“Lunga vita ai vini naturali”. Parola di Alice Feiring, una delle voci più autorevoli del mondo dei vini artigianali, quelli prodotti con pochi interventi in vigna e cantina. Vini amati, ormai da molti, ma ripudiati da una parte del mondo enologico, almeno in Italia. La giornalista e scrittrice, residente a New York, li ha raccontati sui più grandi giornali al mondo – New York Times, Wall Street Journal, Times –, ma anche riviste indipendenti come l’inglese Noble Rot. Ha firmato libri sul tema che hanno riscosso un importante successo, è il caso di Natural Wine For The People pubblicato per la prima volta nel 2019. Non ha mai indietreggiato sulla difesa dei vini naturali, ma soprattutto li ha raccontati per prima attirando molte critiche, soprattutto dei colleghi giornalisti. Feiring ha scritto e riscritto con franchezza quello che trovava nel bicchiere, cosa le era piaciuto e cosa no, le esperienze positive del movimento naturale, quelle negative e i rischi che correva.
Rimane iconico il titolo che nel 2019 comparse sul New York Times – “Il vino naturale è morto?” – in cui metteva in guardia il movimento da una latente «corruzione» da parte delle grandi aziende che ammiccavano al naturale, utilizzandone il brand ma senza rispettarne i principi fondativi. Alla fine è stato il «vino naturale ad aver cambiato il mondo convenzionale», ma il rischio di snaturarlo rimane.
Alice Feiring, il vino naturale delle origini è morto?
Lunga vita al vino naturale.
Sono passati sei anni da quell’articolo dove ha scritto che il vino naturale era stato “corrotto dagli opportunisti”. È cambiato qualcosa?
Beh, sì, è peggiorato. Troppo vino scadente sta invadendo il mercato. Il vino è diventato molto più costoso e il consumo è crollato.
Sosteneva anche che le grandi aziende minacciavano il movimento artigianale. È ancora così?
La tendenza continua. Ma non sono sicura che stia minacciando davvero qualcosa. Sempre più cantine producono vini che si spacciano per naturali, ci sono cantine che fanno filtrazioni invasive, pratica non accettata nel mondo naturale. Sono questo genere di cose il vero problema. La filtrazione all’interno della comunità, che spesso rende un vino molto convenzionale, è una questione rilevante.
Esistono lotte tra i produttori di vino naturale, con molti che si scontrano sull’uso dei solfiti e su chi produce il vino più naturale rispetto al vicino. A cosa ha portato questa battaglia interna?
Ci sono delle dispute, ma non penso che i conflitti interni siano davvero un problema. Ciò che è interessante è che molte persone che organizzano saloni del vino si stanno distanziando dalla parola “naturale”.
Perché?
Per due motivi: per avere più cantine presenti e per guadagnare di più. Alcuni dicono di voler essere più “inclusivi”. Un altro motivo è che, per alcuni, il termine “vino naturale” è diventato sinonimo di “vino difettoso”. Questa è la vera battaglia interna.
In questi anni, il gusto dei vini naturali si è standardizzato?
No, assolutamente.
Ci sono bottiglie con difetti evidenti, come nel caso del Brett, ma spesso gli errori di produzione vengono negati. Cosa ne pensa?
Alcune persone hanno una tolleranza zero per il Brett. A me non dà problemi in piccole quantità, ma se è troppo forte e sovrasta il frutto, lo considero un’infestazione e non lo accetto. Spesso dico che è come stare accanto a una pecora in un campo rispetto a essere in una stanza chiusa con un intero gregge. Una cosa può essere piacevole, l’altra è insopportabile.
Quanto ha influito il marketing nel mondo del vino naturale?
Le persone che conosco e che fanno vero vino naturale non fanno marketing. Suppongo che etichette stupide che vogliono comunicare “siamo fighi, vogliamo divertirci, non siamo seri” abbiano qualcosa a che fare con questa tendenza.
Quali sono le differenze tra il movimento del vino naturale negli Stati Uniti e in Europa?
Negli Usa c’è più négoce, meno vignaioli, vini più costosi. E forse meno vini veramente naturali.
Cosa pensa delle associazioni italiane del vino naturale? Non sarebbe meglio averne una che rappresenti tutti?
È fantastico che ce ne siano molte. I vignaioli dovrebbero trovare quella che riflette la loro filosofia e aderire a quella.
Va bene chiamarlo vino naturale o sarebbe meglio trovare un altro nome?
