Amandus è la parola latina da cui deriva il nome di Mandello sul Lario, terra di motori (qui è nata Moto Guzzi) e placidi panorami di monti che si tuffano nel lago (di Como, naturalmente). Ma Amandus in latino vuol dire anche “da amare” e non è difficile affezionarsi a quello che è il ristorante di Villa Lario Resort, un luogo di quieta bellezza e anche una storia imprenditoriale meritevole di racconto, quella di due amiche, Esa Secca e Raffaella Di Gennaro, che qualche anno fa decidono di rilevare questa elegante villa novecentesca già appartenuta ai Biffi-Capalbi e ai Grundig e di trasformarla in un luogo di ospitalità incantata in riva al lago, con un lussureggiante giardino e degli approdi privati.
"Non un segreto ma un'esperienza"
Amandus, dunque: il ristorante più ambizioso dei due che trovano spazio nel resort (l’altro è il più informale Grill&Lunch), che si avvantaggia dell’esperienza di Luca Mozzanica, carismatico chef che lavora all’Amandus dal 2016 dopo esperienze al fianco di Claudio Prandi al Lear di Briosco, e al Griso di Malgrate. La sua è una cucina stagionale, di territorio, senza eccessi gestuali ma con una grande capacità espressiva. Lui la definisce così: “La mia cucina non è un segreto, ma un’esperienza. Creatività, studio e ricerca la contraddistinguono. È in questo contesto che voglio regalare emozioni uniche”. Di certo posso dire che Mozzanica ha un rimarchevole talento nel mettere al centro della chiesa il sapore puro, e per questo evita di affastellare su ogni piatto troppi ingredienti. Punta su un claim forte e lo esclama a tutta voce cercando la leggerezza e il piacere. Da questo punto di vista non si sbaglia a definire la sua cucina perfettamente al passo con i tempi. E questo lavoro in una terra classicista come il lago di Como è già di per sé interessante.
Cosa si mangia da Amandus
Tre i menu in carta: il degustazione A Mano Libera (160 euro, 230 con abbinamento vini) è certamente quello da preferire se si vuole esplorare al meglio il pensiero di Mozzanica, ma ci sono anche i più tematici Esperienza d’Acqua (130 euro) ed Esperienza di Terra (125). C’è anche una carta che estende i piatti già presente nei vari percorsi. Io ho iniziato con un paio di “benvenuti” tra i quali un’Aria fritta che ricorda il pane con burro e missoltino e una Cialda di patata croccante con la firma dello chef (scelta che mostra una certa autostima). Poi un Tiramisù di Lago che riprende la tradizione lacustre del pesce d’acqua dolce mantecato, con polvere di caffè, grano saraceno croccante. In uno spiedino fa mostra di sé un’Anguilla cotta alla brace in teriyaki con salsa e pane allo spinacio, pane allo spinacio e polvere di olio. Bello start.
Il risotto immancabile
E poi: un Bun farcito con crema di melanzana, estratto di pomodoro, mozzarella liquida, crumble di pomodoro e basilico; e un Risotto mantecato con olio di oliva e basilico, tartare di gambero rosso siciliano, pomodoro datterino e crumble al nero di seppia ed essenza al basilico. Lo chef mi dirà che per lui è imprescindibile un risotto estivo e non so dargli torto visto il risultato. Ah, il riso usato è un Carnaroli Campo dell’Ostia che arriva dal Pavese.
Trota e agnello
Un secondo di acqua e uno di terra: il primo la Trota cotta al vapore con cavolo nero, crème fraiche, ribes fermentato e una polvere di fico (accompagnato da un kombucha alla mela leggermente alcolico preparato dallo stesso chef; e un Agnello spagnolo cibato solo di cicoria cotto sulle braci, che colpisce per il suo sapore sapido e amarognolo che pretende nuovi assaggi. Non c’è aggiunta di sale, ma della crema alla ricotta di capra e poi frutta secca e ciliegine fermentata, salsa al vino Nebbiolo. Olè.
Finale dolce
Si chiude con un predessert, una Panna cotta al miele di castagno con all’interno una goccia di arancia e sambuco e con una Cheesecake al cioccolato fondente al 70 per cento con crema allo zabaione, fragola fermentata, more e crumble salato ai lamponi. Capisco: 1) che lo chef he un apprezzabile talento per la pasticceria; 2) che gli piacciono molto i crumble, probabilmente per la loro croccantezza spessa. Apprezzo. La sala funziona molto bene, grazie al maître Francesco Nava mentre il sommelier Luigi Fumagalli gestisce una cantina non sterminata (180 etichette) ma molto centrata, che dà anche spazio ai vini del territorio, segnalati nella carta con un simbolo “topografico”.