Arrigo Cipriani, il re dell’Harry’s Bar non le manda a dire: gli chef stellati non hanno lunga vita. Nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera sentenzia: «Si estingueranno da soli, come i dinosauri». Secondo Cipriani i cuochi delle cucine fine dining «producono sapori artificiali, che non conosci, non ricordi e a cui non ti affezioni». Quindi “no” alla dittatura dei cuochi che, a sua detta, «vogliono farti mangiare quel che decidono loro». L’imprenditore scende ancora nei dettagli e porta in luce un aspetto che riguarda l’approccio di alcuni chef al ristorante: «Prendi il menu degustazione e ti pare che lo chef ti stia fissando. Ti senti sotto esame: non sei tu che giudichi lui; è lui che giudica te».
Arrigo Cipriani e la morte del fine dining
Stando alle sue dichiarazioni, è chiaro che a Cipriani non interessino i ristoranti ingessati e che l’attenzione al cliente e l’ascolto del suo desiderio al tavolo di un ristorante è la prima cosa. Tant’è che nell’intervista al Corriere della Sera racconta del suo trattamento riservato a un gondoliere di Venezia, habitué dell’Harry’s Bar: «Pranza qui tutti i giorni, e io gli faccio trovare sempre il tavolo perché mio padre mi ha insegnato che non bisogna mai far aspettare chi pranza da solo. Quando arrivava un cliente da solo, lui gli dava sempre il primo tavolo disponibile, anche da dieci posti». E la motivazione è unica: «Perché non ha nessuno con cui parlare, e va trattato con particolare riguardo».
Cipriani e la storia dell’Harry’s Bar
Nell’intervista, Cipriani svela il suo segreto per arrivare a 92 anni e restare in forma: «Mangiando quasi nulla la sera, e facendo un quarto d’ora di karate al giorno». Ed è così che la sua storia personale non può che non andare di pari passo con quella dell’Harry’s Bar, quando suo padre lo fondò, Arrigo aveva solo un anno: era il 1931. E di suo padre Giuseppe dice: «Era la leggerezza in persona. Faceva il barman scuotendo il piccolo obelisco di ghiaccio a gesti leggeri, quasi senza muoversi». L’eredità passerà a Giuseppe “secondo”, figlio di Arrigo che porta lo stesso nome del nonno, a cui Cipriani dà il merito di aver fatto espandere il marchio in tutto il mondo. Dell’esperienza del ristorante a Doha che ha intrapreso con il figlio dice: «Per far decollare il ristorante di New York sulla Quinta Strada abbiamo lavorato assieme sedici ore al giorno per quattro mesi. All’inaugurazione vennero tutti i miliardari di Manhattan con donne bellissime; non sembravano mignotte, ma forse lo erano; e io non volevo quel tipo di locale. Un giorno arrivò a pranzo il magnaccia. All’uscita lo seguii per tre chilometri sulla Fifth Avenue. Alla fine, si voltò e lo avvisai così: “Io sto lavorando sedici ore al giorno da quattro mesi per il mio locale; se ti fai ancora vedere, io ti uccido”. Non si fece più vedere».