Il mondo del caffè attraversa oggi una delle più grandi trasformazioni mai vissute nella sua storia. A dettare la rivoluzione in atto è, innanzitutto, l’aumento oramai costante e vertiginoso del prezzo del caffè crudo. A tal proposito è bene ricordare che il caffè è una commodity scambiata sui mercati internazionali in base a un prezzo di borsa. Basti pensare che il prezzo medio del caffè Arabica, nel 2020, era di circa 120 centesimi di dollaro per libbra, mentre ora è sui livelli di 400 centesimi, con un aumento di oltre il 300%. La varietà Robusta, principale produzione dei paesi asiatici, ha visto un incremento ancora più marcato, se è vero che il suo prezzo nel 2020 si aggirava intorno ai 1.200 dollari per tonnellata, ed oggi ha superato i 5.000 dollari per tonnellata, segnando un incremento di oltre il 400%.
Ciò che realmente ci interessa sottolineare è che questo “tilt” del sistema dei prezzi, che per molti ha rappresentato un evento catastrofico, mette i produttori di caffè in primis, i torrefattori e noi consumatori di fronte a una nuova “era” del caffè, in cui potremmo cambiare profondamente il nostro rapporto con questa bevanda. Tanto più che – nonostante i luoghi comuni – quello che beviamo nei bar in Italia non è certo tra i migliori.
Proviamo, dunque, a immaginare qual è lo scenario che ci aspetta nei prossimi anni, e quali elementi verranno maggiormente coinvolti dalla rivoluzione in atto.
L’aumento dei prezzi del caffè crudo si sta già facendo notare anche al bar. Il prezzo medio della tazzina di espresso è passato dai 0,90 ? del 2021 agli attuali 1,30 ?. Cosa comporta tutto questo? Il consumatore è più esigente, e anche grazie ad una maggiore informazione verso il prodotto caffè, inizia lentamente ad esigere standard qualitativi più elevati. Stiamo parlando delle buone prassi al bar, come quella di eseguire il purge, pulire la tramoggia del macinino, detergere le attrezzature; ma anche delle buone prassi in ambito domestico, come lavare la moka e prepararsi un caffè evitando gli errori più grossolani. Il messaggio è semplice: se il caffè inizia a costare di più, allora anche le pretese aumentano.
Il caffè è la bevanda che consumiamo di più nella nostra vita ma la maggior parte delle volte e maggiormente per abitudine. Questa abitudine ha a che fare con elementi di tipo affettivo e consuetudinario. Per capirci, se mia mamma usava caffè di un dato brand, continuerò a farlo anche io e ciò sia per assuefazione che per l’instaurarsi di un legame che va oltre la preferenza gustativa. Scegliere quel caffè, per me, sarà come scegliere il proseguo di un rito familiare. È strano come ciò accada per alcuni prodotti più che per altri. Ma le cose stanno cambiando. La pandemia ci ha sottratto dalla nostra comfort zone, offrendoci l’opportunità di sperimentare altro. In quel periodo in tanti hanno acquistato il caffè on-line, hanno assaggiato caffè nuovi e differenti, hanno iniziato a scoprire nuovi flavori. Ecco che il consumo di caffè diventa più attento e ricercato. I consumatori, che fino a poco tempo fa conoscevano solo le parole Arabica e Robusta, iniziano a conoscere le parole “monorigine”, “Specialty” e a fare attenzione alle certificazioni del caffè. Questo atteggiamento porterà in futuro alla formazione di un consumatore più preparato, più attento che sceglie il caffè non per abitudine per ricerca di flavore.
È una delle più belle novità degli ultimi anni, una piccola nicchia di etichette iniziano a dirci qualcosa sul prodotto caffè. Quanti anni son passati con etichette che riportavano solo l’indicazione “miscela di caffè torrefatto” o una generica indicazione di una miscela “100% arabica”? E chi di noi non si è posto almeno una volta la domanda davanti il termine in etichetta di caffè “deciso”? O cafè “forte”? O caffè “intenso”? Come se esistessero caffè indecisi, deboli e blandi. Eppure, queste definizioni, accompagnate da elementi descrittivi consistenti semplicemente in colori (miscela rossa, blu, oro, nera, ecc.) sono stato tutto ciò che abbiamo potuto valutare, nella scelta del nostro caffè preferito, per tanti anni. Immaginiamoci se nello scegliere un vino, ad esempio, negli anni avessimo dovuto optare semplicemente dalla bottiglia blu e la rossa, o tra il vino “deciso” e quello “aromatico”. Direi che questa grammatica non è più accettabile. E allora? Ebbene, anche le etichette devono cambiare. Il caffè di classificazione Specialty ha anticipato i tempi fornendo al cliente informazioni dettagliate in particolare sulla tracciabilità del caffè e con l’indicazione delle sue caratteristiche di flavore. Questo esordio sta divenendo anche digitale, basti vedere al grande lavoro di tracciamento in blockchain realizzato da Lavazza per il progetto Cuba o il sistema di tracciamento realizzato da Authentico per la micro roastery Bloom Specialty Coffee, che sono riusciti a realizzare delle vere e proprie etichette parlanti, racchiudendo in un QR Code informazioni dettagliatissime sulla piantagione, il produttore, le varietà botaniche, le lavorazioni in piantagione e persino dettagliatissimi profili sensoriali dei caffè.
