Dai ristori alle imprese danneggiate con nuovi fondi europei (o risorse del Pnrr non utilizzate) alla revisione urgente della misura dell’Ocm promozione, dall’esplorazione di nuovi mercati al consolidamento di quelli già esistenti, fino alla semplificazione burocratica e agli sgravi fiscali. Il settore agroalimentare e vitivinicolo, convocato martedì 8 aprile a Palazzo Chigi dalla premier Giorgia Meloni, ha messo sul tavolo una serie di richieste per contrastare e limitare il temuto effetto dei dazi imposti dagli Stati Uniti, al 20% sui prodotti europei di importazione, dal 2 aprile scorso. Ma una condizione preliminare è stata posta dai sindacati di categoria: agire prima di tutto con la diplomazia tra Unione europea e Casa Bianca, facendo ogni sforzo possibile, per evitare il peggio. La premier, intanto, ha garantito il suo impegno e un incontro con Donald Trump il 17 aprile, al quale proporrà la conciliante formula “zero dazi per zero dazi“. La stessa Ue, nel frattempo, sta rimettendo mano ai fondi per la coesione e incoraggiando gli Stati membri a rimodulare le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
A Roma, mentre a Verona è in corso il Vinitaly, dove la guerra commerciale è stato il tema dominante dell’edizione numero 57, sono sfilate in audizione Confagricoltura, Cia-Agricoltori italiani, Copagri, Confcooperative, Coldiretti. Tutte hanno testimoniato le forti preoccupazioni per gli imprenditori dell’agrifood per la delicata situazione internazionale, ma allo stesso tempo hanno chiesto misure specifiche. La Federvini, oggi a Palazzo Chigi, ha apprezzato l’annuncio della Meloni di un prossimo incontro con Trump e l’idea di proporre la formula del dazio zero: «Un segnale importante di attenzione al mondo produttivo – ha dichiarato la presidente Micaela Pallini – ma che va accompagnato da misure concrete a tutela delle imprese italiane». La federazione ha sottolineato come l’effetto moltiplicatore del sistema distributivo americano, l’incertezza che l’annuncio dei dazi sta generando e i potenziali effetti sul potere d’acquisto del consumatore statunitense rappresentino «ombre con cui le imprese hanno iniziato a confrontarsi». E ha chiesto alla Meloni un piano articolato: diplomazia europea, semplificazioni per ridurre il peso burocratico sulla competitività, una campagna di promozione che «esalti l’unicità dei prodotti italiani negli Usa», mercato definito insostituibile da cui dipende il 25% dell’export di vini, spiriti e aceti.
Confagricoltura, col vicepresidente Sandro Gambuzza, ha chiesto che l’Italia promuova un’azione coesa per un agroalimentare made in Italy che nel 2024 ha esportato per quasi 70 miliardi di euro e che, coi dazi negli Stati Uniti, potrebbe perdere 3 miliardi. Nelle trattative con Washington, per Confagri, sarà importante «valutare anche la mitigazione delle barriere non tariffarie e l’inasprimento delle condizioni sui servizi digitali». Il quadro è complicato, inoltre, da dazi differenti, come il 10% per gli australiani rispetto al 20% per gli italiani. Se ne esce, per Gambuzza, con un «nuovo piano europeo con le risorse non utilizzate del Pnrr e altri fondi Ue, per sostenere la competitività».
Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, si è confrontato con Giorgia Meloni con in mano un preciso elenco di interventi. Per il vino, la richiesta è stata quella di sburocratizzare, «rimuovendo i vincoli nell’uso dei fondi Ocm vino». Il sindacato cooperativo ha anche insistito sull’attivazione di misure di crisi a livello Ue e sullo stanziamento di «fondi straordinari per compensare le perdite, rimodulando la collocazione di risorse del Pnrr su alcune voci di spesa». La riduzione dei costi è un’altra direttrice da seguire, per Gardini, attraverso sgravi fiscali per le imprese dei settori più colpiti e il rinvio della sugar tax, che dovrebbe entrare in vigore dal 1° luglio 2025. Le stime dei possibili danni all’agrifood sono allarmanti: «Una contrazione del 10 per cento dell’export agroalimentare – ha sottolineato Gardini – potrebbe comportare la perdita tra 18mila e 20mila occupati, in modo particolare nelle filiere del vitivinicolo e del lattiero caseario».
La Cia-Agricoltori italiani ha chiesto di rimettere mano urgentemente all’Ocm vino, ma anche di eliminare quella burocrazia che oggi ostacola lo sviluppo del Made in Italy all’interno del mercato comune «semplificando il quadro normativo e i sistemi regolatori europei, che frenano la competitività», ha spiegato il presidente Cristiano Fini. Secondo il sindacato, è «assolutamente necessario stanziare risorse adeguate a sostenere gli agricoltori e i territori più esposti ai dazi di Trump». A cominciare da vino (2 miliardi di export negli Stati Uniti), olio (quasi 1 mld), pasta (1 mld) e formaggi (550 milioni) e da regioni come Sardegna (49% di vendite agroalimentari negli Usa) o Toscana (28 per cento). In che modo? Con un «fondo europeo azzera dazi, per azioni di compensazione, anche in deroga alle regole Ue sugli aiuti di Stato». Allo stesso tempo, lavorare a consolidare i mercati extra-Ue, oltre gli Usa, ed esplorare nuovi mercati.
Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump
La Copagri, con il presidente Tommaso Battista, ha ribadito a Giorgia Meloni la necessità di dialogare con gli Stati Uniti ma anche l’opportunità di valutare il potenziale ricorso al Wto. Per quanto riguarda le imprese agroalimentari, il sindacato ha chiesto di «ragionare con urgenza sulla possibile istituzione di un fondo di compensazione per le perdite dirette delle aziende», coinvolgendo Simest e Cassa depositi e presiti. Chiesta anche l’introduzione di un «credito d’imposta per le imprese maggiormente colpite» e la possibile sospensione di «alcuni dei gravosi obblighi del Green Deal». Secondo Battista, i dazi rischiano di provocare un calo dell’export tra 10% e 15% nel breve periodo, con punte del 30% per diversi prodotti simbolo della dieta mediterranea: vino, formaggi e olio extravergine d’oliva.
«Stiamo affrontando un problema che è europeo e servono diplomazia e risorse europee», ha evidenziato alla premier il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, che ha chiesto che qualsiasi risorsa verrà messa disposizione a livello nazionale per contrastare questo delicato momento «dovrà essere distribuita in base alla percentuale di export per settore». Ovvero, all’agroalimentare, per la Coldiretti, deve essere destinato «almeno il 13% circa». I dazi, secondo il sindacato agricolo, avranno un «impatto che potrebbe superare i 3 miliardi di euro tra mancate vendite, stoccaggi, deprezzamenti e perdita di quote di mercato».
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