Un tempo si diceva “il personale è politico”. Erano gli anni Sessanta, a inventare lo slogan, che ci siamo portati appresso negli anni a seguire, fu la femminista statunitense Carol Hanisch. Oggi l’equazione si è spostata al cibo. Almeno secondo Fabio Ciconte, scrittore ed esperto di filiere alimentari, cofondatore dell’associazione ambientalista Terra! e portavoce della campagna #FilieraSporca, autore di libri, inchieste e reportage su argomenti ambientalisti ed ecologisti: nella sua ultima opera, Il cibo è politica, fresca di stampa, affronta la crisi ecologica, sociale e climatica nell’ottica del consumo alimentare consapevole. A seguire i suoi ragionamenti, basati su ricerche, analisi di fatti di cronaca ed esperienze personali, bisogna dargli ragione.
Che il cibo sia un elemento centrale della vita dell’uomo è un dato assodato: mangiare ci tocca da quando siamo sulla terra. Mangiare, ma prima ancora produrre, coltivare, trasformare, comprare, preparare quello che mangiamo, smaltire i rifiuti organici. Siamo dei bravi consumatori? – si domanda Fabio Ciconte – acquistiamo cibo buono, equo e sostenibile, che fa bene al corpo, all’ambiente e a chi il cibo lo produce? Ammettendo anche che lo siamo – che facciamo la spesa con le sportine di stoffa e beviamo dalla borraccia di metallo per evitare di usare la plastica, consumiamo meno carne o diventiamo vegetariani, sprechiamo meno cibo, compriamo prodotti locali, di stagione, biologici e certificati “caporalato free”, leggiamo le etichette, evitiamo alimenti ultraprocessati e quelli avvolti in doppia pellicola di plastica – siamo sicuri che questi virtuosi gesti individuali siano la soluzione al problema dell’inquinamento ambientale, al disastro ecologico e al cambiamento climatico?
«Le responsabilità sono soprattutto a monte della filiera – afferma Ciconte – vanno attribuite in primo luogo alla politica e alle imprese, alle cento multinazionali responsabili del 70% delle emissioni e alla politica che finanzia gli allevamenti intensivi».
Oltre a porre l’attenzione sulle reali responsabilità dei problemi legati ad ambiente, clima e produzione alimentare, Fabio Ciconte analizza contraddizioni e paradossi. Il paradosso del prezzo, «che costa troppo e, allo stesso tempo, troppo poco». Troppo per chi fa fatica a far quadrare i conti e non arriva a fine mese. Troppo poco per remunerare adeguatamente la filiera produttiva e senza scaricare tutti i costi sull’ambiente.
Contraddizioni come – tanto per fare un altro esempio – lasciare solo il consumatore in balia di input contrastanti, tra sprecare meno e mangiare meno carne (il 90% delle emissioni di ammoniaca nell’Unione Europea, uno dei principali fattori dell’inquinamento atmosferico, proviene dall’agricoltura e dall’allevamento industriale), e induzione al consumo, e con le lobby dell’agroindustria che «hanno concentrato le nostre attenzioni verso un nemico invisibile, la carne coltivata».
Crediti fotografici Valerio Muscella
Innanzitutto, bisogna lottare per il salario e reddito minimo: «non si può pensare di chiedere alle persone di spendere di più per salvare il pianeta senza metterle nelle condizioni di poterlo fare» riflette Ciconte. Poi il prezzo giusto del cibo che tenga conto di tutta la filiera, contrastare il cambiamento climatico riducendo le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera («quelle globali del settore agricolo costituiscono fino al 30% del totale»), accompagnare gli agricoltori verso una transizione ecologica rivedendo i meccanismi di erogazione dei finanziamenti della PAC («che premiano ancora le aziende più grandi, meno inclini alla sostenibilità agricola»), cambiare il modello zootecnico da intensivo a estensivo, sostenere la biodiversità, combattere lo spreco, leggere le etichette alimentari e le notizie di quello che succede intorno a noi.
«Il cibo è una chiave per osservare il mondo, dobbiamo guardare la produzione alimentare nella sua complessità – commenta lo scrittore – la guerra in Ucraina è stata l’occasione perfetta per smantellare il Green Deal (il programma verde europeo creato nel 2019 con l’obiettivo di arrivare alla neutralità climatica in Europa entro il 2050, n.d.r.), a partire dalla strategia Farm to Fork, la parte del programma mirata a rendere più sostenibile il settore agricolo. Facendo leva sulla paura della fame, ha prevalso il produttivismo a tutti i costi e sono state messe da parte le misure ecologiche programmate».
Senza scetticismi, l’unica soluzione per affrontare la crisi ecologica, sociale e climatica – conclude Fabio Ciconte – consiste nell’azione collettiva, «nel considerarci cittadini prima ancora che consumatori: questo cambio di prospettica restituisce centralità al voto, un po’ meno all’atto individuale del consumo».
Fabio Ciconte, Il cibo è politica, Giulio Einaudi Editore, 2025, pp. 144, € 13,00
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