Notizie / Attualità / “Vino naturale? Un ghetto. Alle fiere mi criticavano per i miei prodotti senza difetti”. Giovanni Aiello rivendica l’uso della scienza in cantina

Il dibattito

"Vino naturale? Un ghetto. Alle fiere mi criticavano per i miei prodotti senza difetti". Giovanni Aiello rivendica l'uso della scienza in cantina

Il vignaiolo di Putignano, enologo "per amore", ritorna sulle polemiche nate al Vinitaly sul mondo naturale e spiega perché non bisogna ghettizzarsi: "Occhipinti e Barraco hanno ragione: è arrivato il momento di aprirsi"

  • 24 Aprile, 2025

«Arianna Occhipinti e Nino Barraco hanno fatto una scelta coraggiosa ma giusta. Con la loro partecipazione al Vinitaly hanno sollevato le barriere che esistevano in un mondo che non deve avere barriere».  A parlare è Giovanni Aiello, “enologo per amore” dice il sottotitolo del suo brand. Siamo a Putignano (Bari), nella storica cantina che un tempo apparteneva alla famiglia Laterza. Giovanni, che ha cominciato a vinificare nel garage di sua madre, la rilevò nel 2021. A scanso di equivoci: al sentimento della ragione sociale, Giovanni aggiunge tanta competenza. Ha dato nuova dignità e slancio alla verdeca, vitigno autoctono bianco che, grazie ai suoli carsico-calcarei del Canale di Pirro e alle ottime escursioni termiche, diventa qui un vino d’altura vibrante e teso. Sta rivoluzionando il primitivo, tipico campione della viticoltura pugliese, elevandolo a rosso agile, bevibile, moderno e di sorprendente finezza.

Aiello ritorna sul dibattito aperto dal Gambero Rosso con le interviste ad Arianna Occhipinti e a Nino Barraco, alle quali sono seguiti gli interventi di Angiolino Maule e di Gabriele Da Prato. «Non conosco Occhipinti e Barraco – dice Aiello – ma avrei piacere di conoscerli: ho apprezzato il coraggio di mettersi a confronto con altri produttori e di raccontare i motivi della loro presenza al Vinitaly. Un atto di coraggio che ha provocato interrogativi».

Perché l’hanno convinta?

Ho sempre fatto mia la frase di Giacomo Tachis – un grande maestro che non c’è bisogno di presentare – e la ripropongo ogni volta che c’è la giusta occasione: «Il vino è di quattro tipi: bianco, rosso, buono e non buono». L’unico vero modo per discernere il vino è capire se è buono o se non è buono. Possiamo parlare quanto vogliano della tecnica e del metodo, ma solo se è buono avremo degli argomenti. Per me c’è un fatto decisivo: quando siamo a tavola la bottiglia deve essere aperta e finita.

Quindi non cambia se il vino è naturale o industriale?

Proprio così, se il vino è naturale o industriale non cambia. Per esempio, non capisco perché in una degustazione alla cieca il vino naturale debba essere separato dagli altri. Magari solo perché ha dei difetti? Allo stesso modo ritengo che il vino industriale quando è incipriato o ricoperto dai sentori di legno che provengono dai chips non è buono. Ma non si può decidere se un vino è buono in base al metodo produttivo. Prima bisogna capire se è buono o no. E poi possiamo parlare del resto.

Lei però è un enologo… Molti produttori e appassionati di vino naturale diffidano proprio degli eccessi di interventismo sul vino da parte degli enologi.

La qualità del vino nasce prima di tutto nel vigneto. Poi però l‘enologo ha il compito di trasformare un prodotto della natura in un fermentato. Il risultato finale è sempre una conseguenza delle capacità dell’uomo. Le uve non hanno le zampe e non si buttano da sole in cantina. Il vino è sempre frutto dell’uomo. È l’uomo che decide se lavorare in ossidazione o in riduzione. A ogni azione c’è una reazione: il vino è chimica, risponde a un processo biochimico. Allo stesso tempo, per me, l’obiettivo del produttore è quello di diventare sempre più artigiano e di dare spazio alla qualità intrinseca del territorio.

Lei come si definirebbe?

Mi definisco un enologo artigiano. Intendo per artigiano colui che mette insieme l’esperienza e la creatività. Non amo lavorare con i protocolli: le stagioni non sono mai uguali, quindi cerco di cucire il vino in maniera sartoriale, compatibilmente con le uve che provengono da quella specifica vendemmia. Quindi mi ritengo un artigiano che usa la tecnica e ama sperimentare.

Si riconosce in qualche associazione in particolare?

Sono un tesserato di Assoenologi, ma senza incarichi. Non faccio parte di associazioni di vignaioli perché credo che il vino non deve avere ghetti né muri.

