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La lezione di Bordeaux

"Anni di speculazione hanno trasformato il Bordeux in un prodotto finanziario. E noi ci siamo cascati". I négociant francesi raccontano la crisi del vino

Dai grandi fondi finanziari agli investitori cinesi, ecco come il più grande vino al mondo è entrato in una spirale negativa da cui stenta ad uscire. Per ripartire bisogna rimettere in discussione tutto il sistema

  • 24 Aprile, 2025

Che tirasse un’aria particolare a Bordeaux ce ne siamo resi conto poco dopo essere atterrati all’aeroporto di Mérignac, quando ci siamo seduti al tavolo di un classico bistrot per mangiare un boccone e bere un bicchiere di vino. Accanto a noi una bella lavagna annunciava che la “Sélection du Mois” era un Primitivo del Salento – Vin de Pouilles – a 7,50 euro a bicchiere e 35 euro a bottiglia. E chiacchierando con Hervé, il gestore, ci siamo semiti dire che la clientela locale era un po’ stanca delle classiche etichette locali e si era fatta più avventurosa.

Pensare che solo qualche anno fa in occasione di Vinexpo, tra le più importanti manifestazioni internazionale del vino (ora spostato a Parigi) all’uscita dal terminal potevi vedere una fila di scintillanti Rolls-Royce che caricavano giovanissimi professionisti cinesi per scorrazzarli negli Chateau più prestigiosi. Noi abbiamo colto l’occasione per scambiare due chiacchiere con alcuni dei più importanti Négociants di Bordeaux, per capire che aria tira nella più celebrata regione vinicola del mondo, che sta attraversando oggi un periodo davvero difficile (vedi com’è andata la Semaine des Primeurs de Bordeaux 2024)

La lavagnetta che a Bordeaux propone il Primitivo pugliese come vino del giorno

Bordeaux: una lezione di economia globale

La prima tappa è di buon’ora ad una delle istituzioni più importanti della Place de Bordeaux. Nel moderno headquarter di SoboVi ci attende il presidente Christophe Bernard. È una lezione di economia. SoboVi è uno dei più grandi négoce di Bordeaux, una delle tre branche della famiglia Bernard, accanto alle distillerie (l’attività originaria, con quasi cento anni di storia), e Millésima, uno dei grandi player internazionali dell’e-commerce del vino. Per non parlare delle proprietà, come Domaine de Chevalier ed altre per oltre 200 ettari nella regione.

Dalla terrazza contigua all’ufficio vediamo le distillerie e gli immensi magazzini di Millésima, dove riposano due milioni e mezzo di bottiglie (quattro se si considera tutto il gruppo), praticamente l’aristocrazia di Bordeaux e del vino mondiale. Ma com’è iniziata la crisi dei grandi Bordeaux, con prezzi che sono in calo vertiginoso (almeno il 25% in media nel 2024) e le vendite che languono?

Cristophe Bernard, presidente di SoboVi

Il voltafaccia della Cina

«Ci sono varie motivazioni. Intanto bisogna dire che il sistema (la “place de Bordeaux”) si è formato in almeno tre secoli, e ha saputo affrontare periodi di crisi profonda, risalendo sempre la china e rimanendo il centro del commercio mondiale del vino – ci dice Cristophe – Stavolta la crisi è molto dura, viene dopo anni di grande prosperità che hanno portato grande ricchezza alla regione e hanno fatto salire i prezzi in maniera considerevole negli ultimi 15 anni. Ma oggi per tanti motivi si beve meno. I giovani della generazione Z sono poco interessati al vino e a quello di Bordeaux in particolare».

