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Sostenibilità

Siamo pronti a un futuro senza cioccolato? La risposta (forse) è nella carruba

Il prezzo del cacao esplode, la produzione vacilla tra cambiamenti climatici e impollinazione in crisi. Intanto, semi di girasole, fave e carrube si fanno largo come possibili alternative

  • 24 Aprile, 2025

Il cioccolato – simbolo universale di conforto, piacere e festa – sta per diventare un bene di lusso. Non è una provocazione: è la fotografia di un mercato in allarme, travolto da un aumento dei prezzi senza precedenti. Nel 2024, il costo del cacao è salito del 300% all’ingrosso. E le ragioni vanno ben oltre la legge della domanda e dell’offerta.
Le piantagioni dell’Africa occidentale, da cui proviene la maggior parte del cacao mondiale, sono sempre più in sofferenza per via dei cambiamenti climatici. Temperature elevate, piogge irregolari e una crescente difficoltà nella gestione della biodiversità stanno mettendo a rischio la sopravvivenza stessa degli alberi di cacao. A questo si aggiunge un fenomeno ancora più preoccupante: alcuni agricoltori del Ghana stanno abbandonando il cacao per dedicarsi all’estrazione illegale di oro, attività più redditizia e immediata. Il risultato è un buco nel mercato: nel 2024 si è registrata una carenza globale di circa 500mila tonnellate di cacao. Una crepa profonda, che ha spinto diverse aziende a chiedersi: possiamo immaginare un futuro senza cioccolato – o, meglio, senza cacao?

Il cacao è sotto attacco (ma ci sono soluzioni)

Oltre al riscaldamento globale, c’è un altro nemico spesso sottovalutato: la scarsa impollinazione. Uno studio internazionale condotto da università di Brasile, Cina, Germania e Regno Unito ha analizzato i dati di tre dei principali paesi produttori (Brasile, Ghana e Indonesia), responsabili insieme di un terzo della produzione mondiale. I risultati sono allarmanti: molte piantagioni non hanno una sufficiente presenza di insetti impollinatori, come moscerini e tisanotteri, e questo porta a una riduzione della resa fino al 20%. A peggiorare la situazione, le temperature in alcune zone risultano fino a 7 gradi più alte della media, con perdite di produzione comprese tra il 20% e il 31%.
L’espansione intensiva delle coltivazioni e l’uso eccessivo di pesticidi hanno aggravato il problema, compromettendo biodiversità e fertilità del suolo. Eppure, soluzioni esistono: tra queste, l’ombreggiatura delle piante e una gestione agronomica più sostenibile, che potrebbe migliorare le rese e proteggere il futuro di circa 6 milioni di piccoli agricoltori nei tropici.

Il “cioccolato” senza cacao: un’alternativa (forse) necessaria

Nel frattempo, però, il mercato si muove. Negli scaffali dei supermercati tedeschi, francesi e britannici stanno comparendo prodotti che assomigliano al cioccolato ma non lo sono. Biscotti, praline, popcorn glassati, barrette: tutto rigorosamente privo di cacao. Le ricette alternative si basano su ingredienti facilmente reperibili come semi di girasole, carrube o fave. La parola d’ordine è “resilienza”: trovare materie prime locali, più sostenibili e meno soggette alle oscillazioni di mercato.
Ed è proprio in Italia che nasce una delle sperimentazioni più promettenti. Si chiama Foreverland e ha sede a Milano. Al posto del cacao, utilizza baccelli di carrube fermentati e tostati per produrre Choruba, una polvere che richiama alla lontana l’aroma del cioccolato ma con note più dolci e caramellate. Il fondatore Massimo Sabatini –  in un’intervista alla BBC – ammette senza giri di parole: “La carruba non sa di cioccolato. Ma lavorandola bene, possiamo avvicinarci molto.”
La vera scommessa di Foreverland non è solo sensoriale, ma anche nutrizionale: meno zucchero, più fibre e meno grassi. Un’alternativa più sana, quindi, ma capace di soddisfare il palato? Questo lo diranno i consumatori. Intanto, l’azienda ha inaugurato lo scorso marzo il suo primo impianto produttivo e punta a inserirsi proprio nel “vuoto” lasciato dal cacao.

Nuovi sapori, vecchie sfide

Accanto a Foreverland, ci sono realtà come Planet A Foods in Germania (che lavora i semi di girasole) e Nukoko nel Regno Unito (che punta sulle fave). Tutti assicurano: non vogliamo sostituire il cioccolato, ma offrire un’alternativa per evitare che diventi inaccessibile. Un aiuto, insomma, per non lasciare i consumatori orfani del loro snack preferito. Eppure, la questione è anche etica. Cosa succede se i sostituti prendono davvero piede? C’è il rischio che i coltivatori di cacao – già oggi tra i lavoratori agricoli più poveri al mondo – vengano messi ulteriormente ai margini. Come ricorda la biologa Tonya Lander dell’Università di Oxford “ogni alternativa dovrebbe essere sviluppata in dialogo con le cooperative di produttori”.
Insomma, le alternative al cacao sono in crescita. Ma la loro diffusione dipenderà da molti fattori: gusto, prezzo, accettazione culturale, ma anche responsabilità verso chi, da generazioni, vive di cacao.
Nel frattempo, forse è il caso di assaggiare una pralina alla carruba.

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