Quindi il vino è uno spazio di libertà…

In cantina ci sono diversi stili: ci sono gli artigiani, gli industriali, i naturali. Vanno tutti rispettati. Non mi sembra corretto alzare dei muri tra le scuole di pensiero. Alla fine decide sempre il consumatore finale.

Però rivendica il suo ruolo di enologo e la necessità della tecnica anche nei confronti di chi nutre dei sospetti…

Lo dice la storia: il vino è fatto di studi e di ricerca. Il mondo del vino è andato avanti facendo passi da gigante. Non possiamo più dire: «Faccio il vino come lo faceva mio nonno», come dicono a volte alcuni produttori. Se penso a come veniva fatto il vino dai nostri nonni… forse è meglio non saperlo! Spesso in campagna si facevano degli errori incredibili e poi bisognava rimediare con metodi discutibili che non è proprio il caso di ripetere oggi.

Insomma, niente indulgenza per i difetti…

Se il vino ha delle puzze è un vino difettato. E il vino che ha difetti non va bene. Oggi sappiamo come evitarli. Sarebbe da pazzi non usare la scienza e la tecnica che ormai possediamo. Farlo non vuol dire utilizzare strumenti strani, vuol dire studiare. Io vedo il ruolo di un enologo come quello di un deejay…

Prego?

Il deejay parte sempre da una base musicale. Ma se noi diamo la stessa base musicale a più deejay vengono fuori pezzi molto diversi tra loro. Il vino è una  consolle a dieci vie o a cento vie. Lavorare le uve in riduzione o in ossidazione cambia completamente il profilo aromatico: l’importante è essere consapevoli della via che scegliamo. Usare la tecnica e la scienza per evitare i difetti significa poi evitare di usare prodotti inutili e invasivi.

Mi fa un esempio?

Nell’Ottocento il frigorifero non esisteva nemmeno per conservare la carne. E nei manuali di enologia si temeva che il freddo potesse fare danni. Oggi questa cosa non esiste più. Vinificare senza l’uso del freddo in Puglia o in Sicilia, zone calde, ma anche al nord, è impensabile. Significherebbe avere tutti i vini cotti quando partono le fermentazioni. È come dire che non dobbiamo mai prendere le medicine. Per carità, gli estratti vanno bene finché si tratta di un raffreddore. Io stesso cerco di evitare le medicine per curarmi, ma se ho la polmonite batterica devo usare gli antibiotici. Dobbiamo evitare gli eccessi della chimica degli anni passati, allo stesso tempo però possiamo avere uve più sane e di qualità maggiore grazie all’uso di scienza e tecnica.

Ritiene dunque che negli ultimi anni il mondo del vino naturale abbia rischiato di rinchiudersi in un ghetto culturale?

Ma è già così. Basta guardare il mondo della ristorazione. Alcuni esercizi si sono consacrati a un’idea esclusiva di vino naturale. Ma molti clienti mi dicono che stanno tornando indietro. Non puoi rivolgerti soltanto alle persone che mettono i paraocchi e non assaggiano altro. Bisogna far scegliere agli altri, ma offrendo varie opzioni. Non ha senso fare selezioni esclusive a prescindere. Allo stesso modo, non puoi entrare in un locale con l’ansia che il vino potrebbe essere difettato e che dovrai litigare con il gestore perché tu lo mandi indietro. Il mercato comincia a rendersene conto.

Quale strada bisogna percorrere?

Per fortuna, i vini difettati stanno via via scomparendo. Ben vengano i vignaioli artigiani che curano ogni dettaglio e che danno valore a un prodotto irripetibile realizzato su piccola scala. Sono convinto che gli artigiani questo sanno farlo meglio, ma non è detto che la grande azienda non lo sappia fare. La discriminante non è certo la dimensione dell’azienda.

Quindi pure le fiere del vino naturale rischiano di trasformarsi in luoghi di auto-isolamento?

Assolutamente sì. Quando alzi una barriera è sempre un problema: c’è chi si sente escluso. Ho spesso partecipato a eventi di vini naturali e ho sempre ricevuto critiche. Mi dicevano: “il tuo vino non va bene, è troppo preciso”. E certo che è preciso! Lo è perché uso gli strumenti che mi consegna la scienza. Sarebbe assurdo non farlo.

E quindi che cosa suggerisce?

È più bello condividere stili diversi e dare la parola a chi viene ad assaggiare. Per questo Occhipinti e Barraco hanno fatto bene: bisogna essere aperti, confrontarsi con tutti, creare dibattito.

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<<<< Questo articolo è stato pubblicato su Trebicchieri, il settimanale economico di Gambero Rosso.

Questo articolo è stato pubblicato su Trebicchieri,
il settimanale economico di Gambero Rosso

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