Il vino italiano diventa bianco rosso … e verde. L’operazione tricolore del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida porta il patriottismo anche sulle bottiglie di vino con l’introduzione del simbolo della bandiera italiana nelle fascette di Stato.
Misura arrivata proprio in concomitanza con Vinitaly. Il Ministro ha, infatti, firmato la modifica al decreto sui contrassegni del Poligrafico di Stato lo scorso 12 marzo con pubblicazione in Gazzetta ufficiale del 4 aprile, giusto in tempo per la fiera di Verona e per far fronte – almeno visivamente – ai dazi di Trump.
«Una scelta forte e simbolica: valorizzare l’italianità – sono le parole di Lollobrigida – Il vino è uno dei pilastri del nostro export e merita strumenti adeguati per essere riconosciuto, tutelato e promosso in tutto il mondo».
Ma c’è anche un’altra novità: l’introduzione del codice Qrcode anche per le Doc e le Docg che riporta al passaporto digitale del vino. Il sistema era già stato introdotto sulle fascette (facoltative) delle Igt entrate in vigore a gennaio del 2024.
«Le fascette, nate per contrastare la contraffazione, diventano ora anche segno di identità e strumento di comunicazione per l’intera filiera – continua il Ministro – È un passo avanti condiviso da produttori, consorzi e operatori, che potrà aprire la strada anche ad altri settori del Made in Italy». In questo modo si pone l’accento anche sul marketing, come sa bene il Consorzio del Prosecco Doc che ha adottato la fascetta (anche se non obbligatoria per le Doc) e già sperimentato il passaporto digitale.
Una risposta alla guerra commerciale di Trump? Di certo il tricolore, accompagnato dal passaporto digitale, può essere un’arma in più in tempo di dazi per prevenire le inevitabili contraffazioni e casi di italian sounding che ne seguiranno.
Ma al momento, la vera questione, non è mostrarsi più nazionalisti degli altri (anche perché è proprio il patriottismo di Trump che a breve ci presenterà il suo salatissimo conto) ma continuare a vivere in un mercato aperto. Tutelato e certificato, certo. Ma scevro da inutili e dannosi nazionalismi. Ben venga, quindi, anche il tricolore (che però da solo non basterà), purché accompagnato da una comunicazione capillare sui mercati esteri. Stati Uniti in primis, dove è a rischio la presenza stessa del vino italiano.
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