Negli ultimi tempi, gli episodi gravi di allergia alimentare scatenati ora da un piatto di gnocchi, ora da un dessert con arachidi, ci hanno spinto a porre nuovamente l’attenzione sul tema. È di pochi giorni fa infatti l'intervista al consulente Haccp Fabrizio Russo, sentito proprio per fare luce sui casi non isolati di reazione allergica dovuta al consumo di pasti contaminati. Alle dichiarazioni rilasciate dal Dott. Russo, che ai nostri microfoni ha sottolineato la mancanza di interesse da parte del mondo della ristorazione nei confronti di allergie e intolleranze, non si è fatta attendere poi la risposta della Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi). L’associazione, nella persona del vice presidente Matteo Musacci, peraltro navigato nel business di ristoranti e panificazione, ci ha contattati per poterci raccontare la sua panoramica sul tema.
Il diritto di replica va sempre garantito. E allora le chiediamo cosa delle affermazioni recenti del consulente non vi trova d’accordo?
Dichiarare che non c’è sufficiente interesse nei ristoratori circa allergie e intolleranze è un’affermazione più da titolo che realtà. Le Asl fanno controlli periodici ai locali. Quindi un locale non conforme alle procedure haccp si vuole male da solo, anche perché i controlli avvengono quantomeno ogni quadrimestre, cosa che obbliga i locali a fornirsi delle apposite documentazioni. Inoltre, quando le persone si rivolgono a noi (della Fipe) per aprire un’attività ristorativa le informiamo subito affinché operino nel pieno rispetto delle normative e pertanto con un approccio corretto rispetto agli allergeni. Per esempio, nel 2015 (anno in cui è entrata in vigore la normativa sugli allergeni), ci siamo mossi immediatamente per informare la nostra base associativa.
Non si può scaricare tutto sul ristoratore. Da una parte, perché magari c’è il cliente che ci dice che è allergico o intollerante al glutine e poi pretende di consumare la soia. Dall’altra, per il fatto che a volte neanche le etichette aiutano: sono poco chiare. I casi gravi registrati (allergia e contaminazione) alla fine non sono così tanti per poter parlare di un vero e proprio problema. Se c’è un problema, è nostro (ristoratori), come di tutti (clienti e non).
Quindi il cliente non ha sempre ragione…
Il cliente ha sempre ragione finché non ha torto. Va ascoltato nei minimi dettagli. Bisogna essere preparati prima che il cliente arrivi al locale (la spesa del ristorante può dipendere dalle sue allergie o intolleranze), altrimenti rischia di essere troppo tardi. Spesso però è il cliente stesso a essere inconsapevole delle sue predisposizioni e su cosa ci chiede. Se è celiaco, è bene che stia lontano da alimenti allergizzanti, a maggior ragione se ne è stato pure avvisato.
Ma quali sono i protocolli che ristoranti e camerieri devono seguire?
Innanzitutto, chiunque abbia a che fare con la manipolazione di alimenti deve seguire un corso obbligatorio di 4 ore presso le asl locali che istruiscono l’operatore su tutta la linea, dalla catena del freddo fino alla pulizia delle superfici. Comunque, sempre in collaborazione con le Asl locali, la Fipe organizza congressi facoltativi in ogni provincia per addestrare sulla celiachia i professionisti che si presentano. Forse il consulente non conosce bene i protocolli e il lavoro che facciamo sul territorio; quotidianamente ci interfacciamo con consulenti non solo interni, ma anche esterni, collaboratori delle autorità sanitarie locali.
C’è dunque una buona formazione nel settore? Oppure, si può fare meglio?
La formazione è alla base di tutto. Questa non deve essere delegata agli organi o istituti. In parte, il ristoratore deve informarsi da solo. Ma noi siamo qui per dare un sostegno perché non tutti possono operare da soli. In virtù di un rapporto costante fra federazione e associato, gli consegniamo del materiale pure per stare al passo con il mondo contemporaneo. Le regolamentazioni non bastano. Fra l'altro, l’Italia sembra pensare sempre prima ai regolamenti e alle sanzioni, ma poco alla formazione.
E gli alberghieri che formano i giovani invece? Loro fanno abbastanza?
Sulle scuole alberghiere dico che abbiamo attivato con Renaia (rete nazionale istituti alberghieri) un percorso per dare un giudizio costruttivo di modo che la certificazione delle competenze sia effettivamente un miglioramento individuale, con professori consapevoli che devono esprimere una valutazione mirata cosicché l’imprenditore (possibile datore di lavoro) sappia che lo studente x ha recepito quali sono e dove si trovano gli allergeni. È importante che questa consapevolezza esista prima ancora che i ragazzi vengano immessi nel mercato del lavoro. Un lavoro prezioso sulla sicurezza alimentare che fa solo la Fipe. Ma in questo paese manca sempre la formazione. Ce ne freghiamo della formazione. Si pensi che chi viene dall’alberghiero è esonerato dalle 4 ore di istruzione haccp presso l’asl di cui le parlavo prima.
