Lo scetticismo iniziale si scioglie con il passare dei minuti. L’intervista durerà due giorni, tra assaggi e test carbonari, occhi stralunati e digressioni. Se sfogliamo la biografia di Beppe Vessicchio ci passano davanti sette, otto vite. «Si parla sempre della lunghezza della vita, io penso alla sua larghezza, può avere una tridimensionalità». Di volta in volta lo vediamo come compositore, arrangiatore, direttore d’orchestra, si è cimentato anche come cabarettista. E tra un talent in tv («Quella cosa che sta tra due pubblicità») e chissà cos’altro, lo ritroviamo in Puglia a studiare le connessioni tra Mozart e i pomodori, una delle sue grandi passioni, insieme al vino. «È il trait d’union della mia vita, è stato Davide Rampello ad accendere la passione enologica, a istruirmi».
Di fronte abbiamo una persona affabile, curioso da far paura, sempre alla ricerca di collegamenti tra le cose per tenere vivo il gioco dell’intelligenza. Oggi altoparlanti tra i filari o cataste di bottiglie nel silenzio assoluto dei fondali marini sono immagini familiari. Ma dove inizia e finisce la suggestione? Quello del suono, precisa, è prima di tutto un linguaggio capace di interloquire con la materia, non solo quella biologica, grazie a principi elettrici. «Le piante sono state i primi testimoni e mi hanno dato le prime risposte. Il suono è movimento delle molecole dell’aria sollecitate da una sorgente: un amplificatore, una corda che vibra, una campana. È sempre aria che si muove, ma bisogna capire come».
Gli organismi, vegetali o umani che siano, sollecitati da un suono, attivano una reazione del sistema. «Con il professor Mancuso dell’Università di Firenze abbiamo sperimentato su semi di favino rilevando che l’influenza delle trame armoniche che avevo composto secondo il codice armonico naturale favoriva la crescita delle relative piantine più che con il Beethoven proposto da lui. Io l’ho appreso sezionando Mozart. Perché Mozart? Era un prodigio della natura. Un genio. I test che da anni i ricercatori impiantano con la sua musica nel campo delle radiazioni benefiche forniscono innumerevoli indizi. Non aveva bisogno di strumenti per comporre e scrivere, nella sua testa il suono era già perfettamente formato. Lavorava per puro istinto di equilibri e proporzioni».
Le risposte della vigna
Studi effettuati in vigna hanno dimostrato un ispessimento della buccia tra i filari in ascolto, mentre in cantina la conducibilità del suono passa sia attraverso l’acciaio che il legno. Sappiamo che la materia vino trattata con la musica non cambia la sua composizione chimica, ma le molecole si riorganizzano dal punto di vista elettrico. La letteratura in merito scarseggia, ma già nel vicino 1890 gli esperimenti dal professore Mengarini su circa 50 qualità di vino avevano fornito ottimi risultati. Vessicchio tira fuori un articolo del Giornale Salentino, «mediante l’elettrizzazione i vini acquistano sapore e profumo gradevolissimo, vengono quasi all’istante chiarificati e ciò che più sorprende non si guastano mai e sono resi atti alla navigazione», scriveva il redattore dell’epoca.
Vessicchio ha studiato a fondo Mozart e le reazioni alla sua musica sul mondo vegetale e ha ideato il metodo Freeman (Frequenze e Musica Armonica Naturale). «Ho creato musiche passepartout, composizioni che girano su più tonalità per avere più possibilità di entrare in empatia con il sistema e aprire le cerniere elettriche». Il vino armonizzato cambia il modo in cui si rapporta con noi, «perché l’aspetto elettrico è come uno stand espositivo, se lo giriamo da un’altra parte, vediamo un’altra cosa». Proviamo sul campo.
Il test sul Metodo classico
Prendiamo un Metodo Classico di montagna, il Trento Extra Brut Blanc de Noirs 2019 di Pisoni. Colmiamo due calici identici con la stessa quantità di vino e li mettiamo a contatto con l’ipad di Vessicchio per un trattamento di 15 minuti con la sua musica armonizzante. «Non è importante il livello del volume, ma il contatto. Dopo 10-12 minuti l’effetto è raggiunto e non cambia più, neppure se la musica continua per ore». Parallelamente, riempiamo altri due calici e li mettiamo da parte per un confronto. Nell’attesa, Beppe ci racconta che i vitigni rispondono tutti, ma in maniera diversa: per esempio il Fiano vibra di più in Si Bemolle. Il motore della conducibilità è l’acqua, l’85% della sua composizione.