L’altro grande problema riguarda il voltafaccia cinese. «La Cina per anni è stato il nostro mercato più solido e fiorente, pensate che Hong Kong con 7 milioni di abitanti era arrivata a pesare il doppio di Inghilterra e Stati Uniti per più di 5 anni. Poi la crisi, i cinesi hanno smesso di acquistare vino per una serie di motivi, come una moralizzazione interna nel settore della regalistica, la rivoluzione degli ombrelli a Hong Kong, e gli altri paesi – che forse avevamo trascurato – non hanno assorbito queste eccedenze. E ci siamo trovati a fare i conti con gli aspetti finanziari che in un mercato sempre in crescita contavano poco. Il rialzo dei tassi di interesse è stata la mazzata finale. Il meccanismo si era regolato su tassi minimi per finanziare gli stock dei négoce, e si guadagnava sempre. Calo della domanda, stock invenduti, prezzi alti e tassi di interesse elevati stanno mettendo il nostro mondo in crisi. Perché in molti casi il vino è stato vissuto come un prodotto finanziario, un fondo che acquistava valore con il tempo, più che come una bevanda. E con un tasso d’interesse del 7% molti négoce che non hanno capitali importanti sono sull’orlo della bancarotta. Il Covid, le guerre, l’incertezza politica in molti paesi, come in Francia, hanno dato poi il loro contributo. Le annate 2016, 17, 18 e 19 si sono vendute bene, poi… Il mercato delle vendite en primeur è praticamente saltato, ed è stato l’inizio di una spirale negativa di cui non vediamo ancora la fine».

Aumento dei prezzi ed effetto domino

La sovrapproduzione e i tassi d’interesse – fuori dall’Europa più alti ancora – stanno dando la spallata finale. Ecco allora i programmi di espianto (nelle zone meno pregiate) e le distillazioni di soccorso che stanno alleviando un poco la situazione, ma la nottata sarà ancora lunga e dura, e rischia di coinvolgere anche le altre zone vinicole francesi e non, a cominciare dalla Borgogna, anche se i volumi sono un terzo di quelli di Bordeaux, per poi passare allo Champagne (-10% lo scorso anno) e al resto delle zone vinicole pregiate del mondo.

«Noi tra tutte le nostre società abbiamo 200 milioni di euro di stock, metà del quale è finanziato dalle banche – continua Bernard – ma noi siamo un esempio virtuoso, ci sono aziende che hanno capitali minimi e debiti altissimi con le banche. Poi i nostri clienti internazionali che anch’essi hanno forti stock, li vogliono ridurre, e quindi tendono ad acquistare di meno. Ma con la caduta dei prezzi in atto, anche se lo scorso gennaio abbiamo fatturato più del gennaio del 2024, i nostri margini si sono ridotti sensibilmente, e questo è un problema. Negli ultimi anni c’è stata una rincorsa dei prezzi incredibile, aumentavano del 20, 30, 40% l’anno e questo ha portato alla crisi. Ma allora il mercato cinese sembrava poter assorbire tutto… Difficile fermarsi in quella situazione».

L’annata 2021: il colpo decisivo

Il colpo decisivo è stata l’annata 2021, di media qualità, uscita dagli Chateau a prezzi altissimi. Ma tutti avevano vino nei magazzini, dopo tante ottime annate recenti, e Bordeaux ha faticato moltissimo sul mercato, innescando una spirale al ribasso. «L’annata 2022 è stata ottima ma a prezzi altissimi: noi a SoboVi non abbiamo acquistato come al solito, e questo ci ha salvato. Abbiamo acquistato meno e solo le etichette più prestigiose, e così con la 2023, anche se aveva dei prezzi abbordabili. Ora vedremo con la 2024 che è in uscita, che si preannuncia a prezzi ancora più bassi. Ma la domanda langue, e allora…»

L’avanzata dei vini dealcolati

Molti hanno reagito diminuendo i volumi degli scambi ma non i prezzi, ma questo non ha calmierato il mercato, la domanda rimane bassa e si sono abbassati anche i margini degli operatori. È crisi vera, insomma. Un peccato davvero, perché i vini di Bordeaux non sono mai stati così buoni per tanti anni di fila. «Si salveranno i grandi marchi, ma con gradi sacrifici», aggiunge Bertrand.

E i vini dealcolati impensieriscono? «Non più di tanto. Saranno come un rito d’iniziazione per i giovani che potranno sedere a tavola con le loro bottiglie come i grandi, in attesa di crescere e bere i vini veri. Mi preoccupano di più le spese dei trasporti internazionali che stanno lievitando in modo incredibile. Ma rimango sostanzialmente ottimista».