Non pensa però che i casi di allergia da contaminazione accadano perché c’è troppo improvvisazione e poca cultura ristorativa? Si fa cioè più quantità che qualità.
Se la quantità di locali aperti fossero tutti improvvisati le direi di sì. Ma siccome ad aprire sono più franchising che imprenditori indipendenti, le dico di no. Questo perché nei franchising si registra solitamente una standardizzazione che porta a maggiore precisione e minor improvvisazione. Ciò che vedo io invece è che, rispetto a prima, aprono più locali e meno negozi. I titolari magari sono ex negozianti privi di un’adeguata esperienza. Perciò, se accadono (casi di contaminazione) è perché manca la formazione. In più, bisogna distinguere l’esercizio che fa da mangiare — ad esempio, locali kebab e pizzerie al taglio — dalla ristorazione in senso stretto, chiamata a seguire un regime haccp più capillare dovendo sottostare al testo unico del pubblico esercizio. È labile il confine fra chi vende e chi somministra. È un po’ il risultato della liberalizzazione Bersani e poi quella di Monti, unite alle conseguenze del Covid. A un certo punto la bolla scoppia.
Se dovesse tracciare un vademecum per il ristoratore perfetto, cioè quello che abbatte qualsiasi rischio di contaminazione, quale sarebbe?
Formazione, formazione, formazione. Accertarsi sempre cosa, come e dove si compra. L’etichettatura deve essere corretta. Bisogna valutare la tracciabilità e origine delle materie prime. Il cameriere deve assicurarsi chiaramente che al tavolo non ci siano persone allergiche o intolleranti. Allo stato attuale, la celiachia è l’unica malattia di questa fascia riconosciuta dallo Stato. Per il resto, l’assenza di contaminazione (in locali non specifici) rimane difficile da garantire: ci sarà sempre una percentuale d’incertezza.
A proposito, ci dice se i locali gluten free sono sicuri o no? Secondo il consulente Russo, da celiaci "severi" è meglio evitare…
I locali gluten free sono certificati dall’organo di controllo indipendente. Hanno cucine e procedure separate per evitare qualsiasi rischio di contaminazione. Dispongono di aree da manipolazione alimentare diverse. Per dire, pensi che una pizzeria di Caserta gluten free in cui sono stato si è dotata di due forni, due banconi differenti, lontani fra loro, come i pizzaioli che vi lavorano.
Entriamo nello specifico, lei nel suo panificio ha un unico foglio con gli allergeni o li indica per singola preparazione?
In tutti i panifici e negozi di famiglia abbiamo un libro in cui indichiamo per prodotto ciascun allergene. In caso di dubbi, la commessa è preparata ad assistere il cliente. È giusto che possa consultare un elenco (quello degli allergeni) di cui si accorge, cosa che non avverrebbe se rimanesse nascosta altrove.
In che modo Stato italiano e autorità possono dare un contributo? I controlli dei Nas la convincono?
Quando vengono da noi, personalmente parlando, imparo sempre qualcosa. Mi spiegano delle cose che nessun altro potrebbe chiarirmi. Del resto, loro sono dei biologi e io no. Piuttosto, trovo problematica la mancanza di uniformità fra un controllo fatto a Roma e uno a Ferrara. A differenza della legge nazionale sugli allergeni, la normativa sul controllo e l’operato dell’asl locale cambia addirittura da un comune all’altro. Talvolta, di zona in zona. Diventa una complicazione per l’imprenditore che deve gestire più attività dislocate o vuole aprirne una in un’altra città, dovendosi confrontare con un regolamento comunale diverso.
Il consulente Russo ha chiuso dicendo che dovremmo essere tutti ristoratori consapevoli e clienti informati. Lei come si sente?
Chiaramente, ragiono da ristoratore. Tuttavia, quando ordino sono semplicemente un cliente. E, conoscendo le indicazioni Haccp, in giro posso magari accorgermi delle mancanze del ristoratore o cameriere di turno. Ma ciò che importa è come si sta nel locale. Va detto che di ristoratori consapevoli e informati ce ne sono sempre di più. Anzi, il tasso informativo è altissimo. Al contrario, non mi sembra possa dirsi lo stesso per i clienti: non sono altrettanto informati visto che capita spesso che inducano in errore i ristoratori dando indicazioni sbagliate. Alcuni non conoscono la differenza fra crostacei e molluschi. Oppure, affermano di non poter mangiare la farina di cocco perché intolleranti al glutine. Il livello è questo.