In Francia alcuni dicono vins vivants o vins libres, e immagino che ci voglia una certa audacia per chiamare i propri vini così senza fare il vero lavoro del naturale. Ma non ho problemi con la parola “naturale”. Qualsiasi termine può essere corrotto, questo o un altro. Spero solo che il naturale o il “sufficientemente naturale” (biologico, lieviti indigeni, basso contenuto di solfiti) venga accettato come la norma per un grande vino.
Il cambiamento climatico minaccia il mondo del vino in generale. Il settore naturale, che tendenzialmente interviene poco in vigna, è pronto ad affrontare la crisi climatica?
In molti modi penso che sia proprio il mondo del vino naturale a fare di più per prepararsi all’impatto del clima in vigna. Sono stata a una conferenza l’anno scorso all’Accademia Americana di Roma, c’erano tre grandi aziende convenzionali (anche se una era biologica) nel panel. Quando ho chiesto quali azioni stessero intraprendendo, nessuna ha menzionato cambiamenti nella viticoltura, nei sistemi di allevamento, nelle tecniche di potatura, l’uso di ibridi o Piwi, l’altitudine più elevata o la macerazione sulle bucce, dato che il bianco sarà più difficile da produrre. Hanno parlato solo di maturazione e droni.
Quindi i piccoli faranno meglio dei grandi?
Il vero lavoro e il pensiero sul clima e sulla vigna sembrano provenire dai piccoli agricoltori che lavorano in modo naturale e stanno imparando a cavalcare quest’onda.
C’è una crisi generale del vino, i giovani bevono sempre meno, hanno perso interesse. Perché?
Il vino è semplicemente troppo costoso. Quando un buon vino naturale, qualcosa che vuoi davvero bere, costa almeno 25 dollari a bottiglia, diventa un lusso e non un consumo quotidiano. Ho scritto un libro dal titolo Natural Wine for the People? Ecco, non è più per il popolo. Inoltre, per sballarsi, alcol o cannabis costano molto meno.
È colpa delle tendenze salutiste?
Non credo, e comunque non chiamerei ciò che sta accadendo una tendenza salutista. Lo chiamerei una campagna anti alcol portata avanti da proibizionisti che cercano di equiparare il vino ai superalcolici, cosa che è un falso parallelo. Penso sia una questione di soldi e di stile: i cocktail e i superalcolici sono più sexy e più economici, la cannabis è più potente e più economica.
Ma il vino naturale può attirare la GenZ?
Arriveranno. Forse non nel modo in cui è successo nei primi due decenni, quando bere vino era considerato cool, ma arriveranno. Il vino è infinitamente affascinante; non scomparirà.
Il vino dealcolato. Quanto crescerà? È una moda passeggera o una produzione destinata a espandersi?
Sono felice di vedere che chi non beve venga rispettato con più opzioni come tè fermentati, acque aromatizzate, mocktail e simili. Ma il vino analcolico non può essere un tema rilevante per il vino naturale. Non si può fare “naturalmente”.
Ha assaggiato qualche buon vino analcolico?
No.
Alice Feiring con le due figlie di Thierry Puzelat, Louise (a sinistra) e Zoë che ora gestiscono la cantina di Les Montils nella Valle della Loira
Ci sono ancora troppo poche donne nel mondo del vino?
Ci sono molte donne nel mondo del vino, ma la maggior parte lavora ancora nelle pubbliche relazioni. Ce ne sono molte che lavorano come sommelier, anche se poche sono rappresentate nelle competizioni.
E in cantina?
Una donna vignaiola non è più un’eccezione, anche se ne vedo di più in Georgia e in Italia che in altri paesi. Sempre meno uomini vietano alle donne di entrare in cantina per paura che abbiano il ciclo mestruale.
Un esempio?
Natatcha Chave, nel Rodano settentrionale, mi ha raccontato che nel 2004, quando si prendeva cura delle sue vigne di Cornas sulle ripide colline, gli uomini andavano a guardarla lavorare perché era una cosa insolita. Ora non è più così.
Ci sono casi di abusi e maltrattamenti sulle donne nel mondo del vino?
Ovviamente, sempre. Veniamo pagate di meno, abbiamo meno incarichi da relatrici. Ci fanno avance. Ci screditano se ci facciamo sentire.
Il vino naturale è riuscito a includere le donne?
Il vino naturale non è un’organizzazione, ma una filosofia. Nessuno è al comando.
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