Saper cucinare è un lusso, e insieme una forma d’arte, dove il cibo può - e deve - raccontare storie di territorio, tradizione e sostenibilità. Gli chef contemporanei sono i nuovi artigiani del lusso. Chi pensa che questo in cucina significhi solo ingredienti costosi e rari come astice, caviale, tartufo e foie gras, deve ripensare al concetto. "Luxury Food. Le parole chiave per strategie vincenti nell'enogastronomia di lusso" di Annalisa Cavaleri, giornalista professionista e docente universitario, spiega cosa significa “lusso” oggi nel mondo del cibo. Ci sono alcune parole "civetta" per riconoscerlo, ma per scoprire quali sono dobbiamo fare un tuffo nel passato, quando era sinonimo di eccesso e spreco, fino al presente, dove sostenibilità, creatività e valorizzazione del territorio sono diventati i nuovi simboli su cui puntare. Aprono la prefazione del libro quattro riflessioni dei grandi nomi del “luxury food” in Italia: "Il lusso è creatività" di Massimo Bottura, "Il lusso è accoglienza" di Rossella Cerea, "Il lusso è sostenibilità" di Norbert Niederkofler e, infine, "Il lusso è essenzialità" di Niko Romito.
Le nuove parole chiave
Il lusso non è più legato all'ostentazione. Cavaleri spiega: «Sostenibilità, antispreco, attenzione al territorio, valorizzazione del proprio heritage, creatività, identità, unicità ed experience sono sono concetti assodati per gli esperti del settore e per gli chef, ma mi sono resa conto che tutti gli altri avevano un po' di confusione in testa. In frasi come “Ieri ho mangiato un’intera scatola di caviale”, “al ristorante mi hanno grattugiato mezzo tartufo sui tagliolini”, “ho ordinato un plateau di ostriche e crudi di pesce” si annida la stessa filosofia dei nostri antenati: cibo abbondante, raro e costoso come dimostrazione di status e potere. Ma oggi pensare di dimostrare il proprio status con l'eccesso e lo spreco di cibo sarebbe come vestirsi di pelliccia pensando di essere eleganti» L'evoluzione di questo concetto si intreccia con la storia dell'umanità. Oggi, il lusso è rappresentato da piatti come la "Foglia di broccolo e anice" di Niko Romito o la "Cipolla Caramellata con salsa al Grana Padano" di Davide Oldani, che utilizzano ingredienti semplici e locali, ma con una tecnica eccellente. «Non volevo che il libro fosse la "fine", ma l'inizio di un percorso per narrare il lusso enogastronomico in modo nuovo e professionale».
Lusso vuol dire prezzo alto?
«Un altro falso mito è che lusso e prezzo siano sovrapponibili e che alzare il prezzo basti per elevarsi: non è così - dice Cavaleri -. Certo, il lusso è costoso, ma non basta un prezzo alto per essere lusso, altrimenti sarebbe sufficiente mettere ingredienti rari e costosi nel piatto, vendendolo a cifre esorbitanti, per ottenere un luxury food: questa è ostentazione, che è cosa ben diversa dal lusso. Il tartufo a pioggia o il caviale a cucchiaiate fanno, invece, lo stesso effetto di un brand impresso a caratteri cubitali su una maglietta: non dicono che abbiamo gusto per il lusso, ma solo che abbiamo speso tanto». Quello che possiamo definire come lusso "autentico" riguarda l'attenzione ai dettagli, la qualità superiore, la storia che c'è dietro a un prodotto ma soprattutto le persone che ci sono dietro. Ciò che è costoso non rende sempre un prodotto di valore, e questo può valere in tutti i settori, dall'enogastronomia all'ospitalità o alla moda.
Sostenibilità
Da Alain Ducasse a Massimo Bottura, da Niko Romito a Daniel Humm, i grandi nomi della ristorazione internazionale hanno abbracciato il concetto di sostenibilità. «Tra i cambiamenti epocali del mondo del cibo c’è, infatti, la fine della ricerca dell’eccesso - dice Cavaleri - non ci sono più grandi quantità di cibo a definire il nostro status sociale, anzi, il percorso è opposto. Le élite culturali e gli opinion leader mangiano poco e, quasi sempre, prediligono un’alimentazione vegetale. Ma cosa ha portato a questa “astrazione quantitativa” a favore di “un’elevazione qualitativa”? Sicuramente uno dei temi cruciali del nostro tempo: la sostenibilità». Anche la guida Michelin, dal 2020, ha aggiunto la stella verde, un riconoscimento per chef e ristoranti che fanno della sostenibilità il centro del proprio business. Ormai parlare di sostenibilità è diventato un must, ma spesso ci si trova di fronte a un paradosso. Da un lato, si promuove la sostenibilità come valore imprescindibile; dall'altro, molte pratiche continuano a essere contraddittorie.
L'altra faccia: greenwashing
L'ipocrisia della sostenibilità è un fenomeno sempre più evidente. La consapevolezza ambientale e sociale sta crescendo, molte aziende e individui dichiarano il proprio impegno verso pratiche sostenibili. Alcune sono forme di greenwashing, dove l'apparenza è utilizzata come strategia di marketing piuttosto che come impegno autentico. Vini biologici, prodotti a chilometro zero, e packaging eco-friendly sono solo alcuni degli esempi di come i marchi di lusso cercano di posizionarsi come attenti all'ambiente. Tuttavia, spesso queste iniziative sono solo una facciata. Molti prodotti di quello che comunemente definiamo “lusso” enogastronomico sono il risultato di filiere produttive che non garantiscono condizioni di lavoro dignitose o una giusta retribuzione ai lavoratori. È dunque cruciale che i consumatori diventino più critici e consapevoli delle dinamiche di marketing dietro le etichette di sostenibilità. Solo attraverso un'analisi attenta e una domanda costante di trasparenza, si potrà incentivare un cambiamento reale verso pratiche veramente sostenibili.