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I dazi sul cibo

Gli americani non mangeranno più prosciutto San Daniele e pecorino (o sì, ma a peso d’oro)

I dazi Usa penalizzano il made in Italy agroalimentare. I prodotti maggiormente in pericolo (al netto di vini e beverage)

  • 08 Aprile, 2025

Olio di oliva, pasta, salse, pomodori e conserve, formaggi, salumi, pane, biscotti e pasticceria, acque, aceto, caffè. Oltre al Prosecco Dop, in cima alla lista sul fronte beverage. Sono i prodotti agroalimentari italiani più amati dal mercato Usa, quelli nella hit delle preferenze presso i consumatori, le aziende che trasformano e i ristoranti degli States. Un giro d’affari che per il nostro Paese complessivamente vale intorno ai 4 miliardi e mezzo di euro (anno 2024) secondo l’Ufficio Studi Coop su dati Istat, con un aumento del 20% rispetto al 2023, e del 158% negli ultimi 10 anni. Se al food aggiungiamo il wine, nel 2024 le esportazioni del made in Italy negli Stati Uniti – secondo le stime del Centro studi di Unimpresa – si attestano a 7,8 miliardi di euro, con un aumento del 17% rispetto al 2023, e un sorpasso del settore cibo (60%) su quello delle bevande (40%).

I cibi italiani più amati dagli yankee

I prodotti alimentari più amati in assoluto dagli statunitensi sono l’olio di oliva (666 miliardi di euro) e la pasta (585), i fondamentali della dieta italiana e mediterranea, seguiti da salse (441), formaggi (485), pane, biscotti e pasticceria (371), acque (308), sempre secondo l’Ufficio Studi Coop su dati Istat. Non è un caso che gli Stati Uniti, uno dei Paesi con la maggiore comunità italiana all’estero (dopo Argentina, Germania, Svizzera, Regno Unito), siano il secondo mercato di riferimento mondiale dei nostri prodotti agroalimentari.

Formaggi e prodotti caseari

Burrata, ricotta e mascarpone passano dal 10 al 30%, il provolone dal 15 al 35%, il gorgonzola dal 20 al 40%. Dazi al 35% per altri due prodotti amati dal mercato a stelle e strisce: il parmigiano reggiano e la mozzarella di bufala. «Siamo preoccupati: l’Italia è il primo Paese al mondo per export di formaggi verso gli Stati Uniti con 40.867 tonnellate, quasi il doppio dei francesi – dichiara Paolo Zanetti, presidente di Assolatte (Associazione Italiana Lattiero Casearia) – per le imprese italiane gli Usa sono la prima destinazione extra europea con 486 milioni di euro di valore dell’export». Dello stesso parere Antonio Auricchio, presidente di AFIDOP (Associazione Formaggi Italiani certificati). «Nonostante i nostri formaggi siano un prodotto premium e l’aumento del prezzo potrebbe non portare necessariamente a una riduzione dei consumi, c’è il serio rischio di alimentare fenomeni nefasti per la nostra economia come l’italian sounding».

Anche il pecorino romano, finora rimasto esentato, verrà penalizzato con un dazio del 20%. «Il 40% della produzione complessiva va negli Usa: 13mila tonnellate sulle 35mila tonnellate realizzate nelle zone della Dop, Sardegna, Lazio e parte della Toscana – dichiara Gianni Maoddi, presidente del Consorzio – dipendiamo dal mercato statunitense. I dazi avranno sicuramente un impatto sui consumi del nostro pecorino in Usa, forse si ridurranno di 4-5mila tonnellate, non possiamo saperlo. Dirottare questa fetta dell’export verso altri Paesi? Al momento non ci sono. Ci aspettiamo delle soluzioni politiche, delle trattative tra Stati Uniti e Unione Europea, come è successo con il Canada, e che le entrate delle contromisure della UE sui prodotti statunitensi vengano utilizzati a compensazione delle spese che dovranno sostenere le aziende italiane».

prosciutto di parma - cantina di stagionatura

Salumi: dopo la peste suina, la scure dei dazi

Per il prosciutto crudo stagionato certificato made in Italy gli States sono sempre stati un mercato strategico. «Lo scorso anno sono partiti oltre Oceano 800mila prosciutti di Parma, ovvero un terzo della nostra quota export, generando un fatturato di 100 milioni di euro – dichiara Alessandro Utini, presidente del Consorzio – cifre considerevoli se si pensa che 15 anni fa il numero di prosciutti esportati negli Usa era circa la metà».