Paul Caldagues, direttore acquisti e marketing di Ulysse Cazabonne

La moda del Bordeaux Bashing

Poco dopo siamo a Margaux, in visita ad un altro négoce importante, Ulysse Cazabonne, che fa parte del gruppo Chanel, che possiede anche Chateau Rauzan Sègla a Margaux, Chateau Berliquet e Chateau Canon a Saint Émilion, oltre al Domaine de l’Île a Porquerolle, sull’isola di Hyères. Cazabonne commercializza anch’essa grandi vini, soprattutto bordolesi, in oltre 75 paesi nel mondo.
Ad attenderci c’è Paul Caldaguès, direttore acquisti e marketing dell’azienda che vende anche una ventina di marchi italiani di prestigio. Inevitabilmente scivoliamo sull’argomento più attuale: la crisi e la strategia per uscirne. «Ci sono due aspetti da considerare, i cambiamenti del mercato e la struttura della commercializzazione. Il primo colpisce tutti i paesi produttori, anche l’Italia. Il consumatore beve meno, i giovani sono meno interessati al vino e ci sono meno momenti di consumo nel ritmo frenetico della vita di oggi. Quanto alla commercializzazione, il nostro è un sistema aperto e difficile da controllare e i margini si stanno riducendo sensibilmente. Se l’unico driver della domanda è il prezzo, vince il più basso ma questo mette a repentaglio tutto il settore. Soprattutto chi ha strutture complesse che assicurano un servizio eccellente all’utente finale così non può operare agevolmente, ed è sempre più a rischio. Ma il grosso problema – spiega Paul – è che l’immagine di Bordeaux è appannata. Vanno meglio le piccole aziende dal fascino artigiano, vignaiolo, più dei grandi Chateau, che sono sempre stati il fulcro del mercato mondiale. Oggi va di moda il “Bordeaux bashing”, la critica spietata, ed è paradossale perché probabilmente questa è la regione vinicola che ha investito di più in ricerca e sviluppo negli ultimi decenni, con risultati qualitativi straordinari. Da giovane bevevo anch’io i cosiddetti “vini naturali”, poi ho scoperto pian piano i grandi vini. Ma noi ci siamo seduti sugli allori e abbiamo smesso di investire in comunicazione, e oggi dobbiamo recuperare il terreno perduto. Il grande vino per essere venduto deve essere raccontato, deve sprigionare fascino. Abbiamo dato tutto per scontato negli ultimi anni, ora ne paghiamo il prezzo».

Gli anni della speculazione

Non sarà solo un problema di congiuntura economica e finanza, ma è colpa anche degli speculatori cinesi, chiediamo, se Bordeaux è nei guai? «Non è solo colpa loro. Anche se stanno abbandonando molte proprietà. Ma anche tra i cinesi ci sono imprenditori innamorati di Bordeaux che si impegnano a fondo: penso a Peter Kwok di Hong Kong con i suoi Chateau, come Bellefont-Belcier, che credono in questo territorio, e continuano ad investire. Gli speculatori invece stanno uscendo, e sono quelli che vogliono profitti a breve termine, come i fondi finanziari. Senza contare che la Cina sta vivendo un momento economico complicato. Morale: mai mettere tutte le tue uova in un solo cestino!»

I Bordeaux contemporanei

Come uscirne allora? «Creando valore, tornando e raccontare vini, aziende e terroir, facendo assaggiare questi straordinari prodotti. C’è in atto un cambiamento dei gusti anche in chi beve vini di prestigio, ed oggi è più di moda l’eleganza e la finezza del Pinot Nero piuttosto che la struttura decisa del Cabernet Sauvignon, ma anche a Bordeaux lo stile è evoluto verso vini più sottili e nervosi. Bisogna però andare in giro e farli degustare».

E la tendenza verso i cosiddetti vini naturali? «La vedo in calo, un po’ come è successo con i vini legnosi degli anni Novanta. Mentre i biodinamici sono una nicchia che cresce, a patto di essere genuinamente coinvolti nella filosofia produttiva. Oggi si va sempre più verso finezza ed equilibrio, e penso che questa possa essere la chiave della riscossa dei nostri Bordeaux contemporanei, che hanno in più il fascino di poter invecchiare per 20-30 anni con un’eleganza unica. Bisogna ripartire dal racconto di queste unicità, e far assaggiare i vini. “Being Bordeaux” non è più sufficiente!»