Il caffè espresso, nella sua forma tradizionale, è una bevanda destinata prevalentemente a un pubblico adulto. I giovani, infatti, lo consumano sempre meno: è un dato di fatto. A confermarlo sono i menu delle nuove caffetterie di tendenza, che propongono una gamma sempre più ampia di bevande a base di latte, aromatizzazioni e miscelazioni creative, come pumpkin spice, cinnamon sugar cookie, almond & nut, accompagnate da crumbles, toppings e guarnizioni che trasformano il caffè in un’esperienza golosa e personalizzabile.
Parallelamente, il caffè filtro sta guadagnando spazio. Presente ormai in tutte le caffetterie internazionali, inizia a diffondersi anche nei locali più moderni, come quelli annessi alle bakery o agli Specialty café che offrono anche spuntini salati. Non si tratta solo di un’evoluzione del menu, ma di un cambiamento più profondo nel modo di vivere il caffè.
La consumazione sta diventando più lenta e consapevole. Se l’espresso tradizionale è il simbolo del bevi e fuggi, oggi assistiamo a una trasformazione: le nuove generazioni preferiscono esperienze più rilassate. Il concetto di caffè da banco sta lasciando spazio a una nuova ritualità, più vicina al modello anglosassone, dove il caffè si sorseggia con calma, magari lavorando al computer o chiacchierando con gli amici.
Il caffè espresso servito nei bar italiani è diventato prevedibile, quasi noioso. Anzi, il caffè, così come lo consumiamo quotidianamente, appare ormai obsoleto e privo di emozione. Beviamo espressi ristretti, consumati in pochi secondi, spesso caratterizzati da note amare, bruciate e talvolta difettate, tanto da spingerci ad aggiungere zucchero o latte per renderli più gradevoli. Al bar e nei ristoranti il caffè è percepito come una mera formalità, priva di identità e differenziazione. Se proviamo a chiedere al barista o al cameriere quale caffè ci stia servendo, la risposta è spesso vaga. Il risultato? Un caffè anonimo, standardizzato e svuotato della sua straordinaria ricchezza sensoriale e culturale. Anche tra le mura domestiche la situazione non cambia: la colazione è scandita dall’abitudine, con lo stesso caffè preparato nella stessa moka da anni.
Ma il futuro del caffè si prospetta radicalmente diverso. Immaginiamo una giornata scandita da scelte più consapevoli e appaganti: un cappuccino ricco e cremoso al mattino, un espresso bilanciato e aromatico per la pausa di metà mattina, un caffè moka dal gusto intenso dopo pranzo, un filtro o un cold brew rinfrescante nel pomeriggio, fino a un decaffeinato servito come cocktail alcolico la sera. L’era del caffè indifferenziato e senza personalità sta volgendo al termine.
Uno dei grandi limiti del mondo del caffè, oggi, è la mancanza di una dimensione digitale strutturata che ne valorizzi la filiera, trasformandola in un racconto di prodotto e in un marketplace dedicato al consumatore. Servirebbe una piattaforma capace di guidarlo e ispirarlo, offrendo strumenti di esplorazione del flavore e della complessità sensoriale del caffè.
Se osserviamo altre filiere di successo, come quella del vino, vediamo che la digitalizzazione ha permesso di attrarre una fetta di consumatori curiosi, desiderosi di approfondire le diverse sfaccettature sensoriali e culturali della bevanda. Il caffè sta iniziando a percorrere questa stessa strada. Il primo passo concreto è stato compiuto con la pubblicazione della “Guida dei caffè e delle torrefazioni d’Italia”, il primo prodotto che ha consentito agli appassionati di scoprire la ricchezza di questo mondo attraverso un criterio di valutazione e selezione strutturato. Ma il percorso di digitalizzazione è solo agli inizi. È arrivato il tempo di trasformare le informazioni in azione. Nel prossimo futuro ci immaginiamo un marketplace verticale e specializzato sul caffè, non solo un e-commerce, ma un vero e proprio hub informativo. Un luogo virtuale dove acquistare caffè di qualità, ma anche contenuti educativi.
Tuttavia, c’è un elemento della filiera che non potrà mai essere digitalizzato: l’esperienza diretta della raccolta e della lavorazione del caffè in piantagione. Proprio come avviene nel mondo del vino, dove la partecipazione alla vendemmia è ormai una tappa irrinunciabile per gli appassionati, anche il caffè offrirà sempre più occasioni per vivere in prima persona il processo produttivo. Il turismo esperienziale legato alle piantagioni diventerà un’opportunità concreta per chi desidera approfondire la cultura del caffè, toccando con mano il lavoro dei produttori e comprendendo il valore della filiera dalla pianta alla tazzina.
Ne esistono, oramai, delle versioni anche nazionali, se è vero che in Sicilia oggi è possibile partecipare alla visita di mini-piantagioni, come quella delle aziende Balestrieri e Morettino. Da non sottovalutare saranno i viaggi finalizzati all’apprendimento, poiché solo toccando con mano talune peculiarità della pianta del caffè, è possibile acquisire una conoscenza piena della materia caffè.
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