«L’acqua ha nove possibilità di strutture diverse a seconda di come si legano i due atomi di idrogeno con quello di ossigeno. La geometria delle molecole, il modo in cui si organizzano, offre uno sguardo al palato e all’olfatto diverso». Quel visionario giapponese di Masaru Emoto ha dimostrato come i cristalli dell’acqua modificano la propria struttura in relazione ai messaggi che ricevono, alle vibrazioni. «La vitalità del vino è qualcosa di cui si può tranquillamente dialogare, io un vino vivo lo riconosco; la filtrazione per esempio è uno degli elementi più problematici per la conservazione della vita di un vino. Levi delle impurità, ma è come squamare la pelle per renderla più chiara per poi rendersi conto di aver perso la protezione». Il maestro ha una passione per il Metodo Classico e per il Dosaggio Zero: «Mi sento emotivamente collegato, la bottiglia che fermenta da sola mi attrae terribilmente. Perché so che ogni bottiglia è diversa dall’altra».
Dopo 15 minuti di ascolto...
Passati i 15 minuti di musica, analizziamo il campione trattato e il liquido tenuto da parte senza trattamento musicale. Il riflesso del primo è più scarico e brillante, ma ciò che colpisce è l’impatto sulla carbonica. Nel vino trattato le catene di bollicine sono decisamente più lente e cadenzate nel bicchiere, come seguissero un altro ritmo, e sono leggermente più fini. A parità di ossigeno e condizioni, il bicchiere che “ha ascoltato la musica” è più nitido nei profumi, i toni sono fragranti di lieviti e agrumi, è andata via quella leggera nota lattica che sentiamo invece ancora nel bicchiere non trattato.
Al palato risulta più snello e progressivo – quasi si fosse liberato da un peso – la carbonica è più gentile, come se avesse sostato 12 mesi in più sui lieviti. Riproviamo a scambiare i bicchieri, assaggiamo alla cieca, ma i sensi confermano le sensazioni iniziali. A distanza di 20 minuti, notiamo anche una tenuta maggiore per compattezza aromatica e integrità nel campione trattato, come fosse un filo più resistente al variare della temperatura e al processo di ossigenazione.
A ogni bottiglia la sua musica
Iniziamo a vacillare: 15 anni di assaggi, oltre 70mila vini testati e bastano 15 minuti di musica per sparigliare le carte in tavola. Prendiamo quindi un rosso che si è distinto nei nostri assaggi, il Roero Rosso Riserva 2020 di Valfaccenda. Vogliamo testare l’evoluzione sul tannino del Nebbiolo. In questo caso poniamo la bottiglia, e non il calice, a contatto con l’ipad di Vessicchio. Procediamo con i canonici 15 minuti di musica armonico-naturale. Nell’attesa facciamo due chiacchiere sui gusti musicali e ci trasferiamo in Brasile: «Nella bossa nova trovo una chiave tra ritmo e armonia ancora all’avanguardia. Penso a Jobim e alla sua sensibilità spaventosa. Dentro c’è un mondo di equilibri e proporzioni, la renderei obbligatoria nei corsi di formazione», fa Vessicchio.
Di Sanremo ricorda le verticali di Barolo nella sua camera d’albergo con presidenti di multinazionali: «Giocavano alla lotteria con bottiglie pescate in un’enoteca storica in città che spacciava Barolo degli anni Sessanta e Settanta a prezzo fisso, ogni tanto ci diceva anche bene», sorride sotto ai baffi. Nei camerini, invece, di vino ne gira poco. Tra gli artisti più sensibili al tema cita Elio (Elio e le Storie Tese) che produce Syrah nelle Marche. Allo scadere del quarto d’ora avviciniamo i due bicchieri. Il Nebbiolo trattato è più luminoso nei profumi di rosa e piccoli frutti di bosco, ma è la bocca a sorprendere.
Evoluzione controllata
È come se fosse lo stesso vino, ma con 4-5 anni di più, con un’evoluzione controllata e aggraziata e non solo nei profumi ma anche nella parte tattile. Arriva dove il decanter non potrà mai. L’acidità è più integrata, il tannino più sottile e avvolgente. La progressione e l’espansione al palato sono maggiori, il vino ha più slancio, mentre l’altro campione è senza dubbio più compresso e meno espressivo. «L’espansione è data da un equilibrio dei legami, da un’ottimizzazione di se stesso».
