Cos'è una birra trappista
Per essere considerata tale, un birra trappista dev’essere prodotta entro le mura di un’abbazia cistercense e sotto la supervisione dei monaci che ancora la abitano. Il rispetto di questa regola, insieme alla garanzia che il ricavato sarà impiegato per opere di bene ed esigenze ordinarie della comunità monastica, vale alle birre d’abbazia il logo esagonale concesso dall’Associazione Nazionale trappista, che attesta al consumatore di essere in presenza di un Authentic Trappist Product. Nel mondo, è il Belgio a salvaguardare storicamente l’eredità della cultura brassicola monastica. E questo, fuor di romanticismo, non significa solo lavorare su antiche ricette tramandate nei secoli, ma anche presidiare una fetta di mercato crescente, alimentata da numerosi estimatori della birra trappista. Lo sanno bene i monaci di Chimay, probabilmente il birrificio trappista più celebre nel mondo, che hanno appena annunciato il lancio di una nuova etichetta – Chimay 150, una belgian golden strong ale con caratteristico tappo verde, in vendita dal 1° giugno – che porta a cinque le referenze base di una gamma ampliata in oltre 150 anni di attività (e la nuova etichetta celebra proprio il traguardo raggiunto nel 2012) all’interno dell’abbazia di Notre Dame de Scourmont. Insieme a Rochefort, Westmalle, Orval e Westvleteren (che invece ha sempre giocato sulla difficoltà di reperire le sue birre, per accrescerne il fascino), Chimay è uno dei cinque birrifici trappisti che difendono questa tradizione belga, da poco rimasta orfana del birrificio Achel, per estinzione della comunità monastica che viveva nell’abbazia di Notre Dame di Sant Benoit (per gli appassionati del genere, però, anche in Italia esiste un birrificio trappista, presso l’Abbazia delle Tre Fontane di Roma).
La battaglia dei monaci di Rochefort
Chi invece è intenzionato a difendere strenuamente la propria tradizione brassicola è il gruppo di monaci trappisti che risiede a Notre Dame di Saint Remy, Rochefort, nel sud del Belgio. Ormai da dieci anni la comunità ha avviato una battaglia legale che la oppone a un grande gruppo minerario, la compagnia Lhoist, leader mondiale nella produzione di calce, colpevole di voler deviare il corso d’acqua da cui i monaci si approvvigionano per produrre la birra Rochefort, ormai dal 1833. A quella data risale l’atto di concessione di servitù sulla sorgente Tridaine, che però oggi è su un terreno di proprietà del gruppo minerario. Da un lato, dunque, ci sono le ragioni dei monaci, convinti che qualsiasi modifica del corso d’acqua potrebbe alterare il gusto della birra prodotta secondo una ricetta rimasta immutata; dall’altro, quelle di Lhoist, che chiede di poter canalizzare l’acqua per aumentare la propria capacità di estrazione, pena l’interruzione entro il 2022 di una filiera di produzione di calce che dà lavoro a più di 6mila persone, di cui 150 residenti nei pressi dell’abbazia.
In questa lotta che Il Guardian non ha esitato a ribattezzare Davide contro Golia, per ora i monaci hanno sempre avuto la meglio. E l’ultima sentenza della Corte di Appello di Liegi, che si è pronunciata sul contenzioso pochi giorni fa, non fa che confermare la linea seguita dalla giustizia belga: il corso d’acqua resta dov’è, e i monaci possono gioirne almeno fino al prossimo grado di giudizio, quando sarà la Cassazione a emettere una sentenza definitiva (sempre che Lhoist decida di fare ricorso). La tutela di una tradizione fortemente identitaria del territorio, dunque, ha avuto la meglio sulle prove scientifiche presentate dai periti ingaggiati da Lhoist, che mostrano come le proprietà e la purezza dell’acqua resterebbero immutate pur se il corso subisse una deviazione. E ora la compagnia sta pensando di modificare i suoi piani per scavare in una nuova direzione, che non necessiti di una deviazione del Tridaine. Se così fosse, Davide avrebbe davvero vinto la sua battaglia contro Golia. Il motto dell’abbazia di Rochefort, del resto, è “Curvata resurgo” (piegato, risorgo). E i monaci gli hanno reso onore.
a cura di Livia Montagnoli