Ha meno di 30 anni la birra artigianale nostrana, una nuova ondata che segue la via italiana alle bionde iniziata in stabilimenti industriali a metà ‘800. Negli ultimi tempi, con l’acquisizione di Birrificio del Borgo da parte del colosso multinazionale AbInbev, sembra però chiudersi un cerchio che vede l’arrivo di grandi investimenti.
Cosa è successo nel frattempo? E soprattutto: come sarà il futuro? Esisterà ancora la birra artigianale? E come sarà? Nel mensile di luglio del Gambero Rosso abbiamo cercato di rispondere a tutti i dubbi. Qui un'anticipazione.
La data che ha segnato la birra artigianale
22 aprile 2016: la volpe è entrata nel pollaio. Parafrasiamo le parole di Jean Van Roy, proprietario di Cantillon, birrificio indipendente belga tra i più noti e conosciuti nel mondo, per descrivere una data che ha segnato un prima e un dopo nel mondo della birra italiana: AbInbev, multinazionale che produce più del 30% della birra mondiale vantando oltre 500 marchi (Beck’s, Budweiser, Corona, Hoegarden, Leffe, Löwenbräu solo per citare i più conosciuti) in più di 100 Paesi, acquisisce uno dei più importanti birrifici artigianali italiani, Birra del Borgo, creatura di Leonardo Di Vincenzo.
Per capire meglio ciò di cui stiamo parlando, però, è opportuno fare un passo indietro e tornare negli anni ‘90 quando in Italia alcuni coraggiosi precursori iniziarono a produrre le prime birre artigianali, divenendo i portabandiera nazionali di quella craft revolution che era iniziata negli Stati Uniti sul finire degli anni ‘70.
I pionieri della birra artigianale in Italia
Al di là di alcuni sfortunati esperimenti, davvero troppo in anticipo sui tempi, convenzionalmente si fissa l’inizio del movimento brassicolo artigianale al 1996 quando nacquero alcuni birrifici che portarono una sferzata di novità al comparto con marchi tutt’oggi sulla cresta dell’onda: Baladin a Piozzo (CN), Beba a Villar Perosa (TO), Birrificio Italiano a Lurago Marinone (CO), Birrificio Lambrate a Milano, leggermente preceduti dal Birrificio Turbacci di Mentana (RM).
Da lì in poi la birra artigianale è esplosa: i birrifici sono cresciuti vertiginosamente e oggi si contano più di mille produttori, considerando anche le beer firm (produttori che si appoggiano a impianti di altri birrifici). “Il settore della birra artigianale ha registrato recentemente un boom – spiega Michele Cason, presidente di Assobirra, associazione che tutela i produttori di birra e malto italiani (artigianali e non) – Dopo la nascita in tutto il Paese di nuove realtà imprenditoriali per gran parte giovanili, oggi i microbirrifici sono 862, per una produzione di 504mila ettolitri. Le organizzazioni censite da Nord a Sud contano 3.000 addetti e si suddividono in birrifici artigianali (692) e brew pub (170)”.
Certo, dal punto di vista dei consumi la birra artigianale rimane una nicchia: 3,1%. Tutto il resto, quell’enorme 97%, è appannaggio dell’industria della birra.
Birra artigianale e industriale. Differenze e leggi
Ma cosa significa birra industriale e birra artigianale? Per distinguere le due cose, ci viene in soccorso una legge emanata il 6 luglio del 2016: “si definisce birra artigianale la birra prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta durante la fase di produzione a processi di pastorizzazione e di microfiltrazione [...] Si intende per piccolo birrificio indipendente un birrificio che sia legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro birrificio [...] e la cui produzione annua non superi i 200mila ettolitri...”.
Se quest’ultimo concetto di ordine meramente quantitativo è semplice da capire (e anche abbastanza difficile da raggiungere per i birrifici artigianali italiani: il più grande, Armarcord di Apecchio, nelle Marche, produce “appena” 40mila ettolitri), un po’ meno comprensibili per i non addetti ai lavori sono gli altri due punti fondamentali di questa legge; il primo riguarda l’indipendenza: se il birrificio appartiene a un altro birrificio, allora il primo non sarà artigianale (motivo per il quale Birra del Borgo non può più essere considerato artigianale).
Il secondo concetto riguarda due processi della produzione: se avvengono microfiltrazione e/o pastorizzazione (azioni volte a dare maggiore stabilità microbiologica alla birra, l’uno fisico, l’altro termico), allora il birrificio non potrà essere considerato artigianale.
“La legge sulla birra artigianale ha definito in modo chiaro i requisiti necessari per potersi fregiare di questa denominazione– spiega Vittorio Ferraris, direttore di Unionbirrai, l’associazione di categoria dei piccoli birrifici indipendenti – A supporto di ciò il Mipaaft-Icqrf (organo del Ministero a tutela dei consumatori) ha siglato un accordo di collaborazione con la nostra Associazione per definire le modalità di controllo e di intervento in caso di utilizzi impropri. La vigilanza è costante e supportata anche da organi istituzionali. Purtroppo la legge non ha sancito in modo chiaro alcuni requisiti tecnici (ad esempio la “microfiltrazione”) che possono lasciare spazio a interpretazioni soggettive”.
E continua: “Non nascondiamo che per noi gli aspetti più importanti riguardano la dimensione di impresa e la sua indipendenza economico-legale dal mondo dell’industria birraria, requisiti riconosciuti all’unanimità anche a livello internazionale”.
Michele Cason però sottolinea un aspetto non secondario: “La legge sulla birra artigianale identifica una tipologia di birra, definendo i produttori che devono essere indipendenti e di dimensioni inferiori a 200mila ettolitri annui e definendo il prodotto che non può essere pastorizzato o microfiltrato, la cui vitalità risulta quindi essere preservata. Tuttavia questa definizione è ancor oggi poco conosciuta. Dalla ricerca dell’istituto AstraRicerche - “Gli Italiani e la Birra” - emerge che solo il 40% dei consumatori attribuisce alla birra artigianale le caratteristiche corrette mentre per la maggioranza degli intervistati la birra artigianale è prodotta con materie prime locali, di qualità, caratteristiche spesso vere ma sicuramente non esclusive. È quindi auspicabile una maggiore informazione in modo tale che il consumatore possa fare una scelta più consapevole”.
Ma perché c’è stato bisogno di una legge che creasse questa netta distinzione? Per comprenderlo, abbiamo dovuto fare un ulteriore passo indietro. L'articolo completo lo trovate nel mensile di luglio del Gambero Rosso
a cura di Giuseppe Carrus e William Pregentelli
foto di Giovanni Tagini
QUESTO È NULLA...
Nel numero di luglio del Gambero Rosso, in questi giorni in edicola, trovate il racconto completo con un focus sull’industria della birra, sulle tendenze che hanno caratterizzato questi ultimi anni di birra artigianale italiana, sulla birra industriale italiana. Un servizio di 13 pagine che descrive passato, presente e futuro della artigianale italiana e interpella gli esperti: Agostino Arioli, Andrea Turco, Luca Giaccone e Eugenio Signorini, Maurizio Maestrelli, Vittorio Ferraris, Manuele Colonna. Non solo, trovate anche un'utile timeline con tutte le tappe principali e una mappa con i 70 birrifici artigianali da non perdere.
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