda in questi anni: perché? «Quando si è in dubbio e magari non si hanno solide basi tecniche, con una tostatura chiara non si sbaglia. Tostare bene scuro è più difficile, e poi si ha un calo peso minore». C’è anche più guadagno: «Per estrarre un espresso doppio dignitoso da chicchi tostati chiari, un barista deve usare 20 o 21 grammi di caffè, più di quelli che occorrerebbero con una tostatura scura». Infine, una distinzione netta del gusto più semplice da ottenere, «bevendo uno specialty molto acido, chiunque si accorgerebbe della differenza con un caffè convenzionale, mentre per rendere speciale dei chicchi tostati scuri occorre acquistare una materia prima davvero eccellente».

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