Il salmone affumicato è un prodotto double face, uno strano caso del food alla dottor Jekyll e Mr. Hyde. Dottor Jekyll il salmone artigianale. Mr. Hyde il salmone industriale. Nel primo caso realizzato con pesce selvaggio o proveniente da allevamenti sostenibili e poco intensivi, con salatura a secco e affumicatura lenta a freddo con fumo di legna. Nel secondo fatto con minore cura nella selezione della materia prima, nella salatura per salamoia iniettata nelle carni e nell’affumicatura mediante fumo liquido, ottenuto dalla condensazione del vapore derivato dalla combustione del legno, che potrebbe contenere sostanze tossiche: spennellato, nebulizzato o iniettato ha la funzione di trasformare in poco tempo e con minori costi un salmone fresco o decongelato in un prodotto affumicato. La trasformazione ha un ruolo fondamentale nei costi di produzione, nella qualità del prodotto e nel prezzo finale al dettaglio. Ma anche la provenienza del pesce ha un suo peso economico, sia per l’azienda che lo lavora sia per il consumatore.
Il salmone selvaggio, o salmone del Pacifico, che vive al largo delle coste dell’Alaska e del Canada e lungo le isole del Giappone, viene pescato solo in un determinato periodo dell’anno, tra giugno e luglio, quando il pesce risale i fiumi per riprodursi, e congelato dopo la cattura, stoccato e lavorato all’occorrenza. Delle 5 specie dell’Oncorhynchus, il salmone “wild” del Pacifico, quelle più pregiate sono il Red King (O. tshawytscha), di grandi dimensioni, l’argentato Coho (O. kisutch), di lunghezza media, e il rosso Sockeye (O. nerka), il più piccolo. Una diversità di stazza, colore, consistenza e grasso che crea problemi di gestione in fase di trasformazione e non facilita la standardizzazione produttiva. È sempre più raro, rappresenta una piccola quota della produzione globale di salmone nel mondo, inferiore al 5%, e costa fino a 5 volte di più di quello allevato, soprattutto se catturato con il metodo troll, all’amo.
Altra cosa è il salmone d’allevamento, in genere il Salmo salar dell’Atlantico, che vive in impianti di acquacoltura nei Paesi del nord Europa a ridosso del mare, tra i quali la Norvegia, naturalmente vocata grazie alle coste frastagliate da fiordi, che da sola copre più della metà della produzione mondiale. Il Salmo salar allevato non avrà le carni magre, sode e pastose di un bel rosa naturale come quelle di un salmone wild che ha vissuto libero nelle acque dell’oceano, non avrà il suo sapore pieno e la grande quantità dei preziosi Omega3 dovuti all’astaxantina, un potente antiossidante della famiglia dei carotenoidi presente nel plancton e nei crostacei, di cui si nutre allo stato selvaggio. Vive dentro gabbie in mare, nutrito con mangimi a base di farine di pesce e oli vegetali, e con astaxantina di sintesi o coloranti naturali.
Le sue carni sono meno tenaci, più pallide o di un colore arancio rosato innaturale, più delicate al gusto e più grasse: mediamente tra il 14 e il 20% rispetto al 4-10% del salmone selvaggio. «Poi dipende dalla specie e dall’ambiente in cui vive – spiega Bruno Pessot, amministratore delegato dell’azienda friulana Jolanda de Colò, specializzata in raffinatezze alimentari – l’Ora King, il primo Red King allevato, in impianti di un’azienda della Nuova Zelanda, ha carni talmente infiltrate di grasso da essere considerato “il wagyu dei salmoni”. L’Ora King Salmon lo affumica con legno di manuka, qui a Palmanova con la nostra tecnologia, a freddo con legno di faggio».
Grazie all’acquacoltura, negli ultimi decenni, a partire dagli anni ’80, la produzione di salmone è enormemente aumentata e i prezzi sono diventati accessibili, anche per l’uniformità di caratteristiche e pezzature che facilitano la lavorazione, dal fresco e quando serve. A spezzare una lancia a favore del prodotto allevato è l’innalzamento degli standard qualitativi registrato negli ultimi anni in impianti di acquacoltura: minore densità dei pesci, ambienti più salubri, mangimi migliori. Un esempio è il salmone Loch Duart, proveniente da un allevamento biologico e sostenibile della Scozia nord-occidentale, che ha come mission la salute, il benessere animale e la salvaguardia dell’ambiente, un Salmo salar di qualità superiore, simile a quello selvaggio, che ha ottenuto la rigorosa certificazione di qualità Ikejime ed è stato scelto da ristoranti stellati, tra i quali quelli dello chef Gordon Ramsay.
Per quanto riguarda il salmone affumicato, forse c’è ancora da lavorare sull’allevamento. Sicuramente è migliorabile la trasformazione, soprattutto il processo di affumicatura, come ha dimostrato la degustazione cieca dei prodotti in vendita nella gdo organizzata dal Gambero Rosso (qui la classifica dei prodotti nella grande distribuzione LINK): profilo aromatico piatto, note acide e di fermentazione, sentori che ricordano il petrolio, gli idrocarburi, i gas di scarico, la plastica, spesso finale amaro, pesante e astringente. Queste le considerazioni di chef ed esperti del settore che hanno partecipato al blind test.
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