«Niente frasi o immagini choc sulle etichette delle bottiglie di vino, ma solo un logo per spiegare». In una recente intervista al Corriere della Sera (ripresa, poi, da varie agenzie di stampa) il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, all’indomani dell’incontro con il commissario Ue alla salute Olivér Vàrhelyi, rassicura il comparto sulle etichette sanitarie: «Conterranno indicazioni anche scientifiche che permettano alle persone di scegliere quanto consumare». Niente messaggi di allarme come quelli previsti sui pacchetti di sigarette, che saranno sostituiti, secondo quanto si legge nell’intervista, da Qrcode con testi che invitano alla moderazione. Tutto bene quel che finisce bene, verrebbe da dire. Ma siamo sicuri che sia già finita? A lanciare l’allarme è il segretario di Unione italiana vini Paolo Castelletti, che non appare per nulla rassicurato dalle parole di Lollobrigida.
Il ministro ha annunciato grandi passi in avanti sul tema delle etichette sanitarie. L’Europa ha cambiato idea, quindi?
In realtà al momento non ci risulta alcun atto giuridico in questa direzione.
Quindi il ministro avrebbe annunciato una cosa che allo stato attuale non esiste?
Quello che risulta a noi è solo la possibilità di ricorrere all’autoregolamentazione del settore, ovvero le aziende possono decidere o meno di indicare i pittogrammi che riguardano minori, donne incinte o persone alla guida. O di usare il Qrcode per le informazioni che vogliono veicolare. Ma non parliamo di health warning .
Nessuna proposta di legge europea su cui lavorare?
Ribadisco: manca un atto giuridico sul quale confrontarsi in Europa. L’unica bozza Ue, datata 28 marzo 2025, riguarda l’adozione di un pittogramma che rimandi al Qrcode su ingredienti e valori nutrizionali. Punto. Ma non ha a che fare con la questione salute.
Niente che risolvi la questione dell’etichettatura irlandese, per intenderci…
Esattamente. La speranza è che prima di maggio 2026 qualcosa si possa fare, a livello europeo, almeno per evitare che l’Irlanda parta con gli alert in etichetta.
Quella del ministro è stata, quindi, una fuga in avanti su quello che potrebbe essere il futuro delle etichette sanitarie? O magari una confusione tra i due temi: valori nutrizionali e salute?
Se dobbiamo interpretare… Però c’è anche un’altra alterazione della realtà nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera.
Ovvero?
Quel che ha detto a proposito dei vini dealcolati.
Cito testualmente quel che è riportato nell’intervista: “Il vino si stabilizza con l’etanolo: è un conservante naturale, lo sanno pure le nonne. Se l’alcol non c’è bisogna trovare conservanti di provenienza chimica e industriale. Cos’è più dannoso?”. È questa la parte che contesta?
E spiego pure i motivi. Il vino può essere protetto attraverso due pratiche fisiche: una è la filtrazione sterile (filtro dove non passa alcun batterio) e l’altra è la pastorizzazione. Si tratta di pratiche che nulla hanno a che fare con la chimica. Chi fa vino dealcolato non vuole avvelenare nessuno.
Il ministro, però, parla di conservanti usati nel vino dealcolato…
Si tratta di prodotti con effetto battericida: gli stessi consentiti per i vini tradizionali.
Forse Lollobrigida intende dire che i vini dealcolati hanno bisogno di maggiori quantità…
Sempre nei limiti previsti dall’Oiv. Non c’è alcuna deroga rispetto ai vini tradizionali.
A Vinitaly avete denunciato che, nonostante ci sia un decreto, firmato proprio da Lollobrigida, che permette di produrre vini dealcolati in Italia, in realtà le aziende sono bloccate a causa di vari impedimenti. Ci spieghi meglio da cosa dipende…
Il tema più scottante è quello fiscale. In pratica è stata tradotta la nuova categoria ma il Testo unico delle accise rimanda la piena applicazione dell’accisa a partire dal primo gennaio 2026 con un decreto interministeriale: una soluzione illogica per le imprese che hanno già acquistato. Poi bisognerebbe superare la questione relativa alla promiscuità dei luoghi di produzione, che prevede l’obbligo di separazione degli spazi e l’ostacolo alla produzione degli spumanti dealcolati gassificati. Ma queste ultime due questioni possono essere superate facilmente con una modifica al decreto.
Sul nodo fiscale si può accelerare?
Servirebbe una norma ponte per transitare fino a gennaio 2026. Ad oggi le aziende italiane utilizzano partner stranieri per produrre: vogliamo e dobbiamo eliminare questo svantaggio competitivo.
Ma ci dica una cosa: la richiesta di vini dealcolati in futuro sarà davvero destinata a crescere. O si stanno creando aspettative più alte della realtà?
Sicuramente parliamo di una nicchia, ma una nicchia molto interessante rispetto a un mercato in sofferenza dal punto di vista dei consumi. Le previsioni per il comparto no e low alcol prevedono una crescita dell’8% annuo nei prossimi quattro anni e probabilmente ad avere un impatto più interessante saranno soprattutto i vini low alcol. Saranno i vini senza o con poco alcol a salvare i consumi? Vedremo. Ma in ogni caso, bisogna metterci nelle condizioni di iniziare a produrre ad armi pari rispetto ai competitor.
Eppure, sembrerebbe che al ministro di essere associato ai vini dealcolati proprio non vada… Ci ha anche tenuto a precisare che dentro al Governo non c’è nessun astemio.
Al di là della sua personale opinione, trovo più assurdo che Lollobrigida si professi così pubblicamente un fermo oppositore di un prodotto che dovrebbe essere tutelato dal suo ministero. O no?
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