Philippe Tapie, presidente di Haut Medoc Selection e di Bordeaux Negoce insieme a Marco Sabellico

L’abbaglio del lusso 

Chiudiamo il viaggio al Quai des Chartrons, il quartiere dei négociant di Bordeaux che affaccia sulla Garonna. Incontriamo Philippe Tapie, presidente della Haut Médoc Selection, maison de négoce, e presidente anche di Bordeaux Négoce, il sindacato dei maggiori négociants bordolesi, che ne raggruppa gli 80 più importanti (su 300), che gestiscono il 90% del volume d’affari complessivo della Place de Bordeaux.

«Per affrontare la crisi – ci dice – ci vogliono idee nuove. Ci siamo lasciati affascinare dal mondo del lusso e della finanza qui a Bordeaux, e forse abbiamo trascurato il fatto che le grandi bottiglie vanno stappate e bevute. Portano gioia e felicità, e non sono (solo) un prodotto finanziario. Abbiamo vissuto anni nella nostra torre d’avorio pensando che tutto ci fosse dovuto. Non è più così. Ed è soprattutto è la comunicazione il fulcro della nostra rinascita. Dobbiamo raccontare di nuovo Bordeaux al mondo. I vini di Bordeaux spesso vengono vissuti come i vini dei padri, e, ad un certo punto della vita si vuole uccidere il padre – aggiunge ridendo – Non vogliamo fare questa fine».

Spazio anche ai Bordeaux giovani

Sono vini complessi da apprezzare e comunicare, aggiungiamo noi. La vulgata li vuole pronti da bere dopo almeno vent’anni. Troppi per chi non ha una cantina. «Sciocchezze. I grandi Bordeaux sono spettacolari anche da giovani. E lo sto raccontando in giro per il mondo organizzando cene con i giornalisti e i comunicatori dove presento vini giovani in abbinamento, e tutti rimangono entusiasti. Drink Bordeaux Young è il mio slogan. E funziona!». Bordeaux è anche questo, un vino che sa regalare emozioni anche nei primi anni di vita, non è solo la grande bottiglia polverosa che esce dalla cantina del nonno.

«La tecnica enologica s’è evoluta, abbiamo investito moltissimo, e il risultato sono prodotti di grande armonia anche nei primi anni di vita, ma che possono anche invecchiare con grazia. Bisogna investire in comunicazione, tornare a raccontarlo in giro per il mondo. C’è un enorme lavoro di svecchiamento d’immagine da fare».

Come riequilibrare il mercato

Troppa finanza, troppa speculazione, chiediamo? «Sicuramente. È stata una leva fortissima di crescita in passato, ma oggi ne siamo rimasti prigionieri, con i tasi d’interesse che stanno erodendo i margini e mettono le nostre aziende a rischio. E con i consumi e le vendite che calano del 20-30% non è facile andare a trattare con una banca. Ma rimane fondamentale finanziare i nostri stock a prezzi accessibili per offrire un servizio alla clientela di tutto il mondo. Nel 2010 s’è aperto il vaso di Pandora e non riusciamo ancora a richiuderlo».

Ora i prezzi sono più bassi, questo dovrebbe aiutare, notiamo. «Non è detto. Una clientela disaffezionata non acquista nemmeno a prezzi stracciati. E per farli nasce una concorrenza tra le maison che fatalmente erode i margini e condanna le imprese. Non è questa la strada, anche se i prezzi fino a due anni fa erano eccessivi. Serve un impegno di tutti gli attori della filiera per riequilibrare il mercato e serve tanta comunicazione della qualità».

Eppure Bordeaux è sopravvissuta a tante tempeste… «Questa però è una vera crisi strutturale. Ma ho fiducia, perché Bordeaux ha una formidabile capacità di reagire alle avversità, e una qualità del prodotto fantastica. Oggi stiamo commercializzando i vini più buoni di sempre. Ci credevamo intoccabili, ma ora è tutto il nostro meccanismo è in discussione. Bisogna eliminare le vigne inutili e non remunerative. Stiamo riequilibrando il mercato. Sarà un processo non facile, doloroso per molti, ma è l’unico modo. Dalla nostra abbiamo il fatto che non abbiamo mai fatto vini così buoni come oggi. Dobbiamo raccontarlo al mondo».
Ripartiamo sollevati.

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<<<< Questo articolo è stato pubblicato su Trebicchieri, il settimanale economico di Gambero Rosso.

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il settimanale economico di Gambero Rosso

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