Le colture destinate al mercato come cacao, palma da olio, anacardi e alberi della gomma, il caucciù, che si espandono sempre più su larga scala, sono i fattori principali della deforestazione dell’Africa, un fenomeno che sta interessando in modo preoccupante il continente. Nonostante, infatti, gli impegni presi da oltre 100 leader mondiali per arrestare e invertire la perdita di foreste e il degrado del suolo entro il 2030, l’Africa nel 2022 ha perso circa 3,6 milioni di ettari di copertura arborea, tra cui circa 800mila ettari di foreste tropicali primarie o di vecchia crescita.
Un nuovo studio per comprendere la deforestazione
Gli scienziati alle prese con i cambiamenti climatici, però, non si fermano nella loro battaglia contro la deforestazione che distrugge ecosistemi fondamentali per la sopravvivenza, e procedono con i loro studi che diventano sempre più precise. Tra gli ultimi, molto importante quello di un gruppo di ricercatori dell'Università di Wageningen nei Paesi Bassi che hanno indirizzato le loro ricerche a comprendere quali siano le colture che contribuiscono alla deforestazione.
I risultati sono stati pubblicati su Nature Scientific Reports e mostrano una mappatura ad alta risoluzione e precisione dell'uso del suolo in Africa, che documenta le cause della perdita di foreste dal 2001 al 2020 e come queste varino da zona a zona. Sul banco degli imputati ci sono così, cacao, palma da olio e alberi della gomma, principali fattori della perdita di foreste umide in Africa Centrale e Occidentale, gli anacardi che stanno occupando sempre di più le foreste secche dell'Africa Occidentale e Sud-orientale, le colture su larga scala che si espandono in Nigeria e Zambia.
La domanda sempre crescente dell'Occidente
Considerando che le foreste africane rappresentano il 14% della superficie forestale mondiale, la ricerca, sostengono gli scienziati, potrà servire ai governi locali per sostenere pratiche agricole che limitino la deforestazione e ai Paesi europei per capire se le materie prime provenienti dall'Africa siano state prodotte nel rispetto delle foreste.
Anche perché, diciamolo, il fenomeno non ci deve apparire troppo estraneo, visto che è proprio la crescente domanda di prodotti agricoli e forestali importati nei Paesi ricchi, che sta distruggendo vaste aree boschive che sono cruciali per contrastare il riscaldamento climatico. Siamo noi che acquistiamo il loro cacao trasformandolo in ricche tavolette da dieci euro l’etto, siamo noi che compriamo il loro olio di palma come ingredienti da mettere nei rossetti e gli anacardi, perché sono diventati un super food di cui nessuno vuole più fare a meno.
Le nostre abitudini alimentari responsabili della deforestazione
Del resto non è una novità che la deforestazione globale sia strettamente collegata alle nostre abitudini alimentari. Secondo varie ricerche fatte negli anni, il consumo medio di caffè, cioccolato, carne di manzo e altri prodotti di ciascuno di noi corrisponde all’abbattimento di quattro alberi ogni anno, la maggior parte nelle foreste tropicali ricche di fauna selvatica.
Da uno studio del Research Institute for Humanity and Nature di Kyoto, pubblicata sulla rivista Nature Ecology and Evolution è risultato che il consumo di cioccolato, per esempio, nel Regno Unito e in Germania è responsabile della deforestazione in Costa d’Avorio e Ghana mentre la domanda di carne di manzo e soia negli Stati Uniti, nell’Unione europea e in Cina, distrugge gran parte delle foreste in Brasile. La deforestazione globale vede dunque tra i principali responsabili le maggiori potenze economiche al mondo.
Uno strumento eccezionale, ma che va usato
L’UE vuole contribuire a frenare la perdita di foreste e lo sta facendo con la Regolamentazione UE sulla Deforestazione, una nuova iniziativa che mira a garantire che i prodotti alimentari e non, immessi sul mercato europeo non siano responsabili di deforestazione e a promuovere, inoltre, la trasparenza e la tracciabilità nelle catene di approvvigionamento, facilitando ai consumatori la scelta consapevole dei prodotti acquistati.
«Ciò che rende speciale questo studio - concludono i ricercatori - è l’uso innovativo di immagini satellitari, algoritmi di apprendimento automatico e apprendimento attivo. Questo ci ha permesso di identificare con precisione l’uso del suolo post-deforestazione, mapparlo su una scala e un livello di dettaglio senza precedenti e valutare la tendenza e gli hotspot della conversione dell’uso del suolo in diversi paesi e regioni dell’Africa» scrive Robert N. Masolele, autore principale dello studio.
Sicuramente un’ottimo strumento, qualora i Governi vogliano usarlo, visto che nonostante il crescente riconoscimento della gravità della deforestazione nei paesi in via di sviluppo, le impronte di deforestazione sono rimaste sostanzialmente invariate dal 2000.