Esperimenti portati avanti ad Alba hanno evidenziato un leggero aumento dei polifenoli come riflesso dell’ascolto, il dato aggiunge un carico di mistero. Il vino sotto stress, sottoposto a calore, ossidazione e acidi è inoltre risultato significativamente più resistente, racconta. La partita si gioca sul movimento elettrico vitale del vino: «Per ogni bottiglia ci vorrebbe una frequenza sartoriale per individuare un elemento e abbassarlo o alzarlo come un mixer, ma richiederebbe uno studio notevole». Fantascienza o forse no. Di sicuro, l’esperimento ci dà contezza di dove sta andando quel vino. Per chi produce e per chi deve valutare non è un elemento secondario.
Broccoli, pomodori… e limoni
Si sono accese diverse lampadine, decidiamo di allargare i test. Prendiamo un broccolo appena raccolto da un’azienda vicina alla redazione, lo tagliamo e ripetiamo il trattamento musicale su alcuni pezzetti. All’assaggio ci giriamo, non sappiamo quale sia il vegetale trattato, ma la consistenza leggermente meno croccante e il sapore più morbido e meno pungente tradisce l’effetto del trattamento armonizzante. Il test sul limone, in presenza di diversi cuochi e altri giornalisti del Gambero, fa altrettanto scalpore: la differenza della sensazione acre è assai diversa (meno intensa con la musica), anche la consistenza è leggermente meno soda. Alcuni reagiscono abbracciando la barba del compositore. La faccenda è abbastanza seria. Non si tratta solo di quel genio di Mozart, dei Beatles che coccolano melanzane e zucchine o delle mucche del Wisconsin capaci di produrre più latte (+8%) e più calcio grazie all’effetto della musica sulla serotonina. Qui abbiamo davanti un fenomeno fisico, di impulsi elettrici, di cui sappiamo pochissimo. «Anche perché gli esprimenti degli scienziati non sono fatti insieme a esperti dell’arte della musica», spiega il maestro.
Torniamo a parlare di sapori visibili, Vessicchio ama i luoghi familiari, cita come esempi di casa l’Agriturismo del Contadino di Berardino Lombardo a Caianello («È l’esaltazione del “cibo povero”, si mangia quello che produce il suolo») e le cene a tarda notte, dopo il teatro, al Leone d’Oro di Piazza Dante a Napoli: «Da Tonino i vini non si possono vedere, ma i piatti della tradizione sono sinceri!». Quando parla di pomodori diventa subito più serio (“La musica fa crescere i pomodori” è il titolo di un suo libro del 2017).
Collabora con alcuni contadini di Sarno per una micro produzione di passate, valorizza varietà antiche trattate con la sua musica. Sostiene che gli effetti influiscano anche sulla digeribilità. «I pomodori che compriamo sono spesso raccolti ancora verdi, il licopene si forma in un secondo momento. Li vediamo di un colore rosso fiammante ma il nostro corpo sa che quel licopene è il frutto di una difesa immediata, si accorge che i legami non sono sviluppati». È un fiume in piena, sta portando avanti studi anche sulla pasta (vedi box), sospesi quelli sui formaggi: «Si apre un altro mondo: per esempio, una forma di Grano Padano trattata sembrava acquisire 6 mesi in più di stagionatura».
Ci sentiamo sopra una macchina del tempo, alcuni prodotti sembrano accelerare, altri come l’olio (vedi box) comprimono la variante. Non avevamo mai pensato a collegamenti così puntuali tra musica e gusto. «Siamo davanti a nuova influenza delle onde elettromagnetiche sulla materia in genere: il principio non è musicale ma fisico». I risvolti a livello industriale? «Sicuramente sulla shelf-life (vita sullo scaffale) degli alimenti perché la longevità è data dal benessere in equilibrio, ci sarebbe il potenziale per andare oltre la scadenza». Gli hanno proposto di sviluppare un’app, ma ha altri progetti. «Voglio continuare a indagare, il vino è solo il testimone di questa rivoluzione, sono convinto del bene che questo concetto promuove. L’armonia è l’elemento che può salvarci».