Non è da meno il prosciutto di San Daniele, l’altro grande crudo italiano Dop. «Nel 2024 l’export verso gli Stati Uniti ha registrato un aumento del +19,6% rispetto al 2023, consolidando il ruolo degli Usa – a pari merito con la Francia – come primo mercato di destinazione per il San Daniele Dop» commenta il direttore generale del Consorzio Mario Emilio Cichetti.

La mortadella sta spopolando negli States, fra i Paesi terzi in testa agli export: in 4 anni, dal 2019 al 2022, è cresciuto del 50% (53% in quantità e 44% in valore).

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Per i salumi italiani non bastava la peste suina: ora dovranno vedersela con i dazi Usa al 20%, e questa congettura creerà nuovi problemi e nuovi scenari. «Tra le criticità della decisione del governo Usa, una si impone su tutte ed è legata alla natura del prosciutto di Parma – continua Alessandro Utini – un prodotto come il nostro, che gode della Dop, ha un legame indissolubile con il suo territorio, che lo rende non delocalizzabile in nessuna fase della sua lavorazione: può essere realizzato solo all’interno della zona tipica specificata all’interno del disciplinare. Limitarne l’ingresso sul suolo statunitense, attraverso condizioni commerciali sfavorevoli, non può favorirne una produzione locale, come vorrebbero le logiche dei dazi». Un discorso che si può allargare a tutti i prodotti certificati, e che dovrebbe scoraggiare tante aziende italiane di specialità Dop e Igp a creare impianti produttivi nel territorio statunitense.

Conserve di pomodoro, da Anicav

Le conserve di pomodoro

Un’altra specialità al centro del ciclone è il pomodoro con i suoi derivati. «Sono prodotti che seguono i flussi migratori italiani e la nostra cucina – fa osservare Giovanni De Angelis, direttore generale dell’Anicav (Associazione Nazionale Industriali Conserve Alimentari Vegetali) – gli italiani all’estero vogliono tre prodotti: pomodoro, pasta e olio di oliva. Abbiamo il vantaggio di avere un pomodoro di alta qualità, per il quale il consumatore americano era disposto a pagare di più, adesso bisogna vedere se lo sarà ancora. Altri Paesi possono essere eventuali mercati di sbocco, come Giappone e Australia, ma lì le cucine sono diverse: noi arriviamo dove ci sono la pasta e la pizza».

Le province italiane che saranno più colpite dai dazi Usa

Le barriere protezionistiche annunciate da Trump metterebbero a rischio il settore agroalimentare di una provincia italiana su cinque. Lo fa sapere l’Ufficio studi di Cia-Agricoltori Italiani. Le province ad alto rischio sono 21 – su un totale di 107 – con esportazioni di prodotti food verso gli Stati Uniti generano un valore superiore ai 100 milioni di euro.

Nella classifica stilata in base ai valori assoluti dell’export, quella più esposta è la provincia di Salerno con 518 milioni (soprattutto in ortofrutta lavorata e conserve di pomodoro, oltre a zucchero, cacao e condimenti vari). Segue Milano, con 422 milioni, con in testa bevande alcoliche da aperitivo. Al terzo posto Cuneo, regina dell’export di vini con quasi 400 milioni di euro venduti negli Usa dalle cantine dell’Albese, delle Langhe e del Roero. Al quarto gradino della classifica Treviso con il Prosecco delle colline di Valdobbiadene (355 milioni) e, a seguire, la Food Valley di Parma, 306 milioni, nella quale i dazi colpiranno soprattutto i Consorzi del Parmigiano Reggiano e del Prosciutto Dop e le conserve di pomodoro.

Poi le province di Grosseto (236 milioni di olio d’oliva, il 71% di tutte le vendite agroalimentari della provincia verso l’estero), di Nuoro e Sassari (il 65% dell’intera produzione agroalimentare, soprattutto il pecorino romano, prodotto per il 90% in Sardegna, utilizzato dalle industrie statunitensi per aromatizzare patatine in busta e altri snack), Catanzaro (ortofrutta lavorata, marmellate e conserve di pomodoro), Siena (vino e olio d’oliva) e Roma (vino, olio d’oliva e di semi).

 

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