"Stelle Michelin? Se hai personalità non sono una schiavitù". Parlano il proprietario e lo chef di Bistrot 64

25 Ott 2024, 17:06 | a cura di
Giacomo Zezza ed Emanuele Cozzo rispondono alle polemiche nate a seguito della decisione del ristorante Giglio di Lucca di "rinunciare" alle stelle Michelin

«Per quanto riguarda i ragazzi del Giglio di Lucca, credo abbiano avuto di certo delle forti motivazioni e li rispetto, così come rispetto le scelte di qualsiasi ristorante o ristoratore, sia chiaro. Credo però che quando fai un certo tipo di ristorazione a quei livelli di riconoscimento ci pensano tutti. C’è chi lo desidera e chi ci pensa e basta, ma è un risultato che ti viene riconosciuto anche se non lo chiedi». A parlare è Emanuele Cozzo, ideatore di Bistrot 64 a Roma, che da luglio 2023 è di nuovo alla guida del ristorante, fino a qualche anno fa insignito della stella. «Se dovessi riprenderla ne sarei felice, ma per me le guide importanti sono tutte uno stimolo a crescere continuamente. Di certo non sono un traguardo, ma un’ambizione al riconoscimento del tuo lavoro sì, quindi lunga vita alle guide».

Cosa significa per un imprenditore puntare ai riconoscimenti? «Significa sicuramente investire, ma nell’attenzione a essere originali e coerenti al proprio pensiero di ristorazione, senza ostentazioni. Un’azienda deve far quadrare i conti, quindi molto spesso un imprenditore punta a fare una cucina che riempia i tavoli e questo se da una parte inevitabilmente ti mette al sicuro, dall’altra non ti permette di spingere sul carattere identitario di un progetto. Insomma, se investi per essere come vogliono gli altri è più difficile essere te stesso. Personalmente vorrei che il mio ristorante fosse premiato per come abbiamo scelto di essere», dice Cozzo.

Riconoscimenti e fatturati

Desiderare un simbolo che sigli il valore tecnico del tuo lavoro come ristoratore e come cuoco, certamente ha un peso nel mondo dell’enogastronomia nazionale e internazionale. Spesso ci si lascia convincere che siano solo elucubrazioni da addetti, ma la realtà dei fatti (e dei fatturati) segna ineludibilmente l’importanza delle guide (credibili) nel mondo della ristorazione. Riconoscimenti che, come dice Emanuele Cozzo, arrivano mentre fai semplicemente il lavoro che hai scelto di fare, nel modo in cui hai scelto di farlo. Diverso è invece poi sentirsi parte o schiavi, da capire caso per caso, di un sistema di giudizio che trova il suo successo nell’aderenza con chi lo segue, e non con chi giudica.

Giacomo Zezza, oggi a capo della cucina di Bistrot 64, non si nasconde «Quando investi la tua vita in cucina, iniziando da giovane perché è quello il mestiere che hai scelto, rinunci a una vita da ventenne spensierato e ti realizzi tra i fornelli mentre i tuoi coetanei viaggiano ed escono. Se poi decidi di fare di ricerca e tecnica i pilastri della tua cucina, passi inevitabilmente per il giudizio. Il primo è popolare ed è quasi sempre impietoso se lavori su piatti di grande identità, perché finché non arriva una guida a dirti che sei bravo, per le persone comuni molto spesso sei matto. Poi, arrivato il riconoscimento, diventi il nuovo fenomeno e un nuovo posto dove andare assolutamente a mangiare».

Questo quanto pesa sul lavoro di un cuoco?

Il fatto è proprio questo, qui nasce l’equivoco della schiavitù che si pensa di avere e che invece non esiste. Un cuoco che ha personalità dovrebbe sentirsi libero sempre di cucinare nel modo che lo rappresenta, senza vincoli. Se i riconoscimenti ti arrivano da cuoco libero rimarrai sempre libero, ma se inizi a cucinare seguendo le regole di qualcun altro inevitabilmente sarai sempre schiavo.

Quindi secondo ha senso o no dichiarare la rinuncia di un riconoscimento?

Ha senso nella misura in cui vuoi attirare l’attenzione su un argomento sensibile all’intera comunità enogastronomica, facendo diventare la notizia d’interesse comune. Non credo abbia grande senso se dichiari di rinunciare a qualcosa di gratificante per attirare l’attenzione su di te e su motivazione di natura personale.

Tu ti senti libero in cucina?

A me il metro delle guide interessa e non interessa. Non faccio una questione di stelle o forchette, la cosa che più ho a cuore è la costante crescita professionale e la possibilità di confrontarmi sempre con persone vere. Mi piace pensare di far parte di un grande circuito di persone capaci, ma attraverso un percorso in cui voglio sentirmi sempre gastronomicamente libero. Oggi sento che sto crescendo, quindi sì, mi sento libero e nel mentre spero che questo acquisisca il suo valore.

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