
La domenica di Pasqua è ormai alle spalle e sulla maggior parte delle tavole italiane, specialmente quelle romane, l’agnello è stato l’indiscusso protagonista. Al forno, fritto, alla “cacciatora” o in versione ragù per condire un corroborante primo piatto, la pregiata pecora si presta a diverse preparazioni in cucina, ma oltre al metodo di cottura è fondamentale garantirsi un’ottima materia prima. Ed è proprio in merito alla qualità della carne che molti italiani non sanno – dicono dal Consorzio dell’Abbacchio Romano Igp – che su 550mila agnelli presenti in commercio nel nostro paese durante il periodo pasquale, oltre la metà proviene dall’estero e da allevamenti intensivi. Ciò significa carne di scarsa qualità perché non sottoposta ai rigidi controlli di tutela che invece devono rispettare i marchi Igp, come per esempio accade per l’Abbacchio Romano, iscritto nell’elenco delle indicazioni geografiche (secondo i canoni dell’Unione Europea) dal 15 giugno 2009.
Sono cinque le razze ovine previste dal disciplinare del Consorzio dell’Abbacchio Romano Igp: la Sopravvissana (tipica del Lazio), la Sarda, la Comisana (originaria della Sicilia), la Massese (prevalentemente per la produzione del latte) e la Merinizzata Italiana.
Nato nel 2010, oggi il Consorzio di tutela dell’Abbacchio Romano Igp conta oltre 400 produttori che dedicano gran parte della loro giornata all’allevamento estensivo dell’agnello. «L’abbacchio romano viene allevato allo stato brado e viene allattato solo con latte materno. Al momento del suo sacrificio deve pesare massimo 40 chili e non deve aver superato i 40 giorni di vita, perché da quel momento è in grado di brucare l’erba, il che cambierebbe distintamente il sapore della sua carne». A parlare è Natalino Talanas, Presidente del Consorzio Abbacchio Romano Igp. «Il nostro è un lavoro difficile perché oltre al compito di tutelare il benessere dell’animale e garantirgli una vita sana, dobbiamo difendere le bestie dal perenne attacco di predatori come volpi, lupi e cinghiali; siamo infatti obbligati a prendere precauzioni a costi non indifferenti – dichiara Natalino Talanas –. Proprio per questo ho chiesto un contributo alla Regione Lazio: l’allevamento estensivo ha un prezzo elevato e tutela non solo l’agnello ma anche il terreno dove pascola, perché con il suo brucare garantisce il preservarsi del territorio agricolo».
Un lavoro, quello dell’allevatore, sempre più difficile a causa sia della carenza del personale sia del mercato odierno dominato da una carne di agnello di dubbia provenienza, a prezzi circa il 40% inferiori rispetto alla produzione certificata nazionale che conta 185 mila agnelli, di cui 35mila provenienti proprio dalla campagna laziale dove si stimano un totale di 75.100 esemplari. «In un mercato dominato dal ribasso dei prezzi, la disinformazione mette a rischio le aziende locali che faticano a competere con le grandi importazioni straniere – commenta Natalino Talanas –. È quindi importante sensibilizzare il consumatore e noi dal 2010 ci impegniamo in termini di divulgazione, affinché chi ci sceglie sia pienamente informato sulla tracciabilità lungo tutta la nostra filiera e riesca a riconoscere il valore della nostra produzione. La consapevolezza risulta essere l’unica chiave per un’inversione di tendenza in grado di garantire lunga vita alla nostra tradizione che, nei secoli, ha plasmato l’identità paesaggistica e gastronomica della nostra regione».
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