Dagli studenti fuori sede ai professionisti con poco tempo a disposizione. Sulle scrivanie e tavole degli italiani c'è sempre meno spazio per la schiscetta ma sempre più posto per i pasti pronti. Merito dell'ampliamento dell'offerta "ready to eat" nei negozi e nei supermercati, che negli ultimi anni ha garantito una vera e propria esplosione del segmento. Un'evoluzione del vecchio panino al banco gastronomia che ha fatto registrare in Italia, come nel resto d'Europa, un'espansione dei cibi che non devono essere cucinati o riscaldati prima di essere mangiati in pausa pranzo e perché no a casa. A testimoniarlo sono i numeri delle vendite. Secondo i dati della società di ricerca Circana, il settore del "retail ready to eat" rappresenta il 3,5% del mercato foodservice in Italia, con un valore di 2,5 miliardi di euro. Una fetta importante - anche alla luce della crescita del comparto nel 2024 del 15,3% rispetto al 2017 - ma inferiore alla media di mercato europea del 5,5%. Che offre comunque un’opportunità di sviluppo per il mercato italiano, come afferma Edurne Uranga, vicepresidente Foodservice Europe di Circana: «Il consumo immediato rappresenta un bacino di crescita per il retail, che mira a conquistare una quota maggiore del foodservice».
L’evoluzione delle abitudini tra retail e foodservice
Già, perché i consumatori sono sempre più interessati a soluzioni rapide e accessibili per i pasti, anche al di fuori dei canali tradizionali. Le scelte dei clienti non si basano più esclusivamente sulla tipologia di esercizio, ma su fattori come comodità, prezzo ed esperienza. Elementi che, come sottolineato dalla ricerca, rendono i supermercati e loro pasti pronti, un tempo considerati un’alternativa secondaria, veri e propri competitor di bar e ristoranti. Basti pensare che la quota di mercato della ristorazione tradizionale è scesa dal 79% nel 2021 al 77% nel 2024, mentre i canali non commerciali comeretail, distributori automatici o stazioni di servizio sono passati dal 21% al 23%.
Un motivo in più per far convergere retail e ristorazione. Grazie al ready to eat, sempre più supermercati offrono servizi di ristorazione in loco, mentre le vending machine e i salad bar contribuiscono a ridefinire i confini tra i due settori. I retailer espandono l’offerta di piatti pronti, mentre le catene di ristorazione esplorano nuove strategie, come collaborazioni con la grande distribuzione e la creazione di proprie linee di prodotti pronti all'uso.
Mercato della ristorazione al sicuro
Secondo Luciano Sbraga, direttore del Centro Studi Fipe Confcommercio, la crescita del settore ready to eat si concentra soprattutto nella fascia del pranzo, legata a consumi funzionali e alla diffusione dello smart working. «Già prima della pandemia si registrava un aumento della domanda di pasti veloci e dal buon rapporto qualità-prezzo. La tendenza si è consolidata e anche i pubblici esercizi si stanno adattando con soluzioni come il delivery e il take away», racconta a IlSole24Ore.
Eppure, nonostante l’evoluzione del mercato, l’impatto sulla ristorazione tradizionale rimane limitato. «Si tratta di un fenomeno che impatta solo parzialmente la ristorazione più tradizionale. È vero, - continua Sbraga - registriamo un calo delle visite a pranzo dell’1% circa, anche se a valore c’è una crescita. Ma se consideriamo tutte le occasioni di consumo, dalla colazione alla cena, i nostri dati sono confortanti». Un motivo in più, sottolinea il direttore Fipe, per non vedere come una minaccia i punti ristoro della grande distribuzione. "Queste attività rientrano a tutti gli effetti nel settore dei pubblici esercizi. La distribuzione commerciale si sta adattando ai cambiamenti nei consumi, ma non si tratta di concorrenza sleale, purché vengano rispettate le regole del mercato", conclude.